Il Brasile al ballottaggio: con incertezza verso il ritorno di Lula

Il Brasile guarda al 30 ottobre, data in cui si terrà il secondo turno delle elezioni presidenziali, con un carico di tensione nettamente superiore rispetto alle previsioni di alcuni mesi fa. Se i nomi dei due contendenti al ballottaggio erano scontati, molto più sorprendente è stato l’esito del primo voto.

Se Luiz Inácio Lula da Silva avesse ottenuto più del 50% delle preferenze, si sarebbe aggiudicato la presidenza direttamente con il primo turno del 2 ottobre; d’altronde tutti i principali sondaggi preannunciavano il suo vantaggio su Jair Bolsonaro. 

I numeri del primo turno

L’icona della sinistra brasiliana si è avvicinata a questo risultato, senza però ottenerlo, convincendo il 48,4% degli elettori. La vera sorpresa è stata la rimonta in poche settimane del presidente uscente. Le proiezioni lo davano indietro rispetto a Lula con un distacco a doppia cifra, invece Bolsonaro ha portato a casa il 43,2% dei voti.

Quando il conteggio era iniziato da poco, Bolsonaro era addirittura in vantaggio. Al termine del rapidissimo scrutinio – in Brasile il voto elettronico è diffuso in maniera capillare e sono bastate cinque ore per contare più di 123 milioni di voti – Lula era in testa, ma il Paese prendeva atto di una destra ancora unita e forte; al netto dei fallimenti del governo bolsonarista, in primis relativi alla gestione dell’emergenza sanitaria.

Come quattro anni fa, il Partito Liberale (PL) di Bolsonaro ha trionfato in tutti gli Stati più ricchi del sud, mentre il nord e il nordest più poveri si sono confermati roccaforti socialiste per il Partito dei Lavoratori (PT).

In Brasile il voto è obbligatorio, ma comunque si è registrato un livello di astensione relativamente alto, quasi il 21%. I due candidati meglio posizionati dietro ai due leader Lula e Bolsonaro appartengono al centro dello spettro politico e si sono fermati al 4% (Simone Tebet del Movimento Democratico Brasiliano, MDB) e al 3% (Ciro Gomes del Partito Democratico Laburista, PDT). Schede nulle e in bianco ammontano insieme a un 3,5% scarso.

Il Brasile diviso come non mai

Anche se, con questo risultato, la mappa del Brasile di oggi e quella del 2018 si assomigliano nei “colori”, la campagna elettorale è stata molto diversa rispetto alle ultime presidenziali. Allora, Lula si trovava in posizione di incandidabilità, a seguito della sentenza per corruzione e riciclaggio di denaro legata agli appalti pubblici ceduti al colosso Petrobras.

Il candidato del PT, Fernando Haddad, non aveva potuto fare granché per colmare in pochi mesi il vuoto lasciato da una figura come Lula. Infatti, pur presentandosi da completo outsider, un deputato ed ex-militare dalle dichiarazioni scandalose e con la fama da “Donald Trump dei tropici” lo aveva sconfitto. Era l’inizio della costruzione del fenomeno politico Bolsonaro.

Un fenomeno che non può essere considerato passeggero, a giudicare dal sostegno compatto che il primo voto ha riconosciuto al PL. La destra che si identifica con il bolsonarismo continuerà a rappresentare una forza politica influente per il Paese.

Con la riabilitazione giuridica e il ritorno di Lula – le motivazioni alla base di tutti i processi per cui era imputato sono decadute per questioni procedurali – si sono quindi cementate due correnti diametralmente opposte e si sono raggiunti livelli di polarizzazione inediti per il Brasile, accompagnati da un’escalation di violenza a sfondo politico.

Scontro di ideologie con poche proposte concrete

Un altro elemento della polarizzazione è messo in luce dalla divisione ideologica tra città e campagne. Se le prime hanno privilegiato il candidato socialista, le aree rurali hanno mostrato un approccio decisamente più tradizionale e nazionalista.

Oltre a questo, l’elettorato culturalmente conservatore rimane una garanzia per Bolsonaro, soprattutto nella veste del Cristianesimo Evangelico, che in Brasile raccoglie sempre più proseliti. I potenti del settore agro-alimentare rappresentano un’altra fetta importante di sostenitori, i quali con decisione danno la priorità al profitto economico rispetto alla salvaguardia dell’Amazzonia.

Nei mesi appena precedenti alle elezioni, Bolsonaro aveva provato anche ad avvicinarsi alle fasce più povere della popolazione, incrementando a 600 reais la quota del sussidio mensile denominato “Auxilio Brasil”, percepito da circa 30 milioni di brasiliani in difficoltà economica. Non si direbbe che l’elettorato di Lula sia stato smosso da questa misura, insostenibile a lungo termine e quindi considerata da molti puramente strumentale a fini elettorali.

Dalla sua, Lula non ha solo i fedelissimi che non hanno mai creduto alle accuse di corruzione e i nostalgici del primo periodo alla guida del Paese (2003-2011), ma anche tutti quelli che optano per il “voto utile” con lo scopo di scongiurare a tutti costi la rielezione di Bolsonaro.

Gran parte della campagna si è giocata infatti nella contrapposizione ideologica dei due leader, che si sono scagliati reciprocamente accuse di ogni tipo. Il dibattito sui programmi è rimasto inconsistente, senza risposte convincenti per i problemi più pressanti del Brasile di oggi: l’inflazione, la disoccupazione, i livelli di fame e povertà in crescita.

Il momento del pragmatismo

A giudicare da come si sta muovendo in previsione del ballottaggio, si direbbe che Lula abbia compreso la necessità di definire meglio la sua strategia e soprattutto “unire tutte le forze che abbiamo dalla nostra parte”, come ha dichiarato il candidato della sinistra brasiliana.

Già la scelta del candidato vicepresidente corrispondeva a questa necessità, vale a dire lasciare da parte il radicalismo e venire a patti con le altre forze politiche: si tratta del centrista Geraldo Alckmin (Partito della Social Democrazia Brasiliana, PSDB), avversario dello stesso Lula nelle presidenziali del 2006.

Fernando Henrique Cardoso, appartenente allo stesso partito di Alckmin e presidente del Brasile per il periodo 1996-2002 ha usato un’espressione che è rapidamente diventata emblematica dello scontro elettorale all’orizzonte: “democrazia o abisso”. Pur partendo da posizioni contrarie a Lula, Cardoso ha deciso di usare la sua influenza per riconoscerlo come l’unico candidato in grado di preservare la democrazia, a fronte del rischio di un’irrevocabile deriva autoritaria.

In favore di Lula ci sono anche le dichiarazioni aperte di sostegno da parte di Tebet e Gomes, arrivate pochi giorni dopo il primo turno.

Anche se i due candidati avevano catalizzato un numero ridotto di voti, se questi dovessero effettivamente trasferirsi su Lula sarebbero più che decisivi. La vittoria del leader del PT rimane a questo punto probabile, ma non scontata. 

Quello che è certo, in quanto già definito dal primo turno elettorale, è che il futuro presidente si troverà a governare con un Congresso Nazionale che strizza l’occhio al bolsonarismo, dato che tutti i partiti della coalizione di destra “Per il bene del Brasile” hanno significativamente incrementato il numero dei loro seggi. Per la sinistra sarà molto complicato costruire una maggioranza nelle Camere.

Articolo a cura di Francesca Rongaroli, autrice Centro e Sud America de Lo Spiegone

Foto di copertina EPA/Sebastiao Moreira

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