Il posto mancante al tavolo delle trattative tra Russia e Ucraina

La guerra imperialista della Russia di Vladimir Putin contro l’Ucraina sta per entrare nella sua quinta settimana. Il fallito blitzkrieg – che contava più sull’effetto shock su governo e forze armate ucraine che su una strategia militare degna di questo nome – ha lasciato il campo a una lenta e sempre più brutale campagna combattuta su tre fronti. Mentre le forze russe arrancano a nord ed est, a sud hanno fatto maggiori progressi, di fatto chiudendo l’accesso dell’Ucraina al Mar d’Azov.

La guerra sta causando danni enormi. Le vittime civili sono apparentemente ancora contenute, ma i flussi di profughi hanno raggiunto proporzioni ciclopiche. I danni materiali ad abitazioni e infrastrutture sono nell’ordine delle centinaia di miliardi di euro. Sono considerevoli le perdite militari: sebbene non esistano dati verificati in modo indipendente, si stima che si aggirino intorno a 6-7 mila per parte. A questo va aggiunto un tasso di abbandono, distruzione o cattura di mezzi militari molto elevato.

La sostenibilità dello sforzo militare della Russia è incerta

L’andamento della guerra è destinato a essere influenzato da due variabili.

La prima è la sostenibilità in termini di perdite umane e materiali dello sforzo militare russo. A determinarla concorre naturalmente la capacità di resistenza delle forze armate ucraine, a sua volta dipendente dai rifornimenti di sistemi d’arma americani ed europei.

La seconda è la sostenibilità politica e finanziaria della campagna di invasione, su cui pesano la pressione diplomatica euro-americana e soprattutto le sanzioni draconiane adottate da Stati Uniti e Unione Europea.

Uno spazio di reale trattativa si può aprire soltanto se la sostenibilità della campagna d’invasione russa – in termini di uomini, mezzi, risorse e costi diplomatici – viene erosa al punto che il Cremlino è costretto a significativi arretramenti rispetto all’obiettivo iniziale del soggiogamento di Kyiv a Mosca.

Putin però non ha dato segnali incoraggianti in questo senso. I russi ora sostengono che la ‘denazificazione’ dell’Ucraina – un motivo centrale della propaganda russa – non passa più per il rovesciamento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Tuttavia, sembrano ancora ritenere che la resa dell’Ucraina sia a portata di mano.

I punti nodali della trattativa

In questo senso, il piano in quindici punti su cui russi e ucraini stanno lavorando per mettere fine alle ostilità sembra più che altro un modo per i russi di guadagnare tempo per riorganizzare l’offensiva e poi forzare Zelensky ad accettare condizioni al momento irricevibili.

Il piano ruota attorno a tre elementi: fine della campagna d’invasione, neutralità dell’Ucraina e status delle regioni contese, ovvero Crimea e le due sedicenti repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk nel Donbas. Un quarto elemento, quello che la propaganda russa chiama ‘denazificazione’, è stato de-enfatizzato e ora si riduce a misure relativamente non controverse per la promozione di lingua e cultura russi in Ucraina.

Gli ucraini puntano al ritiro delle truppe russe da tutti i territori dove non erano presenti prima dell’invasione. Sono disponibili a rinunciare all’ingresso nella Nato, a patto però di ottenere in cambio solide garanzie di sicurezza e di mantenere forze armate capaci di assicurare la difesa territoriale. Né sono pronti a privarsi della prospettiva di aderire all’Ue. Kyiv ha fatto intendere che potrebbe ripiegare su una politica di non rivendicazione attiva di Crimea e Donbas, ma non di un riconoscimento ufficiale della sovranità russa sulla prima e dell’indipendenza del secondo.

I russi accusano gli ucraini di rallentare le trattative con pretese irrealistiche. Evidentemente Putin pensa di potere ottenere molto di più su ogni fronte: un’Ucraina non solo neutrale ma ‘smilitarizzata’, ovvero incapace di difendere il territorio, e amputata territorialmente della Crimea, di tutto il Donbas (compresa la parte di territorio che era ancora sotto controllo ucraino prima dell’invasione di quest’anno) e probabilmente anche della zona costiera attorno al Mar d’Azov. Il Cremlino mira, inoltre, a un alleggerimento delle sanzioni euro-americane.

