Il sistema monetario mondiale è sempre più frammentato

Il presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva ha dichiarato che ogni notte prima di addormentarsi si interroga sui motivi per cui tutti i paesi devono dipendere dal dollaro statunitense per facilitare gli scambi commerciali invece di usare le proprie valute nazionali. La stessa domanda, invece, non sembra tener sveglio Emmanuel Macron che però poco dopo lo scoppio della guerra in Ucraina ha ribadito che l’Unione Europea deve avere l’ambizione di ridurre la propria dipendenza dall’extraterritorialità del dollaro statunitense. Sempre recentemente, la segretaria del Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha messo in guardia sui rischi delle sanzioni finanziarie collegate al dollaro che potrebbero minare la sua egemonia. 

Niente di originale. La caduta del dollaro americano è stata prevista, sfidata e discussa negli ultimi due decenni. Eppure, il dollaro continua a rimanere l’unica vera valuta internazionale.

Come mai questa congiuntura storica potrebbe davvero incentivare un’erosione graduale del ruolo globale del dollaro? Nell’economia globale stanno agendo tre dinamiche che si intrecciano e amplificano tra di loro. La convergenza delle tensioni geopolitiche, degli equilibri economici e della trasformazione digitale potrebbe creare le condizioni per una graduale frammentazione del sistema monetario globale nel lungo termine.

Le trasformazioni negli equilibri economici

Secondo un recente articolo di The Economist, i 25 principali Paesi “non allineati” – quelli che non hanno imposto sanzioni alla Russia o che desiderano rimanere neutrali nel conflitto tra Stati Uniti e Cina – rappresentano il 45% della popolazione mondiale e la loro quota del pil globale è passata dall’11% negli anni ’90 all’attuale 18%, superando quella dell’Unione europea. Nonostante in teoria potrebbe avvalersi di un peso economico importante, la diversità dei loro interessi nazionali e dei loro modello di sviluppo – rendono improbabile che i “non allineati” agiscano come un blocco coeso. Tuttavia, potrebbero trovare un terreno comune su questioni specifiche, come dimostra la recente decisione dell’OPEC di ridurre la produzione di petrolio nonostante l’opposizione occidentale.

Una dimensione in cui potrebbero essere incentivati a trovare un punto di incontro è la riduzione della dipendenza globale dal dollaro statunitense e dal sistema di pagamenti basato su infrastratture e operatori occiedentali. Negli ultimi due decenni, gli Stati Uniti hanno notevolmente aumentato l’uso di sanzioni economiche come strumento di politica estera. Dal 2000, il numero di sanzioni imposte dagli Stati Uniti è aumentato del 933%. Questa tendenza ha spinto molti paesi in tutto il mondo a cercare alternative per condurre transazioni internazionali, al fine di evitare il rischio di poter essere colpiti da sanzioni americane. 

Petrodollari

Il mercato globale del petrolio fornisce un esempio significativo dello status eccezionale del dollaro statunitense. Fin dagli anni ’70, i principali paesi produttori di petrolio, specialmente quelli dell’OPEC, hanno fissato il prezzo del petrolio esclusivamente in dollari. Eppure, recenti sviluppi suggeriscono piccoli sforzi per la diversificazione. Nel dicembre 2022, la Cina ha invitato l’Arabia Saudita e altri paesi del Golfo a regolare le transazioni commerciali bilaterali del petrolio in yuan. Allo stesso modo, India e Russia stanno attualmente rinegoziando per stabilire accordi in rupie-rubli per regolare le transazioni commerciali del petrolio, spinti dall’impatto delle sanzioni occidentali. Russia, Iran e Venezuela, che insieme detengono il 40% delle riserve petrolifere provate dell’OPEC+, hanno incentivi strategici a considerare il passaggio al petrolio denominato in yuan. Inoltre, il 40% delle riserve petrolifere provate appartiene ai paesi del Golfo, i cui membri, sebbene storicamente vicini agli Stati Uniti, si sono mostrati più assertivi nel manifestare la propria posizione su importanti questioni regionali e globali.

