Donald e la minaccia cinese

Sebbene le divergenze e le frizioni tra Stati Uniti e Cina siano iniziate ben prima del debutto dell’amministrazione Trump (2016-2020), quelli sono stati gli anni che hanno prima cementato e poi inasprito i contrasti. Con metodi discutibili, Trump ha smascherato la Cina e l’ha privata del lusso di poter far leva su vantaggi economici ottenuti attraverso pratiche non di mercato. Il simbolo dell’approccio alla Cina dell’amministrazione Trump è infatti stata la Guerra Commerciale (Trade War) iniziata nel 2018 e, di fatto, mai finita. Attraverso la Guerra Commerciale, Trump puntava, tra altre cose, a risolvere il problema del deficit della bilancia commerciale che vedeva gli Stati Uniti in difetto rispetto alla Cina. Si potrebbe dibattere sulla validità dell’obiettivo: non sempre, infatti, una bilancia commerciale in deficit è un reale problema, dipende dalla composizione del deficit e da altri elementi, quali l’importanza per l’esportatore del mercato di destinazione. Proprio la Guerra Commerciale e gli anni successivi hanno dimostrato come, bilancia commerciale in deficit o meno, il mercato e gli investimenti statunitensi siano vitali per l’economia cinese.

La Guerra Commerciale si è poi evoluta in una guerra economica che ha coinvolto non solo il commercio, ma anche gli investimenti e soprattutto lo sviluppo tecnologico, dando di fatto inizio al contenimento di quello cinese. L’amministrazione Biden ha poi continuato su questa rotta, sebbene con mezzi e toni diversi, ma il cambiamento delle relazioni economiche tra le due grandi potenze è stato segnato in maniera indelebile dal passaggio di Donald Trump alla Casa Bianca.

Non solo le relazioni economiche sono cambiate per sempre, ma anche quelle diplomatiche. Per fare un esempio, l’amministrazione Trump lanciò l’iniziativa “Indo-Pacifico Libero e Aperto” (Free and Open Indo-Pacific), la quale delineava una sorta di strategia di implicito contenimento geopolitico della Cina, volta a rispondere alle mire egemoniche cinesi. Risale poi sempre all’amministrazione Trump lo sforzo per approfondire e rafforzare le relazioni con Taiwan, che ha incluso l’aumento delle vendite di armi verso l’isola e dell’attività militare statunitense nella zona. Taiwan è diventato uno dei centrali motivi di tensioni tra Stati Uniti e Cina. Il rafforzamento delle relazioni tra USA e Taiwan e la decisione presa da Pechino di rimuovere il termine “pacifico” nei nuovi documenti strategici che affrontano la questione della riunificazione tra la Repubblica Popolare di Cina e Taiwan hanno fatto sì che tensioni e potenziali escalation nello stretto siano ora tra gli scenari più studiati e seguiti nell’analisi di un potenziale conflitto tra USA e Cina.

Le tensioni tra USA e Cina sarebbero eventualmente emerse con o senza Trump, con qualche anno di ritardo forse. Dopotutto, la Cina non solo aveva già da lungo tempo intrapreso un percorso di erosione dell’egemonia statunitense a proprio favore, ma non mostrava intenzione di abbandonare pratiche economiche che creavano svantaggi ingiusti per la competizione (i.e., utilizzo ampio di sussidi statali per avvantaggiare le proprie imprese e pratiche di coercizione economica). Tuttavia, è innegabile che Trump e la sua amministrazione abbiano funto da acceleratore e catalizzatore delle dinamiche geopolitiche di tensione tra USA e Cina che sono diventate parte della nostra quotidianità.

Una potenziale amministrazione Trump II è più difficile da delineare. L’appoggio per una politica decisa di implicito contenimento della Cina ha il sostegno di entrambi i partiti, democratici e repubblicani; quindi, è difficile da metter in discussione. Inoltre “la minaccia cinese”, soprattutto economica, ha fornito il cappello perfetto per politiche altamente popolari negli Stati Uniti di incentivi per il rientro di industrie manifatturiere e lavori annessi nel territorio statunitense, quali ad esempio l’Atto per la Riduzione dell’Inflazione (Inflation Reduction Act), che incentiva alla produzione in territorio USA di tecnologie per la transizione verde. Perciò è difficile vedere un Presidente populista come è stato e sarà Trump disfare questo approccio statunitense filo-protezionista. Tuttavia, rispetto agli anni tra il 2016 e il 2020, una nuova variabile si è inserita: la variabile russa. Non è un segreto che Trump sia vicino alla Russia e a Putin, e Putin a sua volta è vicino e ha bisogno della vicinanza della Cina e di Xi Jinping. Questo pone un punto di domanda sulla potenziale politica estera di un possibile Trump II nei confronti della Cina. Un modo per Trump di gestire la situazione sarebbe quello di un ritorno a una politica USA più isolazionista. Propongo qui un potenziale scenario di molti che potrebbero manifestarsi.

Di fatto Trump continuerà con la politica di contenimento nei confronti della Cina e anzi ne alzerà i toni, ma le azioni si concentreranno sui benefici per gli americani. Questo implicherà costi per gli alleati, europei ed asiatici, ma collaborare con gli alleati non è mai stata una priorità di Trump e la sarà ancora meno in una potenziale seconda amministrazione. Al contrario, le dispute commerciali aperte tra alleati e gli USA aumenteranno. Il risultato sarà che gli alleati saranno indeboliti, facendo così contenta Mosca, e dovranno adottare una politica ancora più realista e pragmatica di quella adottata negli anni passati. Tale politica includerà non solo un consolidamento delle relazioni con paesi terzi, ma una riconsiderazione delle relazioni con Pechino, con alcuni alleati e partner che si riavvicineranno alla Cina.

Trump II perciò non vedrebbe un riavvicinamento tra Washington e Pechino, per lo meno non formale, ma porterebbe a una rottura di ciò che resta dell’ordine liberale interazionale e soprattutto una rottura delle alleanze tradizionali degli USA, avvantaggiando così gli obiettivi di Mosca e quelli di Pechino. In tale scenario l’Europa è particolarmente vulnerabile e farebbe bene a rafforzare le proprie relazioni con altri paesi per meglio assestare il colpo.

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