​​Il Bangladesh e l’impatto del cambiamento climatico sulle migrazioni

L’innalzamento del livello del mare sommergerà circa il 17% delle terre costiere del Bangladesh e porterà allo sfollamento di circa 20 milioni di persone entro il 2050. Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) evidenzia come il riscaldamento globale, raggiungendo il limite di  1,5°C tra il 2030 e il 2050, causerà un inevitabile aumento di molteplici rischi climatici, per gli ecosistemi e per gli esseri umani. Tra gli impatti più significativi entro il 2050 vi è quello sulla migrazione. Infatti, secondo i modelli migratori del Groundswell report della Banca Mondiale, il riscaldamento globale porterà 216 milioni di persone a migrare all’interno dei propri Paesi.  

Il cambiamento climatico e il nesso con le migrazioni

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha definito il fenomeno dei ‘rifugiati climatici’ come “lo spostamento di una persona o di gruppi di persone che, prevalentemente per motivi legati a un cambiamento improvviso o progressivo dell’ambiente a causa dei cambiamenti climatici, temporaneamente o permanentemente, all’interno di uno Stato o attraverso una frontiera internazionale”. In attesa di una convenzione internazionale o di una modifica della convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 – che non contiene nessun dispositivo di protezione per i ‘nuovi rifugiati’ –  la Banca Mondiale prevede che il numero di profughi interni rappresenterà una buona parte del totale delle persone sfollate a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici. 

Nonostante persistono molte lacune nella comprensione e nella portata degli spostamenti migratori dovuti al cambiamento climatico, molte teorie hanno tentato di spiegare i nessi tra questo fenomeno e lo sviluppo, i conflitti e le migrazioni. L’ultimo rapporto del gruppo di lavoro dell’IPCC del 2022 sottolinea che “rispetto ad altri fattori socioeconomici, l’influenza del clima sui conflitti è valutata come relativamente debole”,  e poiché una relazione causale tra clima e conflitto non è dimostrata, quasi tutte le organizzazioni internazionali hanno concluso che il cambiamento climatico può essere piuttosto descritto come un moltiplicatore di minacce. Il cambiamento climatico può infatti esacerbare le minacce alla sicurezza globale causate dalla povertà, dalla debolezza delle istituzioni, dalla cattiva gestione delle risorse naturali e dagli scontri etnici.

In particolare, il nesso clima-migrazione trova un’ampia correlazione dove si verifica un aumento dei livelli dell’acqua. I Paesi maggiormente colpiti da questo fenomeno risultano essere l’Indonesia, il Pakistan, il Bangladesh, e le piccole isole. Al contrario, risulta debole la correlazione tra migrazione e impoverimento del suolo. Dove siccità e carestie generano povertà, la migrazione delle popolazioni è impossibile, così il cambiamento climatico impedendo la mobilità provoca vere e proprie “trappole’’. Inoltre, le comunità rurali tendono a essere colpite in modo diseguale dalle alluvioni e dai conseguenti spostamenti, in questo caso la mobilità legata al clima è a corto raggio e provoca esodi rurali, dalla campagna alla città, dove i centri urbani sono sempre più pauperizzati. La migrazione internazionale risulta essere un movimento secondario, una conseguenza della mancata integrazione dei migranti rurali nei centri urbani del Paese di origine.  

Il Bangladesh tra i Paesi più colpiti dal cambiamento climatico

Il rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Center e principale fonte mondiale di dati e analisi sulla migrazione interna, mostra che, a livello globale, l’Asia e il Pacifico sono le regioni più soggette a spostamenti di popolazioni dovuti alle catastrofi climatiche. Gli studiosi evidenziano come la migrazione interna per motivi climatici sia destinata ad accelerare fino al 2050, prevedendo 40,5 milioni di migranti climatici interni solo in Asia meridionale, e quasi la metà di queste persone si troverà in Bangladesh.

La vulnerabilità del Bangladesh agli effetti del cambiamento climatico è dovuta alla combinazione di fattori geografici, come la topografia pianeggiante ed esposta ai delta, e fattori socio-economici, tra cui l’alta densità di popolazione, i livelli di povertà e la dipendenza dall’agricoltura. Inoltre, secondo il Rapporto sui disastri dell’UNESCAP Asia-Pacifico 2021, il 77,6% del Paese si trova a meno di 5 metri sopra il livello del mare e l’innalzamento del livello del mare minaccia di lasciare un quinto del Paese sott’acqua. L’impatto principale sulle condizioni di vita è dovuto agli effetti della salinizzazione sulle forniture di acqua potabile, sui raccolti e sulle opportunità di lavoro. Infine, le tempeste sempre più frequenti e l’erosione dei circa 700 fiumi stanno rendendo il territorio invivibile, costringendo la popolazione rurale ad abbandonare i villaggi.

L’Environmental Justice Foundation (EJF), riporta che ogni giorno si spostano tra le mille e le 2 mila persone sfollate a Dhaka e Chittagong, peggiorando le proprie condizioni di vita. Si tratta di una mobilità a corto raggio, dove c’è una correlazione più sistematica di persone che dopo anni di resa insufficiente abbandonano le aree rurali e vanno nei centri urbani. Al contempo, l’urbanizzazione e l’esodo inevitabile verso le città potrebbe aumentare il rischio di minacce prolungate, tra cui insicurezza umana e conflitti sociali, se la pauperizzazione non sarà affrontata adeguatamente dal governo e dalla comunità internazionale. La Banca Mondiale ha stimato che il Bangladesh avrà bisogno di 5,7 miliardi di dollari per l’adattamento ogni anno entro il 2050, mentre le stime per le riparazioni dei danni e la mitigazione sono incerte nel lungo periodo.

Questo articolo, a cura di Maddalena Fabbi e Ilona Zabrytska, è stato scritto in collaborazione da Orizzonti Politici e Affari Internazionali, la rivista di IAI, nell’ambito del progetto sulle crisi umanitarie nel mondo

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