La competizione strategica del futuro sarà “underwater”

Grazie all’innovazione tecnologica e all’importanza strategica delle infrastrutture critiche posate sui fondali marini come gasdotti, oleodotti e cavi internet, il dominio subacqueo, o underwater, è divenuto una frontiera di grande rilevanza nella competizione fra Stati, rinnovando e ampliando i termini delle operazioni militari sottomarine. Se ne discuterà il 30 maggio nel webinar IAI “L’Italia, il Mediterraneo allargato e il dominio subacqueo”. 

Infrastrutture subacquee: vitali e vulnerabili

L’economia globale e il benessere delle società occidentali dipendono largamente dal funzionamento di un grande e crescente numero di infrastrutture critiche sottomarine, a partire dai cavi subacquei per internet e le telecomunicazioni, i gasdotti e gli oleodotti. Senza contare che il mare è ovviamente fonte di nutrimento essenziale per miliardi di persone e, da migliaia di anni, ospita le più importanti vie di comunicazione per lo scambio di merci. 

Ad oggi, oltre il 97 per cento del traffico internet globale attraversa più di 400 cavi in fibra ottica appoggiati sui fondali marini, per una lunghezza complessiva che supera il milione di chilometri.  Inoltre, circa il 30 per cento degli idrocarburi sono estratti da piattaforme offshore, mentre una porzione significativa di tutti gli idrocarburi è trasportata via mare per mezzo di oleodotti, gasdotti o navi prima di arrivare al consumatore. Se cavi subacquei e condotti sottomarini sono ormai in uso da più di ottanta anni e hanno sempre sofferto di un certo grado di vulnerabilità – specialmente in acque basse e costiere – storicamente hanno potuto contare sull’opacità e inaccessibilità del mare come prima linea di difesa. 

Oggi, vista la crescente dipendenza delle economie europee – inclusa quella italiana – da queste infrastrutture e grazie sia all’innovazione tecnologica che rende i fondali e le grandi profondità più accessibili a operatori civili e militari, esse diventano obiettivi strategici e dunque più vulnerabili che mai al sabotaggio. Si può dire in altre parole che ci sia stata, negli ultimi decenni, una graduale convergenza fra le capacità operative a disposizione e la volontà di diversi attori di colpire tali obiettivi, come dimostrato nel 2022 dal sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico

Fra le principali potenze, la Russia è quella che più di tutte ha investito nella capacità di sabotaggio in profondità, dotandosi di mezzi specializzati in alcuni casi unici nel loro genere. L’approccio di Mosca a questo dominio rientra in una dottrina che dà grande valore alla difficile attribuzione di attacchi situati nella ‘zona grigia’ fra la guerra e la pace. Attacchi che non sono affatto nuovi guardando alla storia della guerra sottomarina. 

Un secolo e mezzo di guerra sottomarina

Il 17 febbraio del 1864, a Charleston in South Carolina durante la Guerra Civile americana, un sommergibile colpiva e affondava per la prima volta nella storia una nave. L’H.L. Hunley era stato progettato e costruito dalle forze confederate nel disperato tentativo di spezzare il blocco navale al quale la marina americana sottoponeva i maggiori porti secessionisti. Nell’impossibilità di affrontare la US Navy, in condizioni di assoluta inferiorità navale, si intuì che un sommergibile operante sotto il pelo dell’acqua e nel buio della notte avrebbe potuto avvicinarsi abbastanza alle navi avversarie per poterle colpire con una carica esplosiva. Il battello era lungo dodici metri e si muoveva a propulsione ‘muscolare’, grazie alle braccia del suo equipaggio che agivano su un lungo albero a gomiti collegato all’elica. Nonostante il successo dell’affondamento della nave nemica, tutti i membri dell’equipaggio persero la vita durante l’azione. Fu però evidente la potenziale efficacia dello sfruttamento del dominio subacqueo in operazioni militari – soprattutto in situazioni di asimmetricità, come nel caso del fronte navale del conflitto americano. 

A poco meno di un secolo dall’azione del H.L.Hunley, la US Navy prendeva in consegna il primo sottomarino a propulsione nucleare, l’USS Nautilus. Lungo quasi cento metri e capace di un’autonomia in immersione impensabile con i sottomarini convenzionali usati fino a quel punto, rappresentò una rivoluzione copernicana nella guerra sottomarina. Se nei primi anni della Guerra Fredda i sottomarini erano strumenti utilizzati principalmente per colpire navi di superfice, pochi anni dopo l’introduzione in servizio del Nautilus gli americani testarono con successo il lancio di missili balistici da un sottomarino in immersione. 

Il rapido progresso tecnologico che ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso ha reso i sottomarini convenzionali e nucleari piattaforme estremamente complesse, silenziose e capaci, diversificando anche i compiti che potevano svolgere. I sottomarini rimangono uno strumento essenziale per la deterrenza navale poiché ancora oggi mantengono la loro caratteristica elusività garantita dall’inaccessibilità e opacità del mare. Non a caso, infatti, con l’intensificarsi della competizione geo-strategica fra Stati, sempre più marine vogliono dotarsi di questa capacità per la prima volta – una tendenza particolarmente evidente nell’Indo-Pacifico.

L’innovazione presente e futura tra tecnologie emergenti e dual-use

In aggiunta alla realtà consolidata dei sottomarini, tra le nuove tecnologie più abilitanti in un’ottica sia di offesa che quindi di protezione e sorveglianza delle infrastrutture subacquee vi sono senza dubbio i veicoli subacquei senza equipaggio, meglio noti anche in Italia come uncrewed underwater vehicles (UUV), che possono essere pilotati remotamente (remotely operated uncrewed vehicles – ROUV) oppure autonomi (autonomous underwater vehicle – AUV). Gli UUV infatti non sono limitati dalla presenza a bordo di esseri umani e perciò possono scendere a migliaia di metri sotto la superficie senza dover risolvere una delle problematiche più complesse della navigazione subacquea, ossia la protezione dell’equipaggio dall’altissima pressione. 

Le proprietà fisiche dei corpi d’acqua inoltre fanno sì che le comunicazioni wireless maggiormente usate in superficie siano impraticabili o quantomeno subottimali, rendendo la facoltà di svolgere diversi compiti in autonomia, senza il bisogno di una connessione in tempo reale, una capacità preziosissima nel campo degli AUV. Ricerca e sviluppo sia nel campo militare che in quello civile stanno portando a forti progressi in questo ambito, anche in Italia. 

È evidente tuttavia che l’efficacia di soluzioni autonome in contesti operativi debba avanzare in parallelo con l’applicazione dell’intelligenza artificiale, il machine learning e altre tecnologie emergenti e dirompenti utili non soltanto in un’ottica di difesa. Il dominio underwater, infatti, condivide molte caratteristiche con quello spaziale, a partire dall’ostilità all’essere umano. Ma, come nello spazio, le attività in mare vedono in primo piano sia le forze armate che operatori civili come i gestori dei gasdotti, delle piattaforme di estrazione o degli scali commerciali. Ne consegue che l’innovazione in questo campo non può prescindere da un approccio consono alla vocazione duale di molte delle tecnologie necessarie per operare sottacqua.

In conclusione, i veicoli subacquei senza equipaggio si aggiungono ai sottomarini, senza sostituirli, aumentando le capacità offensive e difensive in un dominio sempre più strategico e conteso.

Foto di copertina MARIO DE RENZIS /ANSA /JI

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