Il Kuwait entra in una fase politico-istituzionale dagli esiti incerti. Perché questa non è l’ennesima delle crisi che hanno fin qui paralizzato l’emirato petrolifero del Golfo: l’Emiro ha sciolto il Parlamento ma non ci saranno nuove elezioni, perché il processo istituzionale sarà revisionato e un nuovo governo è già entrato in carica. Il Kuwait è però la monarchia del Golfo in cui l’Assemblea nazionale svolge il ruolo più significativo per storia (dal 1963), potere legislativo e dialettica con il governo che rappresenta la famiglia reale: quella introdotta dal nuovo Emiro Shaykh Meshal Al-Ahmad Al-Sabah, in carica da soli sei mesi, è una misura shock con pochissimi precedenti (1976, 1986).
La scelta dell’azzeramento istituzionale potrebbe convincere gli investitori internazionali che attendono riforme economico-sociali fin qui rimandate, in un paese che è alleato strategico degli Stati Uniti e di cui la Cina è il primo partner commerciale. Infatti, spetterà direttamente all’Emiro velocizzare ora l’attuazione delle riforme, con l’auspicio che Kuwait City si inserisca nella prospera scia di diversificazione economica dei vicini. Ma il rischio di un’involuzione autoritaria esiste, soprattutto se il percorso riformatore si dovesse incagliare, favorendo così nuove proteste popolari. Davanti alle quali –a differenza del passato- la famiglia reale si troverebbe sola e senza più alibi.
Discorso alla nazione
“Salvare il paese” e “rivedere il processo democratico nella sua interezza”. Con queste parole, pronunciate il 10 maggio scorso in un discorso televisivo alla nazione, l’Emiro del Kuwait ha dissolto l’Assemblea Nazionale, sospendendo inoltre alcuni articoli della Costituzione (fin qui non specificati) “per un periodo non superiore ai quattro anni”. Shaykh Meshal ha stigmatizzato “l’atmosfera malsana” che ha favorito la diffusione della corruzione in Kuwait “anche nelle istituzioni politiche, economiche e persino nel sistema giudiziario”. Ed è arrivato a evocare interferenze nella scelta del principe ereditario, che spetta a lui solo, seppur debba poi essere confermata dal Parlamento.
Stallo politico
Da sempre, la dialettica tra parlamento e governo contraddistingue il Kuwait dalle monarchie vicine facendone il sistema politico più vivace, nonostante anche qui i partiti politici siano vietati e i candidati corrano da indipendenti pur afferendo a gruppi politici. Nel tempo, questa coabitazione ha però bloccato il paese, a causa della crescente litigiosità interna, generando governi fragili: i kuwaitiani hanno votato tre volte negli ultimi tre anni.
L’Assemblea Nazionale (50 membri eletti su 65) può dire la sua rispetto al budget statale, alla designazione del principe ereditario e soprattutto può interrogare i ministri, che spesso vengono accusati di corruzione e preferiscono dimettersi prima di andare in aula. Dopo la tornata elettorale dell’aprile scorso, le trattative per la formazione dell’esecutivo sono state subito in salita, anche perché il voto aveva premiato i candidati dei gruppi politici all’opposizione del governo uscente.
I problemi che il Kuwait ha accumulato sono tanti. L’emirato (membro OPEC) è il sesto paese al mondo per riserve petrolifere ma la sua economia è troppo dipendente dalle fluttuazioni del prezzo del greggio. Nonostante il lancio di Vision 2035 nel 2017, gli idrocarburi rappresentano ancora il 90% delle entrate e gli investimenti diretti esteri, pur in leggera crescita, sono lontanissimi dai numeri di Qatar ed Emirati Arabi rappresentando solo lo 0,2% del PIL (2023). La spesa pubblica non smette invece di crescere: nel 2024/2025, quasi l’80% di questa servirà a pagare stipendi e sussidi. La corruzione rimane poi protagonista del dibattito pubblico nonché di molte proteste di piazza nonostante le iniziative del governo, come la creazione nel 2016 dell’Autorità indipendente Nazaha.
Il nuovo emiro del Kuwait
L’Emiro, 83 anni, ha assunto la guida del paese nel dicembre 2023, con la scomparsa del fratellastro. E da subito non ha nascosto la volontà di dare una scossa al paese. Una direzione apparentemente contraria a quella del predecessore Shaykh Nawaf Al-Ahmed Al-Sabah. Infatti, il breve regno di Shaykh Nawaf (2020-2023), che pure intendeva superare la paralisi politica, era stato caratterizzato da diplomazia e unità nazionale come evidenziato dall’amnistia concessa a dissidenti e voci critiche del potere; i rapporti tra il governo e l’Assemblea nazionale si erano così fatti più collaborativi.
“Non permetterò che la democrazia venga sfruttata per distruggere lo Stato”, ha detto ora l’Emiro, riferendosi all’ingovernabilità che i veti e le interrogazioni parlamentari hanno esasperato. Shaykh Meshal conosce molto bene la macchina statale, ma ancora di più gli apparati di sicurezza e d’intelligence, dei quali si è occupato per decenni. Una carriera cominciata al ministero degli interni negli anni Sessanta e proseguita come capo della Sicurezza dello stato e poi come vice capo della Guardia nazionale, il corpo d’élite con lo status di gendarmeria a cui è affidata la difesa nazionale e che l’attuale emiro ha contribuito a modernizzare.
In politica estera multipolarismo e continuità
Se sul piano interno Shaykh Meshal ha scelto un approccio muscolare che evoca il suo background securitario, in politica estera l’Emiro prosegue nel solco della alleanze storiche (Arabia Saudita, Stati Uniti, Gran Bretagna) e delle recenti ma già collaudate partnership (Cina). Con una discontinuità: la nomina di un ministro degli affari esteri non appartenente alla famiglia reale. Dato il momento critico, il Kuwait avrà ancora più bisogno del sostegno politico dei vicini, nonché di investimenti internazionali. Dopo la sospensione del parlamento, il presidente degli Emirati Arabi Mohammed bin Zayed Al Nahyan è stato il primo a telefonare all’Emiro per esprimergli sostegno e il Sultano dell’Oman Haitham bin Tariq Al Said arriva in visita il 13 maggio. Le prime due mosse estere di Shaykh Meshal hanno ribadito la volontà di dialogo in Medio Oriente (Il suo primo viaggio non arabo è stato in Turchia) e le relazioni economiche strette con la Cina (l’accordo di cooperazione di lungo periodo per commercio, investimenti e zone economiche).
Il percorso che il Kuwait si appresta ad attraversare è stretto e presenta ancora molti punti interrogativi, anche se l’emirato ha risorse e solidità per superarlo, contenendo i rischi autoritari. Il vero nodo –che ha probabilmente avuto un peso significativo nella scelta dell’Emiro di sospendere il parlamento- riguarda però la scelta del principe ereditario, data l’età anziana di Shaykh Meshal. Chiunque verrà designato dovrà gestire l’esito, positivo o negativo, di questa insolita fase di rottura.