Conversazione con Mohammadhadi Mohammadi: “Israele non rischierà sino al punto di colpire ancora l’Iran”

Mohammadhadi Mohammadi è un autorevole analista iraniano, molto vicino ai riformisti, opinionista molto presente nel dibattito politico iraniano. Scrive soprattutto su Khorasan, giornale a larga tiratura che ha sede a Mashad. Ha conseguito un PhD in Relazioni internazionali. Lo incontro nel suo studio a Teheran.

Parliamo di questa prima fase del Governo Pezeshkian. Cosa gliene pare?

“La prima cosa da dire è che la maggior parte dell’elettorato iraniano aveva completamente perso fiducia nella politica. Il primo passo importante compiuto da Masoud Pezeshkian è stato l’ottenere la fiducia di questi elettori convincendoli a votare per lui. L’altra questione è che, con il team che ha riunito intorno a sé, è riuscito a creare speranza nella gente su argomenti e dossier che si erano bloccati, come per esempio i negoziati per il nucleare e la fine delle sanzioni. È poi riuscito a creare speranza nella gente dal punto di vista sociale. Ha per ora fatto bloccare una legge controversa come quella sull’hijab, il velo islamico, e ha cominciato a rimuovere i divieti su alcuni siti internet. Ricordiamo che sono 120 giorni esatti dal suo insediamento nei quali si è soprattutto occupato di individuare nei diversi incarichi governativi, le persone a suo avviso idonee, e credo che ora avverrà la vera e propria realizzazione dei suoi piani. Ricordo anche che il Presidente Pezeshkian ha avuto a che fare con delle crisi non indifferenti. Nel giorno del suo insediamento il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è stato assassinato a Teheran, poi c’è stato l’attacco israeliano contro il Libano e le pressioni e le minacce israeliane contro l’Iran. Si tratta di dossier che hanno un po’ rallentato la velocità delle riforme che lui molto probabilmente sarebbe riuscito già ad attuare”.

Dopo l’indebolimento dell’Asse della resistenza, che ne sarà a suo avviso della strategia iraniana basata sui proxy?

“Per prima cosa ricordiamo che vent’anni fa l’Iran era comunque forte nella regione e la sua forza non dipende solo dai gruppi alleati della Resistenza. Vent’anni fa non c’erano gli Huthi in Yemen, non c’era la formazione dei miliziani Hashd al Shaabi in Iraq, c’erano gli Hezbollah libanesi e i palestinesi. Comunque la politica dell’Iran nella regione era forte. A mio avviso non bisogna collegare tutta l’influenza iraniana al regime di Assad. Questa è un’analisi sbagliata. L’Iran non ha bisogno dei gruppi alleati della resistenza per sapersi difendere. Ricordiamo che a seguito dell’assassinio del Generale Qasem Soleimani rispose con la propria forza militare, bombardando la base americana in Iraq. Ha risposto direttamente a Israele quando è stata colpita l’Ambasciata iraniana a Damasco e ha risposto nuovamente direttamente a Israele dopo l’assassinio di Ismail Haniyeh e di un generale iraniano in Libano. Quindi ha dimostrato di avere la sua forza indipendente e di poterla usare anche con attori forti. Sicuramente oggi i paesi della regione sanno che l’Iran è in grado di difendersi e quindi non possono minacciare facilmente i suoi interessi. Il sostegno dell’Iran ai gruppi di Resistenza, grandi o piccoli che siano, sparsi nella regione, risponde a un’idea politica e negli ultimi anni il sostegno è diventato unicamente politico e non militare ed economico, perché questi gruppi hanno imparato ad essere autosufficienti. Voglio ricordare che la priorità dell’Iran in Siria, al contrario di quanto viene detto, non è stato difendere il Governo Assad, ma combattere contro l’ISIS quando questo fenomeno comparve all’improvviso nella regione. Ricordiamo che nei primi mesi l’ISIS si allargò tantissimo, conquistando anche parti dell’Iraq e addirittura arrivando ad una distanza di 60 km dalla frontiera iraniana. L’idea iraniana era che lottare contro l’ISIS in Siria evitava di doverlo poi fare nel proprio territorio”.

Parliamo di Israele. L’Iran aveva promesso una reazione agli ultimi attacchi di Tel Aviv. Alcuni analisti internazionali, ne ha scritto anche il Wall Street Journal, hanno parlato di un possibile attacco israeliano all’Iran prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Cosa dobbiamo aspettarci a suo avviso?

“Le prime due azioni dirette dell’Iran contro il territorio israeliano – chiamate rispettivamente “Promessa veritiera 1” e “Promessa veritiera 2” – hanno avuto una tipologia particolare. L’Iran ha poi detto che si riserva il diritto di rispondere come e quando vorrà decidendo autonomamente la modalità e il momento della risposta. Dunque potrebbe non essere simile alle prime due operazioni. Secondo me Israele è assolutamente informato sul fatto che l’Iran ha le capacità per rispondere, al di là del fatto che voglia o meno rispondere in questo momento. Quindi considerando le tensioni che si sono venute a creare nella regione, a mio avviso Israele non rischierà sino al punto di colpire ancora l’Iran, anche perché ciò potrebbe aprire uno scenario che poi sarebbe difficilmente controllabile. Voglio aggiungere altre due cose. La prima: Israele sa che attaccandoci creerebbe un’unità all’interno del paese, visto che il popolo iraniano ha dimostrato che è in grado di unirsi e superare le divisioni quando si trova a subire aggressioni straniere. In quel caso sarebbe la popolazione a chiedere e a esigere dal sistema una risposta a Israele. La seconda questione molto importante: negli ultimi due anni, visti gli sviluppi nella regione, nell’opinione pubblica iraniana si è diffusa la convinzione che l’industria nucleare non ha portato nessun vantaggio al paese. Nel senso che l’Iran paga un pegno molto pesante con le sanzioni a causa di questa tecnologia, ma non ne ha tratto giovamento. In questo momento c’è pressione da parte di una larga fetta dell’opinione pubblica affinché l’Iran produca la bomba nucleare, considerando l’esistenza di un nemico minaccioso che si chiama Israele. La cosa più preoccupante di un possibile nuovo attacco israeliano è che la sempre più crescente pressione dei cittadini affinché l’Iran si doti della bomba nucleare potrebbe spingere il governo a prendere questa decisione. Ritengo che se una nuova nazione si doti di un armamento nucleare, questo sarebbe qualcosa di negativo per tutto il mondo”