Tuttavia, non bisogna sovrastimare l’effetto potenziale. Ad esempio, anche se tutte le importazioni di petrolio della Cina fossero denominate in yuan, rappresenterebbero solo il 15-20% dei futuri contratti globali. Tuttavia, è un esempio significativo di una tendenza più ampia in cui i paesi cercano alternative al dollaro statunitense nei loro accordi commerciali. 

Il paradosso della digitalizzazione

Sebbene al momento non esistano alternative al dollaro statunitense, i processi di digitalizzazione hanno il potenziale per agevolare e accelerare tali ambizioni nel lungo periodo. L’eventuale implementazione delle CBDCs (Central Bank Digital Currencies) a livello mondiale potrebbe ridurre i costi associati alle transazioni transfrontaliere e stabilire una nuova infrastruttura internazionale di pagamento. Se in futuro verranno sviluppate diverse CBDC nazionali, gli accordi bilaterali e multilaterali sulle CBDC potrebbero aprire la strada a una nuova rete di sistema di pagamento basata su accordi multi-CBDC. Ciò ridurrebbe significativamente i rischi di cambio, rendendo i nodi più indipendenti dal dollaro statunitense poiché non richiederebbero l’infrastruttura di compensazione e regolamento multi-livello che attualmente sostiene le transazioni. Tuttavia, per realizzare questo potenziale, è necessaria una certa cooperazione per stabilire standard e protocolli condivisi che assicurino l’interoperabilità tra i sistemi CBDC, poiché i paesi dovranno accettare le valute degli altri come moneta di scambio.

Inoltre, l’emergere di piattaforme di scambio automatizzate ed elettroniche ha notevolmente ridotto i costi delle transazioni, consentendo alle banche centrali di accedere alle valute estere in modo più facile ed economico, incoraggiando così la diversificazione delle loro riserve. Questa tendenza si riflette nella diminuzione globale delle riserve estere detenute in dollari statunitensi, passate da circa il 70% nei primi anni 2000 al 59% nel terzo trimestre del 2021. Uno studio del FMI mostra che un quarto di questa spostamento è verso lo yuan, mentre i restanti tre quarti sono investiti in valute di paesi più piccoli. Ciò suggerisce che le banche centrali stanno adottando una strategia di diversificazione del portafoglio guidata dalle forze di mercato. Con la recente militarizzazione del dollaro statunitense, questa tendenza alla diversificazione potrebbe accelerare, incentivata ulteriormente da una strategia di “gestione del de-risking”.

Nonostante l’inerzia e l’attrito siano forze cruciali che tendono a consolidare la dominanza del dollaro statunitense, il processo di digitalizzazione finanziaria può rappresentare una forza determinante per il cambiamento, promuovendo la diversificazione delle valute e dei sistemi di pagamento. Sebbene si potesse presumere che la digitalizzazione avrebbe portato all’emergere di “valute universali”, eliminando gli ostacoli e semplificando i processi, la digitalizzazione presenta una contraddizione fondamentale. Poiché le trasformazioni digitali nel settore finanziario sono strettamente intrecciate con aspetti fondamentali delle reti digitali, delle infrastrutture, della gestione dei dati e delle normative, dovranno affrontare nuovi attriti tecnici, economici e politici.

In effetti, la digitalizzazione finanziaria potrebbe addirittura contribuire a frammentare ulteriormente il sistema monetario globale, riflettendo la crescente multipolarità e frammentazione geoeconomica del mondo contemporaneo. Sul lato pessimistico, vi è il rischio che la frammentazione finanziaria e geoeconomica possa portare alla formazione di blocchi o alleanze regionali, in cui sistemi digitali interoperabili potrebbero rafforzare l’interdipendenza economica e commerciale regionale a discapito della connettività con altre regioni o paesi al di fuori del blocco. In questo scenario, la cooperazione economica e il coordinamento globale potrebbero subire un significativo declino, con conseguenti effetti negativi come la riduzione degli scambi e dei flussi di capitali transfrontalieri, un accesso limitato ai mercati e una minore cooperazione economica tra i paesi. Questa frammentazione potrebbe ostacolare la crescita economica globale, modificare le catene di approvvigionamento e causare una distribuzione ineguale di risorse e opportunità tra diverse regioni. È un scenario di perdita per tutti.

Foto di copertina EPA/MAXIM SHIPENKOV

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