Fermare lo spettro nucleare agitato da Putin

Nel 2005 Thomas Schelling fu insignito del premio Nobel (per l’economia) anche “per aver fatto avanzare la nostra comprensione dei conflitti e della cooperazione tramite la Teoria dei giochi”, come si diceva nella motivazione. Ecco le parole con cui aprì il suo discorso di accettazione a Oslo: “L’evento più straordinario del passato mezzo secolo è un evento che non si è verificato. Abbiamo beneficiato di sessant’anni senza che una sola arma nucleare sia esplosa in conflitto”.

La logica della deterrenza contro l’escalation

Fino a ieri abbiamo potuto estendere alle prime due decadi del secolo presente la costatazione di Schelling. E tuttavia proprio mentre scatenava il suo attacco all’Ucraina, 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha messo in stato di allerta il sistema strategico nucleare russo, senza apparentemente averne alcuna motivazione, salvo quella di ricordare all’Europa e agli Stati Uniti l’esistenza della cosiddetta escalation, cioè il passaggio a uno scontro maggiore per l’andata fuori di controllo di uno minore, fino allo stadio finale nel quale si colloca l’uso dell’atomica.

Quel che blocca il meccanismo dell’escalation è la logica della deterrenza, che nella sua dimensione nucleare, dissuade l’aggressore con la prospettiva di subire un danno così massiccio da svalutare il vantaggio dell’attacco. È la logica che ingabbiò l’equilibrio del terrore fra Stati Uniti e Unione Sovietica e che poi ha funzionato nel post-bipolarismo e nella globalizzazione, reggendo – finora – alla crescita del multipolarismo delle potenze, propria dell’inizio del presente secolo.

Durante la Guerra Fredda fra le ipotesi negoziali di “arms control” (che noi chiamiamo ottimisticamente di “disarmo”) ci fu quella di un’intesa per cui le parti si impegnavano a non ricorrere per primi all’arma nucleare, il cosiddetto “no first use”. Furono gli Stati Uniti a opporvisi (con il sostanziale consenso degli europei, più esposti a un primo scambio locale) alla luce della preponderanza convenzionale dell’Unione sovietica, allora. Susseguentemente, anche la Federazione russa ha lasciato cadere l’ipotesi in questione dalla sua dottrina strategica, dato che aveva perso detta preponderanza.

Oggi saremmo rassicurati dall’essere in vigore un tale impegno (a favore del quale peraltro si era espresso Joe Biden quando era senatore). In sua assenza assumono ancor più rilevanza gli stadi intermedi dell’escalation, rispetto ai quali l’Occidente democratico è svantaggiato a seguito alla sua riluttanza a percorrerli, come si è visto per esempio nel difficile “no” opposto alle ripetute invocazioni del Presidente Zelensky di imporre la no-fly zone nei cieli dell’Ucraina. Per contro, sta crescendo il sospetto che il Cremlino, alla luce delle difficoltà di un’offensiva militare che si era prevista veloce ed efficace, stia invece contemplando stadi più elevati, come l’uso di armi chimiche (magari camuffato, attribuendone l’origine ai resistenti ucraini, secondo una formula già usata).

Tenere i nervi ben saldi contro la paura del nucleare

Attenzione. Tanto più si innestasse un circolo vizioso fra l’intollerabilità di una sconfitta potenziale da parte del personaggio Putin ed il suo ricorso ad armi più micidiali, tanto più prenderebbe forma lo spettro che si arrivi allo stadio finale, quello dell’arma nucleare – foss’anche nella versione della testata a corto raggio d’azione. E magari con la benedizione di san Fëdor Ušakov, l’ammiraglio che nella guerra russo-ottomana “non perse una sola battaglia”, come venerdì scorso il nuovo zar ha ricordato ai suoi sudditi nello stadio di Mosca. Non è solo la chiesa ortodossa russa ad avere i suoi santi guerrieri. La novità qui è che l’icona in questione è stato poi nominato patrono dei bombardieri atomici della marina russa.

Insomma, si parla della possibilità che venga a cadere nel nostro secolo ventunesimo il grande non-evento di Thomas Schelling (del quale, sia detto per inciso, lo IAI curò il volume “La diplomazia della violenza” in edizione italiana). Ora, a fronte di tale minaccia, è bene tenere i nervi a posto, rifiutare la “sfumatura” della bomba nucleare tattica ribadendo la sua natura di arma atipica, indipendentemente dal raggio d’azione. Da qui, il sussistere della logica della deterrenza. E nello stesso tempo continuare ad operare conciliando un supporto militare sempre più efficace alla resistenza del popolo di Zelensky con la cautela di frenare quanto più possibile il meccanismo dell’escalation.

E infine mantenere saldo l’intento di riprendere e di rilanciare i negoziati con la Repubblica russa per il controllo degli armamenti, innanzitutto di quelli nucleari e degli altri cosiddetti di distruzione di massa. E ciò indipendentemente dalla durata, dagli esiti e dalle conseguenze della vile guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina europea.

Foto di copertina EPA/FOCKE STRANGMANN

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