Bilancio Ue: nuovi investimenti per la crescita

Secondo alcuni, è solo questione di tempo, e i tempi sarebbero sempre più ravvicinati, molto più di quanto si voglia ammettere. Il tema all’ordine del giorno è il modo in cui finanziare l’enorme sforzo di investimenti per la transizione verde, la digitalizzazione e la difesa, in nome della sicurezza continentale, di cui l’Europa dovrà farsi carico sia in termini di spesa che di disponibilità a garantirla sul terreno. Con Trump in arrivo alla Casa Bianca, non potranno esserci più sconti all’impegno di portare al 2% del PIL la spesa militare di ogni membro NATO (per i Paesi Ue esclusi quelli che non ne fanno parte: Austria, Malta, Cipro e Irlanda). Tra l’altro, si profila un nuovo obiettivo del 3%.

Un nuovo approccio alla finanza comune

Ultimamente, la prospettiva di dare corpo a “soluzioni innovative” di finanziamento comune tra gli Stati Ue ha registrato un colpo d’ala. La premier danese Mette Frederiksen, socialdemocratica, da cinque anni e mezzo alla guida del Paese, si è espressa chiaramente a favore del debito comune, affermando che “i prestiti congiunti sono un’opportunità per attrezzare l’Europa per il futuro. Dovremo fare investimenti, altrimenti semplicemente perderemo la nostra capacità di progredire e di avere influenza globale”.

Il passo danese è oltremodo significativo: con Svezia, Austria e Olanda, la Danimarca è stata parte integrante del cosiddetto “quartetto dei frugali”, che cercò di opporsi con forza all’operazione Next Generation EU (il piano di ripresa che finanzia i PNRR) nella primavera-estate del Covid 2020. In realtà, gli oppositori iniziali, fautori di una linea più rigorista nello stanziamento di nuove risorse reperite sul mercato con l’emissione comune di obbligazioni europee, erano più dei quattro capifila della Nuova Lega Anseatica, di cui facevano parte anche Finlandia, Irlanda, Estonia, Lettonia e Lituania. Un fronte che spesso ha lavorato per conto della Germania nei difficili negoziati europei. La crisi economica, la necessità di superare il divario competitivo con USA e Cina, il finanziamento della ristrutturazione produttiva verde, l’assunzione più diretta dell’onere della difesa continentale e, in prospettiva, il sostegno alla ricostruzione dell’Ucraina (quando e se sarà trovata una soluzione diplomatica) stanno modificando strategie, percezioni e posizioni all’interno dell’Ue.

Le strategie di difesa e investimenti dei Paesi Baltici

I Paesi Baltici aumentano la spesa militare e da tempo sono favorevoli a uno sforzo comune europeo in tal senso, per una ragione evidente: si trovano in prima linea al confine con Russia o Bielorussia. Hanno già incrementato significativamente la spesa militare. Quando era premier in Estonia, l’attuale Alta Rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, aveva proposto di emettere eurobond per finanziare progetti di difesa per 100 miliardi di euro. Come “ministra” degli Esteri Ue, non ne ha più parlato, ma non risulta aver cambiato idea. Il commissario all’Economia ed ex premier lettone Valdis Dombrovskis, uno dei “pezzi da novanta” dell’esecutivo Von der Leyen 2, anche se non è più vicepresidente, è uno dei pochi esponenti di Bruxelles a dichiarare apertamente che la questione del debito comune è sempre sul tavolo.

Il punto di vista danese e svedese

Da Copenhagen, il segnale è chiaro. La premier danese non ritiene possibile finanziare tutti gli impegni dell’Ue “con mezzi noti: come governo danese stiamo guardando agli aiuti statali, al debito comune e al bilancio Ue con nuovi occhi e nuove lenti. È un tempo nuovo. In tutti i Paesi, e questo vale anche per un paese come la Danimarca, di solito sul ‘carro’ dell’austerità, dobbiamo accantonare le reazioni automatiche e vedere quali sono i bisogni dell’Europa. Poi dobbiamo adattare l’economia a essi, invece del contrario”.

