Un cambio di passo nelle relazioni italo-cinesi

L’analisi degli esperti del German Marshall Fund (GMF) sulle relazioni Italia-Cina, dopo l’annuncio del ministro della Difesa italiano Guido Crosetto sull’intenzione dell’Italia di lasciare la Belt and Road Initiative (BRI) cinese. Questo articolo è apparso nell’ultimo contributo alla serie “Quick reads” del German Marshall Fund

Dario Cristiani: il COVID-19 e la mutevole politica cinese in Italia

L’Italia ha iniziato a ripensare il suo approccio alla Cina con lo scoppio della pandemia di COVID-19 nel 2020 e con il lancio da parte di Pechino di un’aggressiva offensiva di soft power per sfruttare le divisioni tra l’Italia e i suoi alleati. La propaganda e la disinformazione che hanno accompagnato gli aiuti medici cinesi ha irritato Roma,  comprese le campagne che mettevano in dubbio l’origine del virus.

I media statali cinesi hanno persino riferito che l’Italia stava trattando casi sospetti di polmonite da coronavirus prima dell’epidemia di Wuhan nel novembre 2019. Come risultato di queste azioni aggressive, molti politici italiani hanno modificato la loro postura verso Pechino. Da allora, un crescente numero di attori politici italiani, con la rimarchevole eccezione del fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, ha concluso che urge una revisione delle relazioni con la Cina, così da dare priorità alla sicurezza nazionale.

A tal riguardo, il primo ministro Giorgia Meloni e il suo governo stanno rompendo con l’approccio del precedente governo Draghi. Infatti, il governo Meloni sta tracciando un nuovo corso non solo per rafforzare le tradizionali alleanze geopolitiche e diplomatiche, ma anche per affrontare i timori derivanti dalla strategia economica predatoria e dalle pratiche commerciali sleali cinesi.

Noah Barkin: riallinearsi con l’Europa

L’adesione nella primavera del 2019 da parte del governo populista italiano, primo paese del G7, al vasto progetto infrastrutturale cinese, la Belt and Road Initiative, ha segnato un successo geopolitico per la Cina. L’accordo, frutto della mente di Michele Geraci, giovane sottosegretario al Ministero dello sviluppo economico con forti legami con la Cina, sembrava una scommessa azzardata già quando è stato siglato durante la visita del presidente cinese Xi Jinping a Roma. Una scommessa invecchiata male sia dal punto di vista economico, che politico. Infatti, da quando è stato siglato l’accordo le esportazioni italiane in Cina sono rimaste pressoché invariate. Gli investimenti diretti cinesi in Italia sono crollati a 91 milioni di dollari lo scorso anno, rispetto ai 650 milioni del 2019, secondo Rhodium Group.

Negli anni successivi, anche l’immagine della Cina in Europa ha subito un duro colpo, a causa dell’aggressiva diplomazia dell’era COVID-19, della repressione di Hong Kong, delle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e della coercizione economica in Europa. De-risking dalla Cina è diventato il paradigma politico in Europa, e l’Ue ha elaborato una strategia, Global Gateway, progettata per contrastare la Bri.

Così come quella europea, anche la postura italiana è cambiata. Sotto l’ex primo ministro Mario Draghi, l’Italia ha bloccato numerose acquisizioni di aziende operanti nel campo della sicurezza. Questo approccio è rimasto invariato con l’attuale presidente italiano. Più recentemente, il governo Meloni è intervenuto per impedire che Sinochem, gigante statale cinese nel campo chimico, consolidasse il controllo sulla Pirelli. Non è quindi una grande sorpresa che, per la prima volta, il governo Meloni abbia confermato di voler uscire dall’accordo Bri con la Cina all’inizio del prossimo anno. Una mossa che allineerebbe l’Italia ai partner del G7, correggendo un errore vecchio quattro anni che aveva portato l’Italia ad essere in contrasto con la politica europea sulla Cina.

Julia Pallanch: Roma sta facendo rotta verso est

Dopo aver espresso per anni il proprio malcontento per la decisione del 2019 di partecipare alla Belt and Road Initiative (Bri) cinese, il primo ministro italiano Giorgia Meloni sembra intenzionato a ritirarsi. In un’intervista al Corriere della Sera, il suo ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha dichiarato che il governo intende riallineare la politica italiana sulla Cina con quella dei suoi alleati europei e transatlantici, rafforzando così la più ampia strategia di Roma per l’Indo-Pacifico.

