Guerra e pace: il delicato equilibrio tra Vaticano e Chiesa Ortodossa

Il conflitto in Ucraina è l’avveramento degli incubi di papa Francesco e del Vaticano. Non solo per le evidenti conseguenze belliche, che hanno spinto lo stesso Bergoglio a recarsi di sua sponte, fuori da ogni protocollo diplomatico, all’ambasciata russa presso la Santa Sede per ripristinare il dialogo. Evitare ulteriori vittime e scongiurare il dramma di decine di migliaia di profughi, peraltro già ammassati lungo i confini con la Polonia, è il principale obiettivo del pontefice. A questo, però, si aggiunge anche la volontà di evitare che la tela pazientemente intrecciata negli ultimi anni con il mondo ortodosso non venga squarciata da una guerra che, potenzialmente, può diventare anche religiosa.

L’ecumene a rischio

Papa Francesco, sin dalla sua elezione, ha incessantemente operato per ristabilire la piena comunione tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. Punto di arrivo e di partenza, l’incontro con il patriarca di Mosca Kirill nel 2016 all’aeroporto dell’Avana, a Cuba. Un momento storico che si colloca precisamente a metà strada tra la crisi in Crimea, avvenuta due anni prima, e la concessione dell’autocefalia alla Chiesa di Kiev da parte del patriarcato di Costantinopoli, arrivata due anni più tardi.

Non a caso, due eventi che riguardano da vicino l’Ucraina. Qui, cattolicesimo e ortodossia inciampano sulle proprie divisioni interne e, per questo, trovano maggiori difficoltà di dialogo. Da una parte, Roma ha a che fare con la Chiesa uniate, nata a fine Cinquecento per sottrarsi al patriarcato russo e riemersa con forza dopo lo smantellamento dell’Unione sovietica. Afferente alla Chiesa cattolica, il clero uniate ha sostenuto le manifestazioni europeiste di Maidan nel 2013. Dall’altra, invece, c’è la scissione tra patriarcato di Kiev e patriarcato di Mosca, che continua a considerare l’Ucraina come proprio bacino di fedeli anche se, almeno in parte, non è più così.

Un groviglio apparentemente inestricabile, reso ancor più ingarbugliato dall’annessione unilaterale della Crimea prima e dall’invasione russo degli ultimi giorni poi. Il grande rischio, per Francesco, è che il conflitto renda ancor più inconciliabili le posizioni reciproche, creando uno squarcio irreparabile tra Occidente e Oriente proprio in Ucraina, dove le posizioni nazionaliste tanto di Kiev, quanto di Mosca, potrebbero appropriarsi delle categorie religiose per alimentare lo scontro. Rendendo impossibile il cammino di comunione.

Tra Chiesa ortodossa e Cremlino, una strategia critica

La questione ucraina, come poche altre, mette in risalto un ulteriore ostacolo nel processo di riavvicinamento tra Roma cattolica e Mosca ortodossa. Non è un mistero che tra patriarcato e Cremlino, sul modello bizantino delle relazioni tra Stato e Chiesa, vi siano legami ben saldi.  Sprovvista della mitopoiesi dell’homo sovieticus, la Russia post-guerra fredda si è avvinghiata alla tradizione millenaria della Chiesa ortodossa, custode di un passato di grandezza e di una cultura mai veramente spezzata.

La rottura dell’unità patriarcale tra Kiev e Mosca ha indisposto non poco quest’ultima. Tanto da portare Kirill a etichettare la nuova Chiesa ortodossa e autocefala dell’Ucraina come scismatica. Insomma: quanto affermato da Putin poco prima dell’invasione, sulla mancanza di statualità ucraina e sull’appartenenza storica e culturale del Paese alla Russia, non trova certo posizioni contrarie all’interno della Chiesa moscovita.

Chiesa e Stato a Mosca, dunque, hanno senz’altro sovrapposizioni, che diventano particolarmente evidenti in ambito internazionale. Bergoglio rigetta nettamente la commistione tra religioso e politico, tra ultraterreno e mondano: lo si è visto quando esponenti politici, anche oltreoceano, hanno infarcito il proprio discorso di riferimenti cristiani. Proprio per questo, papa Francesco non può far altro che adottare una strategia critica, ovvero di scelta e separazione, cogliendo quelle sfumature dove patriarcato e Cremlino differiscono. Evangelicamente, separando il grano dal loglio.

Una mediazione vaticana?

La notizia è circolata rapidamente: papa Francesco, nella mattinata successiva all’attacco russo in Ucraina, si è recato personalmente e senza annunciarsi all’ambasciata di Mosca presso la Santa Sede. Ad accoglierlo, il diplomatico di riferimento, Alexander Avdeev. A questi, Bergoglio ha espresso tutta la sua preoccupazione per la situazione ucraina, chiedendo inoltre che venissero fermati i bombardamenti.

Una richiesta che il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha invocato a gran voce durante l’incontro conclusivo con i sindaci e i vescovi del Mediterraneo a Firenze. L’appello si è indirizzato direttamente alla Russia e, sottinteso, a Putin. Verso il quale papa Francesco ha dimostrato apertura e vicinanza, spesso contestata. Per Bergoglio, però, l’inclusione di Mosca e della Russia nella costruzione della pace internazionale, così come quella della Cina, è imprescindibile.

Ipotizzare una mediazione diretta di papa Francesco o della Santa Sede rimane comunque complicato, proprio per quanto detto sin qui e per la volontà di Francesco di mantenersi prudente e in equilibrio tra gli interessi in gioco e i rischi che un intervento vaticano può comportare. Quel che è certo, però, è quanto detto anche dal segretario di Stato Pietro Parolin: la Santa Sede continua a sperare nel dialogo e a promuoverlo come strumento di confronto. E così farà anche Francesco.

Foto di copertina EPA/Alejandro Ernesto

Ultime pubblicazioni