Chiesa ortodossa di Russia: lo spirito imperiale del Cremlino

Oggi non vi è luogo al mondo che trasudi storicità come l’Ucraina. Quanto sta accadendo da ormai una decina di giorni lascia atterriti gli europei d’Occidente, fermi al secolo scorso, mentre a est dell’Oder si riavvolge i nastri di una vicenda millenaria. Nello specifico, quella dell’impero russo, della sua nascita e splendore e della sua sopravvivenza multiforme, che da Pietro il Grande lo ha portato a indossare le vesti dell’Unione sovietica. E che, adesso, s’incarna nella Federazione di Mosca. Ma a differenza del dominio zarista e di quello comunista, la Russia non ha un’identità ben definita: impero senza spirito imperiale. A questo, dagli anni Novanta a oggi, ci ha pensato l’unica istituzione che, dal Settecento a oggi, ha mantenuto un carattere sovranazionale: la Chiesa ortodossa.

Il patriarcato di Mosca: custode dell’impero

In pieno stile bizantino, la Chiesa ortodossa russa ha sempre avuto un rapporto privilegiato con il potere politico. Sia con Pietro il Grande che nel periodo sovietico, il patriarcato di Mosca ha subito restrizioni ufficiali più o meno forti, senza mai però scomparire del tutto. Esso, nell’impero e nell’Unione, ha curato le anime tanto del suddito quanto dell’homo sovieticus. Basti pensare che durante la Seconda guerra mondiale, lo stesso Stalin non si è certo dimostrato ostile nei confronti del clero ortodosso, che per i soldati e la popolazione ha rappresentato un fondamentale sostegno, spirituale e non.

Con la fine dell’Unione sovietica, la Russia si è ritrovata a doversi costruire un’identità nuova. Amputata dei territori delle ex repubbliche socialiste, dove milioni di russi si sono improvvisamente ritrovati tagliati fuori dalla propria patria, Mosca si è affidata alla Chiesa ortodossa, custode delle vestigia imperiali e autenticamente multinazionale. Abituata a tenere e contenere popoli diversi sotto un unico credo, l’ortodossia moscovita è diventata pilastro del “Mondo russo”, il Russkij Mir, progetto culturale e politico elaborato a metà anni Novanta con l’obiettivo di consolidare l’interno per garantirsi l’esterno vicino. Concetto molto caro al Cremlino.

Nella prospettiva imperiale e dunque sovranazionale ragiona, appunto, la Chiesa ortodossa di Mosca. Non a caso, Kirill e tutti i suoi predecessori non sono patriarchi della sola Russia, bensì di tutte le Russie, ovvero di quella Grande, di quella Bianca – leggasi, Bielorussia – e di quella Piccola. Che, appunto, coincide con l’Ucraina. Separare quest’ultima dall’impero russo significa, per Mosca e il suo patriarcato, recidere ciò che Dio ha voluto unica: la comunità ortodossa.

Kiev, Gerusalemme dell’ortodossia russa

Il 12 luglio 2021, sul sito del Cremlino, veniva pubblicato il saggio scritto direttamente dalla penna di Vladimir Putin. Titolo: “Sull’unità storica tra russi e ucraini”. Le avvisaglie di quanto accaduto, dunque, c’erano. E il discorso tenuto dallo stesso presidente russo, registrato o meno, nel pieno della notte tra 23 e 24 febbraio, non può essere semplicisticamente ridotto a una sua reazione scomposta. Quanto, piuttosto, a una profonda convinzione che la storia intenda riunire ucraini e russi nello stesso popolo.

Una convinzione condivisa dal clero ortodosso, che in Kiev, come sostenne lo stesso Kirill, trova il fondamento “di tutta la storia russa”. Proprio nella capitale ucraina, infatti, venne battezzato Vladimir I nel 988, con la conseguente conversione al cristianesimo dell’intera Rus’, l’entità ancestrale dalla quale scaturisce la Russia moderna.

Perdere l’Ucraina, per la Chiesa russa, sarebbe una catastrofe. Per questo, nel 2018, quando il patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha riconosciuto l’autocefalia alla Chiesa ortodossa nazionale dell’Ucraina, con la nascita del patriarcato di Kiev, Mosca ha rotto qualsiasi relazione con entrambi, catalogando la nuova conformazione ucraina come “scismatica”. Ma anche all’interno del monolitico patriarcato russo, l’invasione ha causato delle crepe.

Quale futuro per il patriarcato di Mosca? 

Il quadro già frammentato dell’Ucraina religiosa si è reso ancor più frastagliato negli ultimi giorni. Oltre 200 sacerdoti e diaconi della Chiesa ortodossa russa, infatti, hanno preso posizione, contestando il silenzio assordante del patriarca Kirill sull’attacco deciso dal Cremlino e bollando la guerra contro Kiev come una lotta fratricida. Anche i fedeli ucraini che ancora fanno riferimento a Mosca, e dunque non alla neonata Chiesa nazionale, hanno chiesto al proprio patriarca di intercedere per porre fine alla violenza.

Per Kirill, però, esprimersi sul contesto ucraino non è affatto semplice. Lo ha fatto, con poche e succinte righe, nelle ore successive all’invasione. Ma il doppio filo che lega Cremlino, erede del potere zarista e sovietico, alla Chiesa ortodossa, non può essere facilmente reciso. Appena dieci anni fa, del resto, lo stesso Kirill definì Putin un “miracolo di Dio”. È evidente, quindi, che il peso dell’eredità millenaria della Rus’ e il rischio di perdere quei connotati sovranazionali che rendono centrale il patriarcato di Mosca nella narrazione imperiale non possano sparire in pochi giorni.

Sulle prossime mosse di Kirill, in tensione tra condanna e consenso, si aggiusterà anche il percorso di riavvicinamento e ripristino della comunione con la Chiesa cattolica. Papa Francesco, da sempre, condanna infatti la commistione tra politica e religione. Quel che è certo, è che le conseguenze del conflitto in Ucraina cambieranno completamente il volto della Chiesa ortodossa, che a Kiev è sorta e che a Kiev si giocherà il proprio futuro.

Foto di copertina EPA/ZURAB KURTSIKIDZE

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