La discussione sui rapporti fra democrazia, Stato di diritto e sicurezza è sempre viva, e non potrebbe essere altrimenti. Perché sono temi al cuore della vita di ogni cittadino, in una società pluralista, e perché cambiano nel tempo, sono in constante trasformazione. La pandemia continua a darcene esempi quotidiani: quale rapporto fra libertà e sicurezza, in frangenti in cui dobbiamo sentirci tutti corresponsabili nei confronti della collettività? E come cambia il concetto di sicurezza in un mondo globalizzato, esposto a vecchie e nuove minacce, dall’emergenza climatica al ritorno della guerra in Europa?
Di certo un dibattito che non conosce crisi è quello sulla “crisi della democrazia” degli Stati nazionali: crisi per la difficoltà che i regimi democratici possono avere nel prendere decisioni in tempi rapidi (“la democrazia ha la domanda facile e la risposta difficile”, sintetizzava Norberto Bobbio); crisi per l’impossibilità di affrontare con efficacia questioni che travalicano i confini domestici; crisi per la illusione di poter pesare come singoli Stati sulle grandi decisioni di un mondo dominato da vecchi e nuovi giganti (dagli USA, alla Russia, alla Cina).
Un mondo interdipendente richiede una condivisione di sovranità. L’Unione europea ha definito uno spazio democratico comune, basato su valori e principi condivisi (riassunti in una magnifica e troppo poco conosciuta “Carta dei diritti fondamentali”), che richiede un rigoroso rispetto dello Stato di diritto. Uno spazio che si allarga a nuove dimensioni della sicurezza. Riguardano la sicurezza democratica la qualità dell’informazione così come la protezione delle reti digitali e quella dei dati personali. Riguarda la sicurezza la capacità dello Stato sociale di continuare a garantire protezione nelle diverse fasi della vita. Riguarda la sicurezza la perseveranza nel far avanzare una transizione ecologica difficile ma vitale per il nostro pianeta.
Ma come vedono tutto questo le giovani generazioni?
L’Europa (dell’anno) dei giovani
Confrontarsi con i giovani su quello che pensano dell’Europa in cui vivono e sull’Europa che vorrebbero: è stato questo lo scopo dello «Young European Talks – La Mia Europa» che l’Istituto Affari Internazionali e il Centro Studi sul Federalismo hanno organizzato il 22 febbraio scorso a Torino, in collaborazione con il Collegio Carlo Alberto e Noisiamofuturo e in partenariato con la Fondazione Compagnia di San Paolo. Un evento con studenti in presenza a Torino e in collegamento da varie sedi in Italia. Un’occasione per riflettere insieme sui rapporti fra democrazia e sicurezza nel loro vissuto e nelle loro aspirazioni. Ne sono scaturite considerazioni originali, che hanno potuto confrontare con rappresentanti delle istituzioni italiane ed europee e dell’accademia.
Chi, come me, ha avuto la fortuna di poter dialogare con i giovani a Torino è rimasto colpito sia dalla qualità delle loro osservazioni sia dalla passione e chiarezza con cui sono state formulate. Ne è emersa la consapevolezza che una democrazia è per definizione imperfetta ma sempre perfettibile, e per questo è necessaria un’opinione pubblica vivace, impegnata, informata. Dai giovani è venuto un doppio appello, al diritto alla conoscenza e al diritto alla sicurezza, a poter vivere “lontani dalla paura”. Vogliono un’Europa che sappia proteggere le libertà e i diritti delle minoranze e un’Europa che sappia essere un attore propositivo su scala globale, nel campo dei diritti di tutte le persone come in quello della lotta ai cambiamenti climatici.
Dai giovani è venuta anche la richiesta di essere ascoltati e di luoghi in cui farsi ascoltare. Un’esigenza che l’Unione europea, in questo 2022 che ha proclamato “anno europeo dei giovani”, dovrebbe saper cogliere al volo. Non si parte da zero, anche dalle esperienze più recenti possiamo e dobbiamo imparare.
La casa della cittadinanza europea
La tragica forza dei fatti sta contribuendo a scrivere il futuro dell’Europa. Il dramma della pandemia ci ha anche portato Next Generation EU e un embrione di debito europeo; l’aggressività bellicosa della Russia di Putin costringe gli europei a uscire dal generico in tema di autonomia strategica, sia essa nella difesa europea o nella (in)dipendenza energetica. Nel frattempo, la Conferenza sul futuro dell’Europa il 20 febbraio ha chiuso i battenti della sua piattaforma digitale.
Vedremo quale sarà il destino delle proposte che online hanno riscosso più sostegno. Forse sono state alimentate troppe aspettative sulla Conferenza, che andrebbe vista come un primo esperimento, dal quale trarre utili lezioni. È certo importante mantenere la pressione su proposte di riforma istituzionale decisive – e a tutti ben note da anni. Ma non va sottovalutata la dimensione “orizzontale” della Conferenza (nome forse infelice) e della piattaforma digitale, quale luogo di scambio e di confronto per rafforzare conoscenza e consapevolezza europee.
Da qui una proposta: la piattaforma potrebbe diventare una iniziativa permanente, una “casa della cittadinanza europea” in cui possano continuare riflessioni, segnalazioni di azioni e mobilitazioni, processi di consultazione. È proprio di strumenti come questo una fiducia nelle capacità dell’opinione pubblica di rafforzare la qualità della democrazia. Vale in particolare per le generazioni più giovani e la loro domanda di partecipazione: anche a Torino ne abbiamo avuto una incoraggiante conferma.
Flavio Brugnoli è Direttore del Centro Studi sul Federalismo
Foto di copertina EPA/VASSIL DONEV