La politica estera italiana si è tradizionalmente soffermata sul suo vicinato, ma Meloni ha rotto gli schemi per orientarsi verso est ed espandere l’impegno con i partner asiatici. Ha elevato la partnership con il Giappone a livello strategico annunciando, durante la visita di gennaio a Roma del Primo Ministro giapponese Fumio Kishida, il lancio di un meccanismo di consultazione bilaterale in materia di difesa.

Ha inoltre elevato le relazioni con l’India a partnership strategica ed ha messo al centro del viaggio a Nuova Delhi, svoltosi a marzo e prima visita di stato in un paese asiatico, la cooperazione nell’ambito della difesa. Un altro segno di maggiore impegno, è l’invio dell’incrociatore ausiliario Francesco Morosini, in una missione di cinque mesi che la porterà in quattordici Paesi dell’Indo-Pacifico. I legami tra Roma e Taipei continuano ad approfondirsi con la promessa di autorizzare un ufficio di rappresentanza di Taiwan a Milano. È inoltre in preparazione un accordo bilaterale sulla cooperazione nel settore dei semiconduttori.

L’obiettivo di Meloni potrebbe anche essere quello di mantenere lo status quo con la Cina nonostante le sue politiche sempre più revisioniste. Pechino, dopo tutto, rimane un importante partner commerciale.

Ma l’adesione dell’Italia alla Bri complica le cose. Il primo ministro potrebbe sperare di emulare l’approccio senza vincoli di Berlino e Parigi, che li tiene fuori dalle iniziative cinesi senza danneggiare le attività commerciali tedesche e francesi. Ma è in grado di rompere un accordo con la Cina, che ha avuto poche conseguenze economiche per l’Italia, senza provocare ritorsioni?

Dario Cristiani: la decisione italiana sulla Bri e la reazione cinese

Il recente viaggio di Giorgia Meloni a Washington sembra aver accelerato la decisione di ritirarsi dall’accordo sulla nuova Via della Seta. La questione era chiaramente al centro dell’agenda dei colloqui alla Casa Bianca, e secondo il Foglio, Roma annuncerà l’uscita dalla Bri a settembre. L’Italia intende porre le sue relazioni con Pechino su nuove basi, firmando nuovi accordi commerciali.

L’adesione italiana, nel marzo 2019, come primo membro del G7 alla Bri è stata vista come un importante successo diplomatico e politico per Pechino. Alcuni hanno addirittura visto l’Italia come il cavallo di Troia della Cina in Europa. La situazione era ottima per la Cina, anche se l’accordo era molto meno ambizioso della proposta iniziale di Pechino. Tuttavia, ci sono stati problemi fin dall’inizio.

Il patto non era legalmente vincolante e i suoi contenuti, grazie all’intervento di alcuni attori istituzionali e membri del governo, erano generici. Giancarlo Giorgetti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri e oggi ministro dell’Economia, ha limitato la portata dell’accordo. Fratelli d’Italia, il partito di Meloni è stato il più critico, con Adolfo Urso, attuale ministro dell’Industria, che ha affermato che la Cina stava sottomettendo l’Italia.

In risposta ai recenti sviluppi a Roma, tra cui l’annuncio del Ministro della Difesa Guido Crosetto di un riallineamento della politica italiana verso la Cina, il Global Times, un giornale nazionalista in lingua inglese supervisionato dal Partito Comunista Cinese, ha pubblicato due articoli in cui si avverte che abbandonare la Bri potrebbe diventare il rimpianto dell’Italia. Gli articoli attribuivano la colpa di una simile mossa alle pressioni di “Stati Uniti e Unione Europea“. Dal momento che l’accordo di partecipazione dell’Italia alla Bri non è mai stato attuato, l’impatto del ritiro potrebbe essere insignificante – a patto che Pechino tenga a freno la sua rabbia. L’adesione dell’Italia alla Bri è stata un grande successo simbolico e diplomatico per la Cina; l’uscita dell’Italia rappresenta una sconfitta, cosa che spesso non viene digerita a Pechino.

Foto di copertina ANSA/Filippo Attili – Uff stampa Palazzo Chigi

Ultime pubblicazioni