Genocidio: la controversa questione delle accuse a Israele

Con l’ordinanza del 26 gennaio 2024 relativa alla controversia tra Sud Africa e Israele, non è la prima volta che la Corte internazionale di giustizia (CIG) si occupa di genocidio. Basti ricordare la sentenza Bosnia-Herzegovina contro Serbia-Montenegro e le ordinanze relative ai casi Gambia contro Myanmar e Ucraina contro Federazione Russa.  Tra le ordinanze, che dispongono misure cautelari, e la sentenza definitiva può trascorrere un lasso di tempo considerevole, che può durare anche anni. L’ordinanza è dunque solo un passaggio provvisorio della controversia, i cui elementi possono essere rimessi in discussione dalla sentenza della Corte.

Cosa è stato deciso nell’ordinanza del 26 gennaio? Innanzitutto che esiste una controversia tra Sud Africa e Israele e che la Corte è competente per pronunciarsi sul merito. Elementi di fondamentale importanza, la cui mancanza avrebbe impedito alla Corte di pronunciarsi. L’esistenza della controversia è dimostrata dalle accuse sudafricane e dalla negazione di Israele di aver commesso genocidio. Quanto alla competenza della Corte, è da rimarcare che la CIG non ha una giurisdizione obbligatoria, ma solo consensuale, a differenza dei tribunali nazionali. Tuttavia, il consenso può essere dato preventivamente alla nascita della lite, come accade per la Convenzione sul genocidio del 1948, per cui ogni controversia relativa all’applicazione e interpretazione della Convenzione può essere deferita a domanda di parte alla CIG.

Ma come è possibile arguire che il Sud Africa sia danneggiato dalla condotta tenuta da Israele nei confronti dei palestinesi? La CIG, correttamente, osserva che la Convenzione sul genocidio produce obblighi nei confronti di tutti gli Stati parte della Convenzione, con la conseguenza che ciascuno di essi può lamentare la violazione dell’obbligo, quantunque non ne sia immediatamente pregiudicato poiché il genocidio non è stato commesso nei confronti del suo popolo.

Le conclusioni della CIG sulle accuse a Israele

Su queste premesse, la CIG ha costruito le sue conclusioni, affermando – sulla base delle dichiarazioni di esponenti politici e governativi israeliani e di organismi delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate, quali l’OMS – come sia “plausibile” il rischio prospettato dal Sud Africa che possa essere commesso genocidio. Di qui tutta una serie di misure che Israele deve intraprendere, quali quelle di impedire che siano compiuti atti di incitamento al genocidio e di punire i responsabili. La CIG non si è, invece, espressa sullo stop alle operazioni militari israeliane a Gaza intraprese dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, come invece aveva chiesto il Sud Africa. Quindi le ha implicitamente legittimate, purché attuate nel rispetto del diritto internazionale.

A questo proposito, la CIG conclude l’ordinanza ricordando che Israele ed Hamas devono rispettare il diritto internazionale umanitario. Inoltre, si dichiara gravemente preoccupata per la cattura degli ostaggi nell’attacco di Hamas del 7 ottobre e chiede la loro immediata e incondizionata liberazione. Ma tale paragrafo della decisione non fa formalmente parte delle misure ordinate dalla Corte.

Di rilievo è quanto ordinato dalla CIG per dare esecuzione alle misure provvisorie: entro un mese dall’ordinanza, Israele dovrà inviare alla Corte un rapporto con l’elenco delle misure adottate.

La reazione israeliana e l’efficacia dell’Ordinanza

La reazione israeliana non si è fatta attendere. Netanyahu, che aveva già bollato come “libello” la memoria introduttiva del processo dinanzi alla CIG, avrebbe definito come vergognosa l’ordinanza della Corte. È ormai pacifico che le ordinanze della CIG siano obbligatorie e che la loro violazione costituisce un illecito internazionale. Ma come reagire se Israele non darà corso all’ordinanza? È dubbio che il Sud Africa possa sollevare la questione dinanzi al Consiglio di Sicurezza, secondo quanto stabilito dalla Carta delle Nazioni Unite per le sentenze della CIG (a parte l’efficacia della misura che nel caso concreto potrebbe essere paralizzata dal veto di uno dei membri permanenti del Consiglio). Resterebbe la possibilità di ricorrere a contromisure di carattere sanzionatorio, come l’interruzione del trasferimento di armi. Nell’ordinanza della CIG non se ne fa menzione e, comunque, si tratta di misure che concretamente dovrebbero essere prese dagli occidentali, che difficilmente vorrebbero percorrere tale strada. Tra l’altro, alcuni Stati, come la Germania, hanno dichiarato di voler intervenire nel procedimento dinanzi alla CIG a fianco di Israele.

CIG e Corte Penale Internazionale

Si dimentica spesso che la CIG giudica gli Stati e non gli individui. In caso di soccombenza, lo Stato deve adottare tutte le misure necessarie per rimediare alle violazioni perpetrate, le quali, in caso di violazioni della Convenzione sul genocidio, potrebbero comportare anche la punizione dei colpevoli. Il giudizio sulla responsabilità degli individui spetta, oltre che ai tribunali interni, alla Corte Penale Internazionale (CPI). Israele non ha ratificato il trattato istitutivo, ma lo ha fatto la Palestina e quindi i crimini commessi a Gaza dovrebbero essere ricompresi nella competenza della CPI. La questione è controversa a causa della contestazione della statualità della Palestina e della sua titolarità a ratificare gli accordi internazionali. Ciononostante, il Procuratore della CPI ha aperto un’inchiesta sulle eventuali violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nell’attuale conflitto e taluni Stati (a cominciare dal Sud Africa e Bangladesh) hanno denunciato alla CPI il comportamento tenuto da Israele.

Il contributo del diritto internazionale alla soluzione dei conflitti

Chiaramente, le corti internazionali, inclusa la CIG, non possono risolvere i conflitti, specialmente quando si tratta di conflitti annosi e complicati come quello israelo-palestinese. Spetta alla politica e alla diplomazia farlo. Ma le corti possono stabilire dei punti fermi, secondo il diritto internazionale, su cui costruire intese e soluzioni di carattere politico. Nel caso concreto, la CIG si è già espressa a favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese e lo ribadirà certamente anche nel procedimento attualmente in corso sul parere consultivo relativo alle politiche e pratiche di Israele in territorio palestinese occupato, ponendo le basi per la soluzione dei due popoli-due Stati. In quest’ottica deve essere valutata l’ordinanza del 26 gennaio, al fine di impedire che gli organi politici rilascino dichiarazioni che possano essere interpretate come uno stimolo a commettere genocidio e per ribadire il rispetto del diritto umanitario. Le determinazioni dei tribunali internazionali dovrebbero, inoltre, servire come premessa per le decisioni da prendere nelle nostre democrazie.

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