La ministra dell’Economia Stephanie Lose, liberale, ritiene che l’Ue concederà prestiti a Kyiv per la ricostruzione attraverso debito congiunto. La Svezia, invece, resta refrattaria al nuovo debito comune, salvo per il sostegno a Kyiv. Qualche tempo fa, Paschal Donohoe, presidente dell’Eurogruppo e irlandese, aveva invitato a smettere di dividersi tra chi è favorevole o contrario a un nuovo fondo comune europeo, proponendo invece di cominciare a scendere nel concreto, definendo ciò che potrebbe essere finanziato, da chi, come e in quali modi.

Le posizioni caute di Ursula von der Leyen e il ruolo tedesco

Ursula von der Leyen mantiene un atteggiamento cauto, consapevole della sensibilità politica del tema. Nel suo programma di legislatura, il termine “debito comune” non compare neanche come ipotesi di lavoro: non ci si aspetti un colpo d’ala da parte sua che preceda la certezza di avere sufficiente consenso tra i Ventisette, in particolare da Berlino. Un mese fa, a Budapest, i Ventisette avevano esorcizzato le difficoltà concordando che avrebbero “esplorato lo sviluppo di nuovi strumenti” per mobilitare finanziamenti pubblici e privati. La linea è usare prima di tutto strumenti e risorse esistenti a partire dal bilancio Ue e dalla Banca europea degli investimenti. Si tratta innanzitutto di concentrarsi sul negoziato per il prossimo bilancio Ue che, però, occuperà i prossimi due-tre anni. Tempi troppo lunghi. Peraltro, aumentare le risorse del bilancio Ue è prospettiva ostica ai più. “Nuovi strumenti” è indicazione sufficientemente generica per permettere a tutti di riconoscervisi, i favorevoli a nuovo debito comune come i contrari. Von der Leyen spiegò a Budapest che per aumentare le risorse del bilancio ci sono due modi: o contributi degli Stati o con mezzi reperiti per la Commissione e che “in entrambi i casi ciò include che si raccolgano fondi sui mercati”.

Non si lavorerebbe sulla riedizione di Next Generation EU, che scadrà nel 2026), bensì sul modo in cui colmare la differenza tra l’apporto di capitale privato a singoli progetti di interesse comune e la relativa necessità finanziaria. Però negli ultimi giorni si è parlato anche di qualcosa di più: un fondo finanziato da emissioni obbligazionarie su base volontaria tra Paesi Ue e anche Paesi non Ue come Regno Unito e Norvegia, dotazione 500 miliardi di euro per la difesa. Si vedrà. Certo è che la situazione è in movimento.

La posizione tedesca sarà dirimente

Dirimente sarà la posizione tedesca, come sempre. Anche qui le cose sono più mosse di quanto appaia. Che Berlino sia allergica a rieditare l’operazione Next Generation EU è perfino ovvio. Altra cosa sarebbe partire da progetti concreti e vedere caso per caso il “che fare” in termini di finanza comune. In tempo di elezioni (si voterà il 23 febbraio) nessuno si scoprirà, tuttavia è un fatto che sul piano interno la questione dell’indebitamento federale comincia a essere vista nella CDU in modo diverso dal passato, come dimostra l’apertura di Friedrich Merz, probabile prossime cancelliere, sulla riforma del «freno» (il limite al deficit pubblico allo 0,35% del pil): “Se il risultato è che spendiamo ancora di più per i consumi e la politica sociale, allora la risposta è no, se è importante per gli investimenti, per il progresso, per il sostentamento dei nostri figli, allora la risposta potrebbe essere diversa”, ha detto Merz. Sulla stessa linea il presidente della Bundesbank Joachim Nagel: nel contesto di debito/pil basso e dell’indebolimento della posizione competitiva dell’economia tedesca, va distinta la spesa per consumo e spesa per investimenti “allo scopo di avere maggiore margine di manovra sul fronte degli investimenti strutturali”. Davvero un altro mondo.

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