L’Arabia Saudita influenza la ‘grande mediazione’ multipolare

A Gedda, c’è chi ha raggiunto i propri obiettivi politici: sono i sauditi, che sono riusciti scaltramente a posizionarsi, nei panni dei facilitatori, tra Stati Uniti e Cina, nonché fra i paesi Nato ed Ue e la variegata area BRICS e Global South. I colloqui di Gedda sull’Ucraina (5-6 agosto 2023) possono essere letti guardando, come sempre, al ′bicchiere mezzo pieno` -circa 40 paesi riuniti- e a quello ′mezzo vuoto`– la Russia non è stata invitata e nessun documento finale è stato siglato. C’è però un dato incontrovertibile: l’Arabia Saudita è riuscita a far sedere la Cina a un tavolo diplomatico organizzato dagli ucraini in cui si discuteva, anche con gli americani, a partire dalla “formula di pace” elaborata da Kyiv.

Gli Stati Uniti hanno assecondato l’incontro saudita svoltosi –a livello di consiglieri per la sicurezza nazionale- in un periodo in cui il dialogo tra Washington e Riyadh sul Medio Oriente è particolarmente intenso. Nel giugno scorso, la Danimarca aveva ospitato un’analoga riunione, meno partecipata e impattante, però, di quella di Gedda. E senza la Cina, che non aveva accettato l’invito. Per il principe ereditario nonché primo ministro Mohammed bin Salman Al Saud, si tratta di un risultato significativo, soprattutto nella delicata gestione dei rapporti concorrenti con Washington e Pechino.

Mohammed bin Salman il facilitatore

Per la diplomazia dell’Arabia Saudita, il successo è innegabile. E non lo è per i risultati ‘volatili’ –i partecipanti si sarebbero trovati d’accordo sul principio dell’integrità territoriale dell’Ucraina – ma per essere riuscita a riunire i paesi del G7 e dell’area occidentale con i paesi BRICS (Cina, India, Brasile, Sudafrica) e del Global South. Dal 2021, MbS sta indossando, con crescente dinamismo, le vesti del mediatore anche se, nel caso dei colloqui di Gedda, ‘facilitatore’ è la parola più adatta. Tra convenienza economica e calcolo d’immagine, il regno dell’Arabia Saudita ha ricalibrato la propria politica estera, mettendo per ora tra parentesi le scelte e i toni più divisivi del passato per vestire, appunto, i panni del ′costruttore di coalizioni` volte alla stabilità nel Golfo e in Medio Oriente (per esempio, la ripresa dei rapporti diplomatici con l‘Iran e la Siria), nonché alla de-escalation mondiale.

Obiettivo stabilità e peso geopolitico

Il primo obiettivo saudita è oggi la crescita economica in chiave post-oil, inscindibile dalla stabilità del quadro regionale e internazionale. Ecco perché l’Ucraina, come crisi internazionale, assume una connotazione importante anche per Riyadh. Ospitando la conversazione sull’Ucraina invasa, MbS ha infatti mostrato agli americani una notevole, seppur opportunistica, autonomia in politica estera: non solo ha scelto di infliggere un dispiacere alla Russia (con cui i rapporti rimangono però forti), ma ha dimostrato di saper portare i cinesi ad ascoltare, per lo meno, anche la versione di Kyiv, per di più in presenza degli americani e in un consesso multilaterale. Non è un caso che il ministro degli esteri saudita sia stato l’unico tra quelli dei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo a recarsi nella capitale ucraina, viaggio seguito dalla sorprendente presenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al vertice della Lega Araba di maggio, organizzato proprio dall’Arabia Saudita.

Per il regno, i colloqui di Gedda hanno rappresentato la sintesi fra la tradizionale politica estera di Riyadh, quella della relazione speciale con gli Stati Uniti trainata dagli interessi di difesa, e la proiezione multipolare dell’Arabia di oggi e di domani, orientata sempre più a est (Cina, India) e a sud (Africa, America Latina), a causa degli interessi economici e delle aspirazioni geopolitiche.

L’Arabia, gli Usa, l’Europa

Anche con questo risultato, l’Arabia Saudita si appresta a partecipare al vertice dei BRICS del 22-24 agosto prossimo in Sudafrica, occasione in cui potrebbe essere annunciato il suo ingresso nell’organizzazione. Riyadh consolida così il binario multipolare, ormai strategico, e torna a incassare rassicurazioni concrete dagli americani in tema di sicurezza marittima. Dopo i recenti attacchi a navi commerciali da parte dell’Iran fra stretto di Hormuz e Golfo dell’Oman  (venti incidenti in due anni secondo il Pentagono), gli Stati Uniti hanno inviato due navi da guerra con 3000 soldati presso la V Flotta USA in Bahrein. Un tangibile –e non scontato- segnale d’attenzione da parte di Washington verso Riyadh e le monarchie della regione, in linea però con gli interessi strategici degli americani nel quadrante. E con la necessità di prevenire eventuali mosse della Cina, visto che Pechino dipende dagli idrocarburi del Golfo e ha già sponsorizzato la ripresa delle relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Iran.

A proposito di diplomazia internazionale, il quadro è però alquanto desolante, specie per noi europei. E rispecchia la nostra perdita d’influenza e il crescente peso politico del Golfo. Esattamente due anni fa, mentre i talebani si riprendevano Kabul, il Qatar aiutava i militari americani a lasciare l’Afghanistan, garantendo supporto logistico e soprattutto tenendo la comunicazione con i talebani. Dal 2023, gli USA fanno sponda con l’Arabia Saudita per far “colloquiare”, sempre a Gedda, le fazioni militari in lotta nel Sudan. Nel 2018, furono ancora sauditi ed emiratini i registi della pace fra Etiopia ed Eritrea, mentre nel 2022 il Qatar mediò l’accordo fra governo militare e gruppi d’opposizione in Ciad.

Turchia (accordo sul grano), Arabia Saudita ed Emirati Arabi (scambi di prigionieri), sono fin qui gli unici che abbiano negoziato qualcosa tra Russia e Ucraina, crisi in cui il trend dei mediatori extra-europei si sta ripetendo. E ora MbS ci riprova da Gedda. Ma il principe, che adesso ha scelto di mostrarci il volto rassicurante del facilitatore, è sempre il leader della modernizzazione autoritaria saudita, l’uomo che la CIA considera il mandante dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi. A ricordarci che quella del mediatore – seppur utile anche per i nostri interessi- è solo una delle molte maschere del nuovo potere saudita.

Foto di copertina EPA/LUDOVIC MARIN / POOL MAXPPP OUT

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