Un altro anno da incubo per il Libano

Contrariamente a quanto scritto dalla maggior parte delle analisi politiche condotte dopo le rivolte arabe, il Libano non è stato immune alle ondate di proteste popolari contro la corruzione e a favore di maggiore  giustizia sociale e di una governance partecipativa. In Libano le ondate di dissenso si sono sviluppate a più riprese: decine di migliaia di persone si sono mobilitate nel 2011, centinaia di migliaia nel 2015 in risposta alla crisi del sistema di gestione dei rifiuti che ha travolto il paese, e nel 2019 una massiccia ondata di rivolte ha visto la mobilitazione dei libanesi all’interno del Paese e in tutto il mondo.

Quest’ultima ondata di proteste ha resistito a momenti di arresto dall’inizio della pandemia nel marzo 2020 e al crollo finanziario che ha portato i libanesi alla povertà. Essa è stata segnata dal forte senso di solidarietà emerso in seguito all’esplosione avvenuta nel porto di Beirut nell’agosto 2020. Oggi quella mobilitazione travolgente non è altro che un ricordo lontano, poiché il Libano si trova nel mezzo di un secondo anno di inferno.

Un sistema di governo inceppato

Il sistema confessionale libanese che regola la ripartizione dei poteri complica la già litigiosa politica del Paese. Si tratta di un sistema basato sulla rappresentazione dei principali gruppi confessionali attraverso leader autoproclamati, sorretto da reti di clientelismo e costantemente scosso dalle turbolenze della geopolitica regionale. Considerata l’assenza di un dittatore da destituire, l’articolazione del malcontento da parte degli attivisti anti-regime ha necessitato di tempo. Dopo la fine della guerra civile nel 1989, le istituzioni statali libanesi non avevano alcuna prospettiva di riforma. Fino al 2005 il regime siriano ha continuato a controllare il Libano, manomettendo le elezioni, alimentando la corruzione e al contempo, soffocando il dissenso.

Dopo l’assassinio del primo ministro Rafik Hariri, i partiti e le voci anti-siriane hanno costituito un contesto di speranza che ha favorito il ritiro delle truppe siriane. Il sistema stesso non è però mai stato riformato, gli affari clandestini, i tavoli di dialogo ufficiosi e la corruzione massiccia hanno continuato ad esacerbare il settarismo, la povertà e i finanziamenti da parte di un sistema bancario fasullo. L’ordine del dopoguerra è stato sviluppato su un’amnistia per i criminali di guerra, evitando così di identificare le responsabilità e di garantire la giustizia. Senza un’università pubblica funzionante, una narrazione degli eventi passati accurata, un’economia produttiva, un’uguaglianza di genere garantita e qualsiasi altra base utile alla definizione di un senso di identità civica, sfidare il regime si è scontrato con alcune fratture e divergenze. I libanesi si trovano così ad essere d’accordo sul fatto di essere infelici, ma non concordano sulle motivazioni dietro questa condizione.

Questo fino all’ottobre 2019, quando le proteste hanno travolto la nazione e tutte le principali città con un messaggio molto chiaro e coerente: “tutti, ma proprio tutti” sono responsabili. “Tutti” comprendeva l’insieme di partiti e leader politici, incluso Hezbollah o coloro che hanno cercato di prendere le distanze da Hezbollah dopo il 2005. Ciò che il messaggio trasmetteva era che i loro compromessi, le coalizioni e l’acquiescenza erano tutti ugualmente da biasimare. Questo era sufficiente per mettere in discussione i pilastri fondamentali della condivisione del potere su base confessionale e scuotere le fondamenta del diffuso clientelismo. Perciò, in maniera simile ai metodi impiegati dai regimi autoritari e tirannici, anche i politici libanesi hanno fatto uso di violenza, oppressione, cooptazione e minaccia per sopprimere le proteste del 2019.

Malgrado ciò, le reti di attivisti e attiviste nate spontaneamente nelle strade si sono riunite in una grande dimostrazione di solidarietà dopo l’esplosione del porto di Beirut nel 2020. In questo caso il messaggio era ancora più chiaro, cioè, che la corruzione di massa che ha permesso lo stoccaggio di esplosivi al porto per sei anni è da attribuire all’establishment al potere e che nessun finanziamento dovrebbe pervenire allo stato senza condizioni di trasparenza. Per diversi mesi, le comunità si sono organizzate, le ONG hanno reagito, la diaspora ha fornito supporto, gli studenti hanno raccolto i vetri frantumati dalle strade, i medici e gli infermieri hanno prestato servizio volontariamente e le imprese hanno lottato per poter riaprire in un contesto generale di crollo economico senza precedenti.

