Il vertice dei BRICS a Kazan

Rappresentanti dei governi di ben 36 Paesi si sono recati in Russia, nella città di Kazan, per prendere parte al sedicesimo summit dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) tra il 22 e il 24 ottobre. L’incontro di quest’anno ha inaugurato l’ingresso nel gruppo dei nuovi membri: Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran (rimane incerto lo status dell’Arabia Saudita, la quale deve ancora rispondere all’invito ufficiale a diventare stato membro), oltre ad aver visto la partecipazione di altri Paesi del cosiddetto Sud Globale.

Si tratta della più importante conferenza internazionale tenutasi in Russia dall’invasione dell’Ucraina, un’opportunità perfetta per Vladimir Putin di dimostrare al mondo che l’isolamento diplomatico di Mosca da parte dei Paesi occidentali è fallito. Al vertice di Kazan ha partecipato persino il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, la cui presenza in Russia ha scatenato l’ira di Kyiv.

Appare evidente che i Paesi riunitisi a Kazan condividano l’obiettivo di riformare l’ordine internazionale, ma rimane incerto l’atteggiamento dei BRICS nel loro complesso nei confronti dell’Occidente. Il gruppo ad oggi rappresenta rispettivamente il 36% e il 45% del PIL e della popolazione mondiale, quale che siano le intenzioni dei BRICS, l’Occidente farebbe bene a non ignorarli.

Il rapporto con l’Occidente

I BRICS non sono un’alleanza politica o economica, si tratta di un gruppo informale di Paesi, i cui leader si riuniscono ogni anno per coordinare alcune politiche di sviluppo, commerciali e diplomatiche. L’assortimento di governi che si riunisce in tali occasioni è estremamente eterogeneo, la presenza di regimi democratici, autocratici e ibridi allo stesso tavolo rende difficile inquadrare cosa possa accomunare questi interlocutori.

Persino il comunicato finale del summit di Kazan è fonte di molteplici ambiguità, al suo interno i BRICS esprimono il loro sostegno alla “difesa dei diritti umani”, “la risoluzione pacifica dei conflitti” e alla “non proliferazione”. Pronunciamenti alquanto ironici per un gruppo la cui maggior parte dei membri viola continuamente i diritti umani e di cui fanno parte la Russia e l’Iran, con la prima impegnata in una brutale guerra di aggressione e con il secondo sempre più vicino allo sviluppo di un’arma nucleare.

Ma il comunicato stesso e la retorica di alcuni leader possono fornire alcuni indizi sulla direzione che intendono seguire i BRICS. Il documento contiene un esplicito supporto ad una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, una “critica delle sanzioni internazionali” (da intendersi come occidentali) e un riferimento all’emergere di un “ordine mondiale multipolare più giusto, democratico ed equilibrato”. Quest’ultimo punto può essere considerato come la principale ragion d’essere dei BRICS. Sia autocrati come Putin e Xi, che un leader democraticamente eletto come Lula non perdono occasione per promuovere la loro visione di un mondo multipolare.

Resta il dubbio su come i BRICS intendano porsi nei confronti dei Paesi occidentali. Membri come Brasile, India e Sudafrica non hanno alcuna intenzione di inimicarsi gli Stati Uniti e l’Europa, con i quali condividono interessi commerciali; si fanno piuttosto portavoci del cosiddetto Sud Globale, chiedendo una riforma del sistema internazionale che tenga più conto del crescente potere economico e demografico dei Paesi in via di sviluppo. Ci sono però tra i BRICS potenze revisioniste come Cina, Russia e Iran, che sono apertamente antagoniste nei confronti di quello che Putin descrive come “l’Occidente collettivo”; il loro rapporto conflittuale con gli Stati Uniti e (nel caso della Russia) con l’Europa è a volte fonte di imbarazzo per gli altri membri del gruppo.

