Il ruolo dell’Unione europea nella diplomazia climatica

Si è aperta a Dubai la 28a edizione della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCC). Si prevede che il meeting annuale dedicato alla governance internazionale sul clima si concentri su questioni chiave come le “perdite e danni”, il processo di eliminazione dei combustibili fossili e i risultati del primo Global Stocktake dell’Accordo di Parigi. È importante che attraverso queste negoziazioni le parti inviino segnali sugli attuali livelli di ambizione della loro azione climatica e sul più ampio potenziale per la cooperazione internazionale in un momento di alta tensione geopolitica.

Mentre gli impatti della crisi climatica continuano a manifestarsi in Europa e nel mondo, le azioni e gli impegni attuali rimangono incredibilmente insufficienti a raggiungere l’obiettivo di 1.5 C° concordato a Glasgow. Le negoziazioni rimangono tese su questioni cruciali come il fondo per perdite e danni creato alla COP27. Inoltre, l’invasione russa dell’Ucraina continua a erodere la cooperazione internazionale sul clima, sia a livello dei fora, come il G20, sia indirettamente attraverso le conseguenti crisi energetiche. La guerra a Gaza ha ulteriormente aumentato le tensioni e ha potenzialmente spostato le questioni climatiche fuori dall’agenda diplomatica di alto livello. In questo senso, nonostante gli allarmi accorati del mondo scientifico, la probabilità di raggiungere risultati ambiziosi a Dubai rimane limitata.

I temi centrali e le priorità dell’Ue 

Questo contesto è particolarmente impegnativo per le parti che cercano guidare le negoziazioni della COP28, come l’Unione Europea (Ue). Le priorità dell’Ue nelle negoziazioni includono far impegnare le parti a triplicare la capacità globale di energia rinnovabile e a duplicare l’efficienza energetica entro il 2030, insieme alla definizione di un processo di eliminazione delle fonti fossili “non abbattute” e alla fine immediata dei sussidi associati a queste ultime (Council of the European Union, 2023). Inoltre, il Commissario per il clima Wopke Hoekstra ha promesso un “contributo finanziario sostanziale da parte dell’Ue e degli Stati membri per il fondo perdite e danni alla COP 28” (European Commission, 2023). Difatti, nel passato, la diplomazia dell’Ue si è adattata con successo a contesti difficili sia dentro che fuori l’UNFCCC, specialmente dopo il fiasco della COP15 di Copenhagen nel 2009 e l’elezione di Donald Trump (Bäckstrand & Elgström, 2013; Earsom & Delreux, 2021; Tobin et al., 2023).

Per fare ciò, l’Ue si è affidata alla combinazione di più componenti: la sua ambiziosa legislazione interna, la sua azione ‘esemplare’, l’impegno diplomatico e la creazione di relazioni con le parti di tutto il mondo (Oberthür & Dupont, 2021). Dunque, da una parte, esistono i precedenti per ritenere l’UE in grado di adattarsi al teso contesto di negoziazioni e di raggiungere con successo i suoi obiettivi. Dall’altra, tuttavia, gli sviluppi interni all’UE e l’incoerenza del suo raggio di azione nelle questioni climatiche mettono in discussione fino a che punto l’Ue potrà esercitare un ruolo guida nell’azione climatica internazionale nel 2023.

Dal “Green Deal” a “Fit for 55”

Internamente, il Green Deal europeo costituisce sicuramente un passo avanti senza precedenti dell’azione climatica dell’Ue. La relativa European Climate Law, che rende giuridicamente vincolante l’azzeramento delle emissioni entro il 2050, così come l’obiettivo di ridurre i gas serra del 55% entro il 2030, insieme al pacchetto Fit for 55, dimostrano le ambizioni interne dell’UE e il suo impegno nei confronti dell’azione climatica. Tuttavia, cominciano ad emergere delle crepe. La richiesta del presidente francese Emmanuel Macron a maggio 2023 di una pausa alla regolamentazione ambientale e la recente opposizione parlamentare alla legge sul ripristino della natura rivelano crescenti contraccolpi politici nei confronti del Green Deal europeo e forse sono anche indicative di un ridotto interesse pubblico per la regolamentazione climatica, in vista delle elezioni europee a giugno 2024. Nel contesto della COP, questi sviluppi potrebbero influenzare il sostegno politico di alto livello, interno all’UE, su argomenti di negoziazione cruciali, così come il modo in cui l’UE è percepita dalle altre parti.

