EU Chips Act e relazioni transatlaniche: alla ricerca di un equilibrio

Le recenti carenze di semiconduttori hanno evidenziato la dipendenza dell’Unione Europea (UE) da un limitato numero di fornitori al di fuori dei suoi confini. Quasi l’80 per cento dei fornitori delle aziende europee nell’industria dei semiconduttori ha sede al di fuori dell’UE . Questa capacità limitata influisce sulla capacità dell’UE di soddisfare in modo indipendente le proprie esigenze di semiconduttori, specialmente durante le interruzioni delle catene di approvvigionamento globali causate da tensioni geopolitiche, disastri naturali o eventi globali come le pandemie.

In linea con l’aspirazione all’autonomia strategica, l’UE ha lanciato un piano ambizioso, il “European Chips Act”, per potenziare la produzione interna lungo l’intera catena del valore dei semiconduttori.

EU Chips Act: le considerazioni strategiche aperte

L’iniziativa legislativa mira a raddoppiare la quota europea della capacità produttiva globale, in termini di valore, dall’attuale 10 per cento al 20 per cento entro il 2030. Per raggiungere gli obiettivi ambiziosi stabiliti dall’atto, l’UE dovrebbe mobilitare fino a 15 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati, oltre ad altri 30 miliardi allocati da altri programmi europei, come Next Generation EU o Horizon Europe. Questi fondi sono specificamente destinati a promuovere la ricerca e migliorare le capacità di produzione di semiconduttori all’interno dell’UE.

Il “European Chips Act” si basa su tre pilastri principali: (i) l’istituzione dell’Iniziativa Chips for Europe con un budget di 3,3 miliardi di euro di fondi UE affiancati dagli Stati membri per facilitare il trasferimento di conoscenze e finanziare tecnologie innovative; (ii) la creazione di un meccanismo di coordinamento tra Stati membri e la Commissione europea; (iii) il lancio dell’Accademia Europea delle Competenze per i Chip, che progetterà programmi di formazione su misura basati sulle esigenze e sulla domanda dell’industria locale dei chip e la creazione di una rete di “centri di competenza” per favorire gli effetti di spillover tra gli Stati membri dell’UE.

Sebbene il European Chips Act stabilisca un piano ambizioso, l’UE – come qualsiasi altro paese o blocco – non può essere autosufficiente. L’UE avrebbe bisogno di un investimento iniziale stimato di oltre 300 miliardi di dollari statunitensi per replicare l’intera catena di approvvigionamento e comporterebbe un aumento dei prezzi dei semiconduttori stimato tra il 35 e il 65 per cento.

L’attuazione del European Chips Act pone ancora domande e sfide chiave. Queste sfide riguardano non solo la strategia sottostante dell’UE, ma costituiscono anche un fattore cruciale nel determinare le metriche per valutare il successo (o il fallimento) di tale strategia.

Una scelta fondamentale sara’ quella di prioritizzare strategicamente su quale generazione di chip l’UE dovrebbe concentrarsi. Mentre investire in chip avanzati è vantaggioso per le applicazioni tecnologiche più recenti come i data center o le applicazioni di intelligenza artificiale (IA), cluster industriali cruciali dell’UE – come il settore automobilistico o dell’assistenza sanitaria – richiedono principalmente semiconduttori meno avanzati. La sfida è bilanciare le esigenze a breve e medio termine con le ambizioni a lungo termine basate sulle proiezioni di consumo futuro dell’UE.

Una seconda considerazione strategica è quali segmenti della catena di approvvigionamento l’UE dovrebbe priorizzare. Consapevole che non può essere autosufficiente, l’UE dovrebbe valutare se priorizzare i segmenti in cui dipende maggiormente dai paesi terzi o se invece mirare alle fasi che implicano maggiore valore aggiunto, oppure se investire nei segmenti in cui è già in prima linea – per consolidare il suo vantaggio comparativo e il suo posizionamento nei mercati globali.

Cooperazione UE-USA: alla ricerca di un equilibrio

Non dovrebbe sorprendere che i legami fornitore-cliente per le aziende mostrino che le aziende europee hanno il più alto numero di collegamenti con aziende statunitensi nel settore dei chip, sottolineando ancora una volta la centralità della cooperazione transatlantica.

Per favorire un partenariato più equilibrato ed efficiente con gli Stati Uniti, l’UE dovrebbe sfruttare i suoi vantaggi comparativi per ampliare e consolidare il suo posizionamento strategico nella catena di approvvigionamento globale attraverso tre obiettivi politici.

La cooperazione transatlantica dovrebbe andare oltre l’attuazione del controllo delle esportazioni. Dovrebbe mirare a favorire complementarietà delle politiche industriali mentre perseguendo concessioni commerciali reciproche per incentivare l’efficienza economica e consentire alle aziende, da entrambe le parti, di sfruttare una scala più ampia. Inoltre, dovrebbero concentrarsi congiuntamente a garantire un approvvigionamento stabile e sostenibile di materie prime essenziali che sono fondamentali per la produzione di chip.

Infine, l’UE deve investire più capitale politico nel tentativo di diversificare la sua catena del valore per ridurre ultimamente il rischio della sua attuale dipendenza da paesi terzi. La complessità e la frammentazione della catena del valore dei semiconduttori richiedono un sistema di alleanze globlae. I partenariati digitali con Giappone, Corea del Sud e Singapore e il recente MoU firmato con l’India sono i passi giusti in questa direzione.

Le ambizioni per la cooperazione sui semiconduttori si scontrano con uno sfondo di tensioni nelle relazioni commerciali transatlantiche che hanno portato a un’intensificazione delle barriere commerciali reciproche. Se gli Stati Uniti e l’UE non iniziano seriamente a discutere di una nuova agenda di politica commerciale, ogni sforzo riguardante i chip è probabile che produca risultati insoddisfacenti.

Ancora una volta, il destino della cooperazione tra Stati Uniti e UE sui chip è solo un piccolo pezzo di un puzzle più ampio che dipende dai risultati delle elezioni da entrambe le parti dell’Atlantico.

Nicola Bilotta è responsabile di ricerca presso lo IAI dove lavora su progetti di economia politica internazionale, economia digitale e "geofinance".

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