Putin sembra persuaso che questi obiettivi siano raggiungibili per via militare. I russi apparentemente non hanno le capacità per conquistare i maggiori centri urbani, e tanto meno le risorse per tenere sotto occupazione ampie aree di un paese più grande della Francia e di quasi 44 milioni di persone (dove, peraltro, i sostenitori dei russi si contano sulle dita di una mano). Possono però ancora ottenere una resa di un’Ucraina prostrata da lunghi assedi delle città in cui l’uso dei bombardamenti d’artiglieria, missilistici e aerei diventa più indiscriminato. E non si può escludere il ricorso ad armi non convenzionali (incluse armi atomiche tattiche) per piegare la volontà di resistenza degli ucraini.

L’irrigidimento di Usa e Ue verso la Russia

È alla luce dell’inflessibilità del Cremlino che va letto l’irrigidimento dell’amministrazione Biden rispetto alla guerra. Così si spiegano gli ammonimenti alla Cina a non oltrepassare soglie critiche di sostegno alla Russia (sia sul piano militare che dell’aggiramento delle sanzioni); l’aver concesso a Zelensky il palcoscenico (virtuale) del Congresso; l’annunciato aumento delle forniture militari all’Ucraina, che includeranno anche droni e difese anti-aeree mobili; e la visita in Europa di Biden per il doppio vertice Nato e Usa-Ue, in cui si discuteranno il rafforzamento delle difese dell’alleanza e l’aumento della pressione economica sulla Russia, nonché eventuali misure di rappresaglia contro la Cina.

Gli Stati Uniti e gli alleati europei non sono disposti a concedere a Putin la vittoria che ancora cerca. Tuttavia, assistenza militare all’Ucraina e pressione economica sulla Russia potrebbero non bastare a scongiurare un’escalation delle violenze e, conseguentemente, il rischio di allargamento alla Nato della guerra. Quest’ultimo potrebbe avvenire in caso la Russia colpisca obiettivi Nato (per esempio nel corso di rifornimenti militari all’Ucraina) oppure se la Nato dovesse giudicare intollerabile il grado di distruzione inflitto alla popolazione e le città ucraine.

Il peso di Usa ed Europa nelle trattative

Si è molto parlato di possibili mediazioni – da parte di Israele e della Turchia, che stanno facilitando le trattative in corso, o anche della Cina. Di questi solo la Cina ha un ruolo davvero determinante, perché Mosca non può fare a meno di ascoltare Pechino. Queste mediazioni possono portare al massimo a un accordo che congeli il conflitto senza però risolverlo. Non esiste nessuna prospettiva di pace duratura se al tavolo delle trattative non siedono anche americani ed europei.

Gli Usa e i loro alleati non sono belligeranti ma non sono nemmeno neutrali. Non solo sostengono l’Ucraina ma sono centrali allo sblocco delle trattative, per diversi motivi.

In primo luogo, solo gli Stati Uniti e la Nato possono ristabilire l’equilibrio della deterrenza, minacciando Mosca di ritorsioni qualora continui nella sua politica di intimidazione indiscriminata o usi armi non convenzionali.

In secondo luogo, solo gli Stati Uniti e i loro alleati possono fornire le garanzie di sicurezza alternative alla Nato che il governo di Kyiv cerca disperatamente. Possono, per esempio, assicurare anche a un’Ucraina neutrale forniture militari e forme di cooperazione (esercitazione e addestramento) con paesi Nato. Queste misure possono accompagnarsi a una ripresa del dialogo di Nato e Stati Uniti con la Russia su controllo degli armamenti, schieramento di forze convenzionali e bombardieri strategici, trasparenza su esercitazioni e sistemi di difesa antimissile, nonché contatti military-to-military.

In terzo luogo, solo gli Stati Uniti e l’Ue hanno autorità sulle sanzioni. La Russia non può aspettarsi la revoca delle sanzioni tranne che nell’implausibile eventualità che non operi un ritiro completo e si assuma piena responsabilità del conflitto. Tuttavia, alleggerimenti limitati sono senz’altro possibili in cambio di concessioni da parte di Mosca.

Evidentemente l’amministrazione Biden non ritiene maturi i tempi per inserirsi direttamente nella diplomazia russo-ucraina. Data l’indisponibilità di Putin ad arretrare e la spirale iper-autoritaria in cui si è avvitata la Russia, non è il caso di lanciarsi in operazioni incaute.

Tuttavia, è necessario che i governi Usa ed europei valutino con attenzione come far valere la propria influenza sulle trattative. Non ci sono garanzie contro un imbarbarimento della guerra, ma di certo non esistono prospettive di una pace duratura, che salvaguardi l’indipendenza e la sicurezza dell’Ucraina e stabilizzi l’antagonismo con la Russia, senza un maggiore coinvolgimento di americani ed europei.

Foto di copertina EPA/SARAH MEYSSONNIER/POOL MAXPPP OUT

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