Le sei sfide della politica estera australiana 

Negli ultimi cinque anni, le sfide che Canberra deve affrontare nella regione dell’Indo-Pacifico si sono acuite, soprattutto a causa di una politica estera cinese sempre più aggressiva, della crescente rivalità tra quest’ultima e gli Stati Uniti – unico alleato formale dell’Australia – e della costante crescita demografica, economica, e potenzialmente strategica di molte nazioni spesso trascurate dall’Australia nei decenni precedenti.

È in tale complicato contesto che si inserisce il nuovo governo guidato dal primo ministro Anthony Albanese, il primo capo di governo laburista da quasi 10 anni.

Da un lato vi è la chiara necessità di mantenere il tradizionale assetto strategico australiano al fianco degli Stati Uniti e dei suoi alleati, mentre dall’altro vi è l’urgente bisogno di rendere più inclusiva la politica estera nazionale. Questo implica l’espansione non soltanto dell’elenco dei partner attivi di Canberra, ma anche dei temi su cui quest’ultima è disposta a giocare un ruolo importante. Si richiedono dunque sia elementi di continuità che di innovazione.

I primi due mesi dall’insediamento del nuovo governo laburista mostrano segnali senz’altro positivi in tal senso; tuttavia le sfide sono numerose e spesso di carattere globale, e non deve dunque sorprendere il livello di attenzione per il nuovo corso della politica estera sotto l’amministrazione Albanese.

Le sei grandi sfide di Canberra

Tra le molte sfide esistenti, il primo punto fa riferimento all’alleato storico, gli Stati Uniti, che rappresentano il perno dell’intera politica estera australiana. Come tutti i “junior partner”, anche l’Australia corre i due rischi tipici delle alleanze asimmetriche: il timore di essere abbandonata da Washington (timore esemplificato dall’amministrazione Trump, considerando che non vi è automatismo nell’alleanza ANZUS che lega i due Paesi), e il rischio di essere intrappolata in conflitti non strategici per l’Australia a causa dell’interventismo statunitense (nel passato recente Afghanistan e Iraq, in futuro potenzialmente Taiwan). Vi sono ulteriori rischi, naturalmente, ma questi sono i principali.

La seconda sfida fa inevitabilmente riferimento alla Cina, nazione con la quale ha luogo un terzo dell’intero commercio globale dell’Australia. In un primo momento, i colossali rapporti commerciali hanno portato ad alcune pietre miliari diplomatiche: partnership strategica nel 2014 e accordo di libero scambio nel 2015. A partire dal 2017, tuttavia, intense attività militari ed economiche di Pechino nelle acque internazionali del Mar Cinese Meridionale, attività spionistiche e di guerra cibernetica a danno di Canberra, e ricatti commerciali sempre più frequenti hanno spinto i governi conservatori di Canberra a cercare nuovi partner commerciali e a supportare con rinnovato vigore la politica statunitense nell’Indo-Pacifico (si pensi al Quad/Quad Plus e ad AUKUS). Se e come si possa in parte ricucire lo strappo tra i due Paesi resta da vedere.

Il terzo punto riguarda la tipologia di partner politici e strategici con i quali l’Australia collabora più da vicino. Dopo Washington, questi sono il Giappone, il Regno Unito, la Corea del Sud, la Francia, la Tailandia, e le Filippine. Senza eccezione, sono tutti alleati formali degli Stati Uniti. Al netto dei molti vantaggi, questo in parte pregiudica l’immagine dell’Australia nella regione, al pari della flessibilità della sua politica estera.

La quarta sfida si focalizza sui rapporti australiani con il Sudest Asiatico, formalmente rappresentato dall’associazione ASEAN, con la quale l’Australia collabora principalmente su temi di natura economica (con molti margini di miglioramento) e normativa. Non vi è una collaborazione strategica significativa a supporto del pur esistente consenso sull’importanza del diritto internazionale, sostanzialmente a causa della ingombrante vicinanza geografica, economica e strategica di Pechino agli Stati membri di ASEAN. Dal momento che diversi di questi – Indonesia tra tutti – diverranno entro pochi anni economie di dimensioni globali, è essenziale che l’Australia rinsaldi i rapporti velocemente e che riesca ad estendere il perimetro delle collaborazioni bilaterali e multilaterali.

