Un ruolo guida per l’Italia nel Mar Rosso

Il 14 febbraio 2025, a un anno dall’avvio dell’operazione EUNAVFOR Aspides, il Consiglio dell’Unione Europea ha deciso di rinnovarne il mandato fino al 28 febbraio del 2026. Una buona notizia per l’Italia, che fin dai primi giorni degli attacchi Houthi contro navi commerciali nel Mar Rosso ha cercato di mobilitare una risposta dell’UE ad una minaccia che colpisce le economie di tutto il continente. Per Roma, la salvaguardia del principio di libertà di navigazione è infatti un obiettivo strategico fondamentale considerando che oltre il 60% delle importazioni e il 50% delle esportazioni nazionali passano dal mare. Non a caso il Mediterraneo allargato è ad oggi il punto focale della proiezione operativa delle Forze Armate, con gli stretti di Suez e Bab-el-Mandeb come sorvegliati speciali.

Con poche eccezioni negli ultimi decenni, l’Italia ha voluto agire all’interno di coalizioni preferibilmente inquadrate in strutture di comando NATO o UE. In tale contesto, che la libera navigazione sulle rotte tra Mar Rosso e Golfo Persico sia un interesse fondamentale per l’Italia e la sua economia è ben evidenziato dal fatto che oltre al ruolo guida in Aspides, la Marina Militare fornisce spesso e volentieri un contributo abilitante ad altre operazioni di sicurezza marittima nel Mediterraneo allargato. In primis EU Naval Force (EUNAVFOR) Atalanta, attualmente a guida Italiana, che dal 2008 contrasta la pirateria al largo del Corno d’Africa, e l’ora conclusa operazione AGENOR – componente militare della European-led Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASoH).

Insicurezza marittima

Tuttavia, l’attuale scenario geopolitico, caratterizzato dalla competizione tra stati e crescente instabilità, è foriero di un contesto dove la libertà di navigazione diventa sempre meno un aspetto inviolabile del diritto internazionale. Dal Mar Rosso fino al Mar Cinese Meridionale assistiamo a un marcato processo di territorializzazione dei mari e in generale al ritorno del mare come punto di incontro (e potenziale scontro) tra grandi potenze. Di fronte ad un proliferare di crisi e minacce non è scontato che NATO e UE riescano sempre a garantire l’unità e tempestività necessarie per mobilitare i rispettivi strumenti.

In tale contesto, gli attacchi a navi commerciali per mano degli Houthi, e la frammentata risposta occidentale, rappresentano una svolta preoccupante per due motivi. Prima di tutto, gli Houthi si sono dimostrati capaci di adoperare sistemi d’arma relativamente avanzati in grado di minacciare e, in alcuni casi, colpire navi anche a centinaia di chilometri di distanza. Missili da crociera, missili balistici e droni sono infatti strumenti ben diversi dalle armi tipiche dei pirati somali che pur hanno messo a soqquadro la libera navigazione intorno al Corno D’africa nello scorso decennio. In secondo luogo, è apparso evidente come, di fronte ad una minaccia tale da richiedere un intervento militare, dai Paesi occidentali non sia scaturito un approccio unitario. Gli Stati Uniti, seguiti dal Regno Unito, hanno infatti prediletto una strategia più aggressiva con la missione Poseidon Archer (in parallelo all’operazione Prosperity Guardian) per di colpire obiettivi Houthi sulla terraferma. Nel fondare Aspides i Paesi partecipanti, Italia e Francia in primis, hanno invece preferito mantenere una postura più difensiva, con regole di ingaggio più restrittive e che permettevano fondamentalmente soltanto di intercettare missili e droni già in volo.

Se da una parte l’operazione anglo-americana non è realmente riuscita a dissuadere gli attacchi degli Houthi, dall’altra l’approccio ostentatamente difensivo imposto ad Aspides non può rappresentare un’idea di deterrenza a lungo termine contro nuovi attacchi da Houthi o altri attori statuali o non statuali. Anche a diversi mesi dall’inizio di entrambe le operazioni il traffico di navi portacontainer nel Mar Rosso ha continuato a calare, arrivando a dicembre 2024 a superare il meno 80% rispetto all’anno precedente. Aspides, che nel suo primo anno di operazioni ha scortato da vicino più di 370 navi, in diversi casi neutralizzando fisicamente missili e droni Houthi, non è evidentemente bastata a riportare fiducia nel settore dello shipping, che nella maggior parte dei casi ha continuato a preferire la rotta alternativa intorno all’Africa, che resta però più dispendiosa in termini di tempo e costi – nonché di emissioni di CO2. Se è vero che non è possibile analizzare questa crisi rimuovendola dal più ampio contesto dell’escalation in Medio Oriente, evocata ripetutamente dalla leadership degli Houthi, è comunque importante riflettere sul segnale che una risposta occidentale eterogenea e – dati alla mano – poco efficace in entrambe le sue declinazioni possa aver lanciato a livello regionale e globale.

L’importanza di una leadership italiana

Il lavoro della Marina italiana e di Aspides in generale è di assoluto valore, e anzi ha dimostrato la capacità dei Paesi dell’Unione di operare in teatri complessi come lo è stato il Mar Rosso nell’ultimo anno, proteggendo con successo tutte le navi mercantili scortate anche sotto il tiro degli Houthi. L’operazione stessa, a ben vedere, simboleggia un enorme passo avanti per l’avanzamento dell’ideale di una difesa europea in quanto rappresenta la prima volta che forze UE sono state dispiegate in un teatro operativo ostile fin da subito. Anche il processo decisionale per la creazione di Aspides è stato relativamente veloce rispetto al passato.

Per l’Italia si delinea dunque un futuro più incerto per ciò che riguarda la sicurezza delle rotte marittime, ma al contempo l’opportunità di costruirsi un ruolo di leadership nella salvaguardia della libera navigazione dei punti caldi del Mediterraneo Allargato, forte della sua Marina e del carattere expeditionary di tutta la Difesa. Un’Italia più decisa e decisiva sarebbe sicuramente un asset importante per l’Europa, in gran parte concentrata esclusivamente sulla minaccia russa ma spesso pronta a seguire i Paesi disposti a tracciare la strada in un Mediterraneo allargato sempre più agitato.

Questo articolo è stato scritto nell’ambito del progetto Rotte di distensione: sicurezza marittima e scenari di cooperazione attraverso il Mar Rosso, con il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e della Fondazione Compagnia di San Paolo.

Ricercatore nel programma “Difesa, sicurezza e spazio” dell’Istituto Affari Internazionali, dove si occupa di difesa e industria della difesa europee e di sicurezza marittima. In passato ha lavorato a Bruxelles presso l’International Crisis Group, il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e le Nazioni Unite.

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