I BRICS promuovono un’alternativa alla supremazia mondiale di Washington. Lo dimostra la contrarietà alle sanzioni espressa nel comunicato di Kazan, laddove i membri differiscono per posizioni politiche o diplomatiche, fanno fronte comune sulle questioni economiche. Un elemento largamente discusso e pubblicizzato prima e durante l’incontro di Kazan è quello della “de-dollarizzazione”, ovvero la riduzione nelle transazioni internazionali dell’uso del dollaro, la valuta predominante sui mercati mondiali. Gli interscambi commerciali e finanziari tra i membri del gruppo hanno già visto negli ultimi anni un incremento graduale dell’uso delle rispettive valute nazionali ai danni del dollaro. Ci sono state persino proposte piuttosto ambiziose, e per il momento alquanto irrealistiche, di sviluppare una valuta comune. Il processo di de-dollarizzazione, oltre a garantire una maggiore autonomia economica ai BRICS, li renderebbe anche molto meno vulnerabili alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, le quali colpiscono principalmente asset denominati in dollari. I BRICS hanno inoltre fondato ormai un decennio fa la New Development Bank, un’istituzione finanziaria internazionale volta al finanziamento di progetti di sviluppo dei Paesi membri, sia pubblici che privati, in sostanziale alternativa al ruolo della Banca Mondiale.

Sembra evidente che i partecipanti al summit di Kazan vogliano emanciparsi dall’attuale ordine internazionale e crearne uno nuovo, ma saranno le dinamiche interne al gruppo a decidere quale direzione quest’ultimo prenderà.

L’imperante eterogeneità dei BRICS

Non tutti i membri originali erano particolarmente entusiasti del recente allargamento del gruppo. La Cina e la Russia erano ansiose di allargare la membership per estendere la loro influenza economica e diplomatica, soprattutto nel caso di Pechino, e per limitare l’offensiva diplomatica occidentale contro Mosca. Al contrario, il Brasile e l’India temevano che l’entrata di nuovi membri avrebbe diminuito la loro influenza, inoltre l’aggiunta di un elemento fortemente antioccidentale come l’Iran rischia di compromettere l’immagine neutrale dei BRICS che Brasilia e Nuova Delhi vogliono promuovere. Per un motivo simile, il Brasile ha posto il veto sull’adesione al gruppo del Venezuela, le cui più recenti elezioni non sono state riconosciute dal governo di Lula. Putin ha dichiarato di non condividere la posizione del suo omologo brasiliano ma di rispettarne ugualmente la decisione.

Al summit di ottobre hanno preso parte, oltre ai membri, altri 28 Paesi interessati ad unirsi ai BRICS, tra cui l’Afghanistan, l’Arabia Saudita, la Bielorussia, Cuba, l’Indonesia, la Palestina, la Serbia e la Turchia, l’unico membro della NATO presente a Kazan. Un totale di 13 Stati ha ricevuto lo status di “partner”. Il gruppo sembra dunque destinato ad espandersi sempre di più in ogni continente del mondo, la presenza a Kazan del Segretario Generale Guterres non fa altro che legittimare la vocazione globale dei BRICS. Alla luce del successo diplomatico del summit, si fa molto meno sentire l’assenza dell’Argentina, il cui allora neoeletto presidente Milei ritirò all’ultimo minuto la membership di Buenos Aires.

Eppure non mancano i dissidi e le inimicizie interne, diversi membri, o interessati, hanno dispute aperte gli uni con gli altri. L’Egitto e l’Etiopia sono ancora impegnati in un’annosa ed aspra questione sul controllo del Nilo. Nonostante gli accordi del 2023, Arabia Saudita e Iran restano rivali regionali. Sarà difficile convincere l’India a non porre il veto sull’ingresso del Pakistan, il suo nemico di sempre. Ma la disputa interna più eclatante rimane quella tra Pechino e Nuova Delhi sulla definizione dei loro confini, causa di violente scaramucce tra il 2020 e il 2022, con decine di morti da ambo le parti. Una svolta è sopravvenuta con un rarissimo bilaterale tra Modi e Xi ai margini del vertice di Kazan. L’incontro tra i due leader segna l’apice di un processo di risoluzione della disputa prossimo ad essere ultimato.

I BRICS stanno investendo molte energie per allargare e far funzionare il forum come un vero e proprio centro di coordinamento. Considerato il peso e la voglia di rivincita di questi Paesi, l’Occidente farebbe bene a prenderli seriamente, per evitare che i BRICS diventino a tutti gli effetti un elemento ostile.

di Iacopo Andreone

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