Dalla mobilitazione al logoramento

Siedo e scrivo questo desiderando di essermi sbagliata sullo stato della nostra mobilitazione. Personalmente lo vedo e lo vivo come un grande passaggio dalla mobilitazione di massa, dalla resistenza e dalla speranza a una fase di esaurimento politico caratterizzata da tre dimensioni principali.

In primo luogo, l’ampiezza e le dimensioni del disastro economico e sociale sono troppo grandi perché i civili possano continuare a lottare senza riforme che affrontino i problemi strutturali della disuguaglianza. Per quanto abbiamo sperato di potercene fare carico, resta comunque impossibile lavorare per riprendersi dall’esplosione e dal crollo economico senza una strategia governativa centralizzata e concertata. “Operavamo con speranza e slancio, ma la nostra energia sta svanendo mentre sperimentiamo molteplici crolli e il diffondersi quotidiano di povertà, mancanza di cibo, inesistenza di infrastrutture e buio costante”, mi dice un attivista. Le riserve di carburante e di energia del Libano non sono sufficienti per illuminare le strade di notte. “Una volta mi consideravo come appartenente alla classe medio-alta, con uno stipendio decente e la possibilità di impiegare il mio tempo per organizzare manifestazioni e campagne, ma ora il mio stipendio è a malapena sufficiente e ho troppa paura di guidare fino a casa di notte in strade così buie”, mi dice un altro attivista.

La seconda dimensione dominante che caratterizza la condizione di logoramento è la resilienza ineguagliata dei politici e del sistema di spartizione del potere. Nonostante le proteste e le condanne, nessuna riforma è stata implementata ad oggi e si assiste in Libano a una forma di restaurazione del regime invece che a un generale cambio di rotta. I politici sono riusciti a stroncare l’iniziativa francese, a dissuadere le organizzazioni internazionali e a sfuggire a qualsiasi forma di giustizia. Fino a oggi, nessuna persona è stata accusata dell’esplosione avvenuta nel porto e non è stata promulgata alcuna riforma. Al contrario, i politici e le istituzioni statali continuano a mentire all’opinione pubblica, a cooptare, a rafforzare il clientelismo e ad apparire in tutti i principali talk show. Questa restaurazione del regime porterà alla vittoria di “tutti, ma proprio tutti”, e nonostante le apparenti spaccature esistenti all’interno del blocco di potere, i leader formeranno governi di unità nazionale e continueranno a far parte insieme di inutili commissioni parlamentari.

La terza dimensione della situazione di logoramento sperimentata dai libanesi è l’incapacità dei gruppi di opposizione nati dalle rivolte di formare un fronte unificato che possa articolare una chiara serie di istanze. Negoziare un accordo con il Fondo monetario internazionale, indagare sull’esplosione al porto e alleviare il peso dei più vulnerabili dovrebbe essere sufficiente per raccogliere solidarietà e unità nelle prossime elezioni. Tuttavia, il voto si terrà tra 12 settimane e i partiti politici emergenti si sono accordati unicamente sulle nomine dei nuovi candidati. Credo che tutti questi candidati siano degni, competenti e capaci di garantire un cambiamento al paese, ma necessitano di un forte sostegno elettorale. Ciò di cui il Libano ha bisogno sono istituzioni politiche, partiti ed esponenti in grado di avanzare e guidare una visione di cambiamento. Per il momento, tutto ciò su cui l’opposizione può contare sono aggregazioni di candidati con piccole reti di sostegno.

Il futuro tra elezioni e incertezza

Le prossime elezioni sono cruciali, ma l’organizzazione intorno ad esse rimane ancora timida. Se l’esaurimento mentale consiste nel sopportare un peso troppo grande con energie e capacità insufficienti per avere successo, quello politico sussiste allora quando le persone si fanno carico di più responsabilità di quelle che sono in grado assolvere. È impossibile recuperare una nazione senza responsabilizzazione, impossibile ricostruire senza una strategia di governo, e impossibile vincere di fronte a tiranni criminali.

Quello che attende ora il Libano è ancora da vedere, ma in questo momento d’incertezza, penso che svelare la verità sia un primo passo per cogliere il fatto che non siamo soli nel nostro logoramento e che ripetere le stesse procedure più e più volte non può funzionare. Come su un aereo, dobbiamo assicurarci di indossare le nostre maschere d’ossigeno prima di metterle a tutti quelli che ci circondano, e in questo momento in Libano l’ossigeno è merce rara.

Foto di copertina EPA/WAEL HAMZEH

Ultime pubblicazioni