La telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin, nel corso della quale i leader di Stati Uniti e Russia avrebbero concordato di avviare immediatamente contatti diplomatici per porre fine alle ostilità in Ucraina, unita alle dichiarazioni del Segretario alla Difesa americano Pete Hegseth sulla ridefinizione degli interessi americani nella guerra e nella NATO, apre scenari inquietanti per l’Ucraina e la sicurezza europea. Pur essendo prematuro trarre conclusioni di lungo periodo, è possibile individuare i principali motivi di preoccupazione. Allo stesso tempo, sussistono diversi elementi che suggeriscono una valutazione meno pessimistica del negoziato che sembra profilarsi.
Le dichiarazioni di Trump e Hegseth
Annunciando la sua conversazione con Putin su Truth Social, la piattaforma social costruita sul modello di Twitter, Trump ha espresso l’auspicio che Stati Uniti e Russia possano tornare ad avere relazioni amichevoli e che la guerra in Ucraina possa concludersi rapidamente. Quasi in contemporanea, Hegseth ha delineato con maggiore chiarezza la posizione dell’amministrazione americana durante un incontro coi ministri della difesa alleati a Bruxelles.
Hegseth ha affermato che non è realistico pensare che l’Ucraina possa ripristinare i confini del 1991 (quando ancora includeva la Crimea, che la Russia ha annesso nel 2014). Ha aggiunto che gli Stati Uniti non intendono espandere ulteriormente la NATO. E ha concluso che un eventuale accordo di pace in Ucraina dovrebbe essere garantito da forze europee e non-europee, senza però partecipazione americana e operanti con un mandato extra-Articolo 5 della NATO, risultando così prive della protezione della clausola di difesa collettiva dell’Alleanza. Hegseth ha inoltre ribadito che, pur restando impegnati nell’Alleanza Atlantica, gli Stati Uniti daranno sempre maggiore priorità all’Indo-Pacifico.
Le criticità del negoziato
Uno dei principali motivi di preoccupazione riguarda il modo in cui il negoziato sembra prendere forma, con l’Ucraina tenuta ai margini sin dalle prime fasi. Il fatto che Trump abbia parlato con Putin prima ancora di consultare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky segnala l’apparente volontà del presidente americano di non coordinarsi preventivamente con il governo ucraino e pertanto di ridurre la capacità negoziale di quest’ultimo. A questo si aggiunge il mancato coinvolgimento degli alleati europei nonostante, secondo Hegseth, spetterebbe loro farsi carico della stabilità post-bellica in Ucraina.
Altrettanto problematico è il fatto che gli Stati Uniti sembrano disposti a fare concessioni significative alla Russia senza aver prima ottenuto qualcosa in cambio. La fine della politica della “porta aperta” della NATO, il trasferimento agli europei della responsabilità sulla sicurezza ucraina e il ridimensionamento del ruolo americano in Europa sono tutte posizioni che riflettono una disponibilità al compromesso da parte di Washington, senza che da Mosca arrivi alcun segnale di apertura reciproca.
Anzi, la Russia ha fatto intendere di vedere un negoziato come un’occasione per continuare a perseguire gli obiettivi fissati all’inizio dell’invasione: ridurre l’influenza della NATO e bloccarne l’allargamento; forzare Kyiv a riconoscere l’annessione alla Russia delle province occupate dalle forze di Mosca; imporre la neutralità e la ‘smilitarizzazione’ dell’Ucraina (ovvero la riduzione delle sue forze armate a un numero tale da essere inadeguate alla difesa del territorio); e favorire un cambio di governo a Kyiv in senso filo-russo.
Infine, lascia sconcertati la logica con cui gli Stati Uniti stanno vincolando il continuo sostegno all’Ucraina. L’unica garanzia di aiuti militari sembra legata agli interessi economici delle aziende americane nel settore delle materie prime più che a considerazioni strategiche e normative.In un contesto così incerto, il rischio è che Kyiv si ritrovi più isolata e vulnerabile all’espansionismo imperialista russo.
Le incertezze del negoziato
Tuttavia, vi sono elementi che fanno pensare che l’Ucraina non sia per forza destinata a subire passivamente un accordo a lei sfavorevole. Un’intesa che trasferisca interamente agli europei l’onere della sicurezza ucraina appare di difficile attuazione, sia per le limitate capacità militari e finanziarie degli stati europei, sia per la loro riluttanza ad assumere un impegno del genere senza un inequivocabile sostegno americano.
Inoltre, un accordo che rifletta in modo marcato gli interessi russi, senza offrire garanzie credibili all’Ucraina contro una nuova invasione e che risulti in una NATO più vulnerabile, potrebbe rivelarsi un boomerang. L’amministrazione Trump potrebbe venire associata nell’opinione pubblica interna a una sconfitta in modo non dissimile da come Joe Biden lo è stato con l’Afghanistan, con pesanti ripercussioni sul prestigio politico del presidente.
Infine, e cosa più importante, il carattere massimalista delle richieste russe potrebbe paradossalmente giocare a favore dell’Ucraina. Se Mosca continuerà a esigere una vittoria totale – che implicherebbe non solo il riconoscimento delle annessioni territoriali, ma anche una subordinazione politica di Kyiv – Trump potrebbe trovarsi costretto a mantenere la pressione su Mosca, sia attraverso le sanzioni, sia proseguendo, magari mediante prestiti invece che trasferimenti, la fornitura di armi all’Ucraina. L’intransigenza di Putin potrebbe essere il principale ostacolo a un accordo che trasformi l’Ucraina in un protettorato russo, lasciando aperta la possibilità che Kyiv continui a ricevere da parte dei paesi NATO e dei loro partner il sostegno necessario per resistere e strappare termini più favorevoli.
Queste considerazioni restano del tutto preliminari. Saranno i dettagli che emergeranno nelle prossime settimane a confermare o smentire i timori delineati, così come la plausibilità di un accordo lungo le linee tracciate da Hegseth. Tuttavia il più volte annunciato disimpegno americano dalla sicurezza europea sembra prendere forma. Di fronte a questa realtà, la risposta migliore per gli europei non è né un allineamento acritico agli Stati Uniti né una politica di appeasement nei confronti della Russia, ma un rafforzamento coordinato delle proprie capacità militari, finanziarie e diplomatiche per acquisire maggiore controllo sulle sorti del continente.