A proposito di nucleare, l’Iran sarebbe favorevole a una riapertura dei negoziati?

“L’ultima volta è stato l’Iran a proporre negoziati sul nucleare che gli americani non hanno accettato. Sicuramente l’Iran è disponibile a riprendere i negoziati, a far rivivere il JCPOA, l’Accordo sul nucleare iraniano ed eventualmente aggiornarlo per risolvere la questione in modo pacifico per portare alla fine delle sanzioni. Il Presidente Pezeshkian durante la campagna elettorale ha promesso che si impegnerà per un negoziato e il team di politica estera da lui scelto – formato dal signor Zarif, dal signor Araghchi e dal signor Takht-Ravanchi – è composto da personaggi che erano presenti negli ultimi negoziati nucleari ed erano tra i fautori di questo accordo. Con la loro scelta il Presidente si dimostra certamente disponibile a un negoziato sul nucleare. In sostanza dalla parte dell’Iran la volontà esiste, ma bisogna vedere sino a che punto esiste in Europa e negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono i principali architetti della politica delle sanzioni e quindi bisogna vedere se siano disposti a rinunciarci. Per quanto concerne gli europei, hanno sì un ruolo secondario, ma comunque importante. Alcune settimane fa c’è stato un giro di negoziati tra i vice ministri di Iran, Francia, Germania e Inghilterra, ma l’azione europea è stata desolante. Hanno inviato una lettera al Consiglio di Sicurezza per attivare il sistema snapback che porterebbe alla reintroduzione delle sanzioni, quelle ancor più dure, contro l’Iran. Secondo me se gli americani volessero davvero risolvere questo problema sarebbero nella fase più adatta per farlo. Gli uomini scelti da Trump per la sua Amministrazione non lasciano sperare bene, però l’Iran sa anche che il presidente americano è un decisionista e un ottimo uomo d’affari. Quindi potrebbe venirsi a creare uno scambio tra Iran e Stati Uniti per risolvere questo dossier. L’errore presente nell’attuale posizione degli europei, invece, è che loro cercano di risolvere i loro problemi nel resto del mondo attraverso i negoziati con l’Iran. La questione della Russia e dell’Ucraina per esempio non può essere una condizione nei negoziati con l’Iran. Se vogliono effettivamente contribuire alla soluzione di questo problema devono avere la volontà di discutere con l’Iran sul programma nucleare”.

Un’ultima domanda. Come sono i rapporti della Repubblica Islamica con i paesi arabi del Golfo? Erano piuttosto tesi dopo la stipula degli Accordi di Abramo. Dopo il 7 ottobre e la reazione di Israele sembrano essere migliori. Cosa si aspetta su questo punto ora che alla Casa Bianca ci sarà un nuovo inquilino?

“L’Iran si oppone alla normalizzazione dei paesi arabi con Israele per il fatto che ritiene che Israele, in quanto nazione che occupa territori altrui, persegua i suoi interessi attraverso l’instabilità. Israele utilizzerebbe queste nuove relazioni con i paesi arabi per creare ulteriore instabilità nella regione. Negli ultimi mesi il premier Netanyahu e la sua Amministrazione estremista hanno cercato di alimentare e creare sempre tensioni nell’area. L’Iran ritiene questi accordi un danno per la sicurezza e la stabilità dell’intero Medio Oriente. L’Iran ha i suoi piani per migliorare le relazioni con i paesi arabi, tra questi ricordo ad esempio il Piano di Hormuz che anni fa è stato proposto ai paesi limitrofi del Golfo Persico, all’Iraq e all’Egitto. L’idea dell’Iran è che la sicurezza di questa regione debba essere garantita dagli stessi paesi della regione e non da potenze extraterritoriali o da regimi basati sull’occupazione di territori altrui. In genere l’Iran, da due anni a questa parte, ha cercato di migliorare le sue relazioni con i paesi arabi. Un anno e mezzo fa ha ristabilito le relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita; ha avuto numerosi contatti con il Bahrein con cui in precedenza aveva delle tensioni; ha stabilito ottimi contatti con l’Egitto. Pochi giorni fa il nostro ministro degli Esteri è stato in missione in Egitto ed è stato stabilito che i paesi riprendano importanti relazioni diplomatiche. Attualmente l’Iran ha anche ottime relazioni con l’Oman, con il Qatar, buone relazioni con il Kuwait e alcuni di questi paesi hanno aderito agli Accordi di Abramo. Per concludere l’Iran si muove in modo indipendente da questo fenomeno e il consiglio che dà a questi paesi su questi patti non è vincolante, ma solo politico, al fine di mantenere la stabilità della regione”. n

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