La quinta prova per il nuovo governo è quella del Pacifico Meridionale, regione in cui Canberra ha storicamente ricoperto il ruolo di potenza regionale e di “fratello maggiore”. In anni recenti, le molte nazioni arcipelagiche hanno subìto i rischi derivanti dai cambiamenti climatici – incluso l’innalzamento dei mari – ma non hanno trovato nell’Australia il partner adatto a mitigarne gli effetti. Al contrario, l’Australia ha continuato ad esportare e ad utilizzare fonti non rinnovabili (carbone, principalmente) minimizzandone gli effetti per i propri partner regionali. La dura e prolungata chiusura dei confini durante la pandemia da COVID-19 – in seguito gestita anche grazie a vaccini destinati ai Paesi più poveri, tramite lo schema COVAX – ha poi minato ulteriormente l’immagine regionale dell’Australia, lasciando ampi spazi alla politica indo-pacifica di Pechino, politica che il nuovo governo Albanese ha tentato rapidamente di contrastare.

La sesta ed ultima sfida è quella dei rapporti con l’Europa. I rapporti sono cordiali e in lento ma costante miglioramento, nonostante l’annuncio della partnership strategica rafforzata AUKUS abbia recentemente oscurato l’annuncio della politica comunitaria sull’Indo-Pacifico. Ciò ha causato molta irritazione nel Vecchio Continente, in aggiunta all’ira francese per l’esclusione dal famoso contratto per la costruzione dei sottomarini per l’Australia. Ad esclusione di quelli con il Regno Unito, i rapporti con potenze economiche e militari come Francia, Germania, e Italia (e con la stessa Unione Europea) hanno molti margini di miglioramento, con un consistente potenziale strategico ancora da sfruttare.

Il nuovo governo e la strada da percorrere

È stato sottolineato altrove che una maggiore collaborazione dell’Australia con l’ASEAN, le nazioni del Pacifico Meridionale, e l’Europa sarebbe in grado di rafforzare la politica estera australiana con metodi alternativi e complementari, focalizzando Canberra sul “soft power” da affiancare al “hard power” proiettato ed utilizzato da Washington. Tale complementarietà non richiederebbe alcun distanziamento strategico da Washington.

Nei primi due mesi dall’insediamento del nuovo governo guidato da Anthony Albanese, professionisti e osservatori delle relazioni internazionali hanno visto smentite alcune previsioni catastrofistiche che paventavano un pericoloso cambio di rotta in politica estera.

Al contrario, il nuovo governo ha immediatamente preso parte alla riunione annuale del “Quad” (cooperazione strategica tra Australia, Stati Uniti, Giappone, e India), ed ha organizzato un tour del Pacifico meridionale ad opera del Ministro degli Esteri australiano Penny Wong, al fine di contrastare la crescente influenza cinese nel nord dell’Australia. Al contempo, il nuovo esecutivo ha dimostrato una chiara disponibilità ad affrontare temi importanti come i cambiamenti climatici, le richieste di riconoscimento costituzionale degli Indigeni Australiani, un nuovo inizio nelle relazioni con le nazioni arcipelagiche del Sud Pacifico, ed altri ancora che il precedente esecutivo conservatore guidato da Scott Morrison mirava ad evitare.

È sicuramente troppo presto per affermare che il nuovo corso della politica estera australiana sia esattamente ciò che serve alla nazione per affrontare le molteplici sfide che la attendono, ma è senz’altro possibile affermare che Canberra sta ora procedendo nella giusta direzione.

Foto di copertina EPA/LUKAS COCH AUSTRALIA AND NEW ZEALAND

Ultime pubblicazioni