Per quanto riguarda l’azione esterna, due sviluppi potrebbero influenzare il successo dell’Ue alla COP28. In primo luogo, la legislazione climatica dell’Ue a forte dimensione esterna, come il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), la proposta del Net Zero Industrial Act e strumenti di azione esterna come il Global Gateway, non hanno solamente sollevato dubbi sull’incoerenza delle posizioni dell’Ue nell’UNFCCC ma hanno anche irritato alcuni paesi partner e sollevato accuse di protezionismo e di colonialismo climatico (van Schaik & Cretti, 2023). Infatti, i tentativi dell’Ue di promuovere il clima nel complesso delle sue regolamentazioni e politiche influenzano altre aree della sua azione esterna, come il commercio e lo sviluppo. Conseguenze potenzialmente inattese e priorità discordanti, particolarmente legate alla giustizia e all’equità, potrebbero compromettere la cooperazione con i partner del Sud globale e mettere alla prova la naturale tendenza della diplomazia europea a costruire ponti (Smith et al., 2023).

In secondo luogo, l’Ue è priva di un centro di gravità forte capace di guidare la sua diplomazia climatica in un contesto caratterizzato dal mainstreaming dell’agenda climatica. Come dimostrano gli esempi precedenti, la diplomazia climatica è sempre più intersettoriale ed è presente nell’agenda di un numero sempre maggiore di fora internazionali. In questo senso, essa riunisce un numero ancora maggiore di stakeholder rispetto a quanto avvenuto, ad esempio, nella fase precedente l’Accordo di Parigi, dove l’UE aveva condotto con successo la fase di preparazione diplomatica attraverso le sue strutture di coordinamento interno (Delreux & Earsom, 2023).

Possibili prospettive

Realizzare una diplomazia climatica così completa richiede un forte coordinamento tra i numerosi soggetti e settori interessati e un centro di gravità politico (Oberthür & Dupont, 2021). Ad esempio, il mio recente articolo su The International Spectator illustra le sfide che l’UE ha incontrato nella decarbonizzazione dei trasporti internazionali. Dato che il Consiglio Affari Esteri stabilisce l’agenda della diplomazia climatica UE in senso più generale mentre la Commissione e il Gruppo di lavoro sulle Questioni Ambientali Internazionali guidano i negoziati UNFCCC, c’è un forte potenziale di disallineamento nella comunicazione e nelle priorità nel momento in cui i negoziati toccano quasi tutti gli aspetti della società e della governance. L’armonizzazione sarebbe impegnativa in circostanze normali, ma le dimissioni dell’ex Commissario per il clima Frans Timmermans, per aspirazioni politiche olandesi, hanno probabilmente reso il compito ancora più arduo.

Con ciò non voglio dire che l’UE non potrà o non avrà successo alla COP28. Piuttosto, ho cercato di evidenziare che gli elementi su cui l’UE ha storicamente fatto affidamento per superare le circostanze difficili e guidare l’azione internazionale per il clima, forse, non sono presenti nel 2023 nella stessa misura in cui lo erano nei precedenti negoziati. A questo proposito, resta da vedere se le crepe identificate sopra sono solo superficiali o se sono in realtà più profonde.

Considerando il contesto geopolitico incredibilmente impegnativo della COP28, ritengo che il successo dell’UE non dipenda tanto dalla misura in cui raggiungerà i suoi obiettivi nei negoziati, quanto piuttosto da come verrà percepita, in particolare tra le parti più vulnerabili; dal fatto che riesca o meno a “costruire ponti“; e dalla misura in cui verrà coinvolta nella spinta finale per elaborare il comunicato conclusivo e la decisione di copertura. Considerare questi elementi può fornire un’utile prospettiva sulla posizione dell’UE come leader climatico nel 2023 in un momento in cui abbiamo “una finestra che si sta rapidamente restringendo per aumentare le ambizioni e attuare gli impegni esistenti al fine di limitare il riscaldamento a 1.5 C”.

Joseph Earsom è Assistant Professor of Environmental and climate change policy presso EspolLille.

Questo articolo è la traduzione di un post apparso sul blog di The International Spectator, la rivista peer-reviewed in lingua inglese dello IAI diretta da Leo Goretti e Daniela Huber.

foto di copertinaEPA/ALI HAIDER

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