E così Trump ce l’ha fatta e tornerà alla Casa Bianca per un secondo mandato. Il risultato elettorale, chiaro e incontrovertibile, premia il candidato più divisivo, con le credenziali meno credibili sotto il profilo del conflitto di interessi, il meno sensibile sul tema del rispetto dei “checks and balances” che caratterizzano la democrazia americana e il più imprevedibile per gli equilibri sulla scena internazionale. Ma anche il candidato che è stato più capace di cogliere le preoccupazioni economiche e le ansie di sicurezza dell’americano medio, che ha saputo trasmettere un messaggio rassicurante sulla sua capacità di proteggere gli interessi americani e nel mondo, che ha meglio interpretato il desiderio degli americani di concentrarsi sui problemi interni del Paese e di rinunciare al ruolo di potenza egemone degli Usa.
Il risultato dopo la campagna elettorale
Il successo di Trump è arrivato al termine di una lunga e divisiva campagna elettorale in cui è successo di tutto. Uno, o forse due, attentati alla vita di Trump, tanto miracolosamente falliti da suscitare dubbi sulla loro attendibilità; la tardiva uscita di scena del Presidente in carica, Biden, che ha capito troppo tardi di non essere in partita; la candidatura della sua Vicepresidente, Kamala Harris, ripescata in extremis dopo che il Partito democratico aveva spinto Biden a farsi da parte. Con la conseguenza che proprio la debolezza della Harris è stata uno dei fattori che contribuiscono a spiegare il successo di Trump.
Ma è stata anche una campagna elettorale senza esclusione di colpi, esclusivamente caratterizzata da attacchi personali volti a delegittimare l’avversario e a minarne la credibilità. Una campagna in cui i programmi dei due candidati sono stati oggetto solo di annunci vaghi e generici: più parole d’ordine che indicazioni di “policies” o misure concrete che i due avrebbero adottato se eletti. Una campagna ideale per un candidato come Trump, autentico maestro nel veicolare messaggi semplici e di sicura presa.
Una eterogenea base elettorale e vaghi progetti politici
La piattaforma politica con cui Trump si è affermato è una combinazione di suprematismo e nativismo bianco, razzismo e conservatorismo oltranzista, iper-liberismo economico, ossessione per la sicurezza e per i rischi delle migrazioni, il tutto presentato con un linguaggio molto esplicito e volutamente divisivo, combinato con un richiamo all’isolazionismo come stella polare della politica estera americana. La coalizione di interessi che ha sostenuto Trump è tra le più eterogenee che si possano immaginare. Comprende miliardari delle “tech companies”, magnati di Wall Street, la popolazione rurale degli Stati centrali degli Usa, gli “underdogs” che si sentono esclusi dalla distribuzione della ricchezza prodotta nel Paese e una quota consistente di ceto medio, impaurito da criminalità e migrazioni.
Si sa ancora poco sui collaboratori che Trump vorrà chiamare a far parte della sua Amministrazione. Quanto programma, se dovessimo interpretare i pur vaghi messaggi della campagna elettorale, ci dovremmo aspettare una politica economica caratterizzata da consistenti alleggerimenti della tassazione sulle imprese (e forse delle persone), l’abbandono delle politiche green dell’Amministrazione democratica e la ripresa di incentivi alle industrie del greggio e del gas, politiche migratorie sempre più restrittive, oltre a misure mirate a rafforzare la sicurezza interna e la repressione della criminalità. In politica estera, al netto della leggendaria imprevedibilità del nuovo Presidente, dovremmo attenderci scelte ispirate a un approccio esplicitamente transazionale, il ridimensionamento delle alleanze tradizionali degli Usa, la sfiducia nelle istituzioni internazionali e una speciale attrazione per i contatti diretti con i maggiori protagonisti sulla scena internazionale, quale strumento ideale per affrontare problemi complessi.
Tra imprevedibilità e incertezza
Questo è lo scenario che emerge dalle dichiarazioni di Trump in campagna elettorale e da quanto ha lasciato intendere il suo entourage. Questo è quello che si aspettano i suoi oppositori interni e quanti all’estero temono un Presidente americano così atipico e intrattabile. Ma Trump è Trump, e la sua caratteristica principale è l’imprevedibilità. Ha minacciato persino di incriminare i suoi avversari politici che definisce «nemici interni» dell’America. Potrebbe però anche non fare niente di tutto ciò, per calcolo, incapacità o convenienza. Visti i precedenti e l’immoralità del personaggio, lo scenario più realistico è quello di un quadriennio di grande e pericolosa incertezza, sia sul fronte interno americano che sulla scena internazionale.