Da sempre la difesa del proprio territorio è un tratto distintivo di ogni Stato e di ogni Federazione/Unione di cui fa parte. Vale per i confini terrestri, per quelli navali e per quelli aerei. La propria sicurezza è una condizione essenziale per la sopravvivenza: non può esserci continuità nello sviluppo economico e sociale senza sicurezza e non ci può essere sicurezza senza capacità di difesa e volontà di utilizzarla.
L’Unione Europea è, come si sa, uno strano animale politico e istituzionale. Fino ad ora si è tentato di farlo vivere e crescere dimenticandosi questo legame e illudendosi che i “predatori” fossero estinti o, comunque, intrappolati in qualche lontana riserva. La Russia con l’attacco all’Ucraina ci ha costretti a prendere atto che la nostra era solo un’illusione. Questo significa che se non si vuole essere “prede” bisogna o diventare “predatori” o costruirsi adeguate capacità di difesa.
Droni e ipersonici: la minaccia aerea
La più pericolosa minaccia con cui oggi e domani l’Unione si dovrà confrontare è quella aerea, in precedenza portata da velivoli e missili e, oggi, anche dal munizionamento guidato dell’artiglieria a lunga gittata e dai droni. Il munizionamento guidato consente una grande precisione e può essere utilizzato, con costi sostenibili, in grande quantità senza esporre il personale. I droni possono essere molto più semplici (e quindi di più facile produzione ed impiego) e molto meno costosi (e quindi accessibili ed utilizzabili in grandi quantità) di velivoli e missili. Lo stanno dimostrando la guerra in Ucraina, ma anche gli attacchi contro Israele e quelli contro le navi in transito nel Mar Rosso. Una grande novità si sta profilando anche nel campo missilistico con l’arrivo degli ipersonici, in grado di volare a velocità elevatissime e di manovrare nella fase endo-atmosferica: due caratteristiche che riducono drasticamente il tempo disponibile per una reazione efficace.
La disponibilità e varietà di strumenti offensivi che arrivano attraverso lo spazio aereo e che possono partire da terra, dall’aria o dal mare (compresa, per i paesi più sviluppati, la parte sottomarina), mette oggi al primo posto questa minaccia. Oltre tutto può essere rivolta contro obiettivi militari o civili, comprese le infrastrutture critiche senza le quali la tenuta politica e morale di una popolazione attaccata può essere messa a durissima prova, come sta cercando di fare la Russia contro l’Ucraina.
Una sfida per l’Unione europea
Per l’Unione europea la difesa aerea “allargata” rappresenta, più che per altri, la prossima grande sfida. Al rischio militare si aggiungono, infatti, altre considerazioni sul piano strategico, politico e tecnologico-industriale. Nessuno Stato europeo è in grado di affrontarla da solo, da nessun punto di vista. Ogni eventuale attacco, inoltre, comporterebbe l’attraversamento dello spazio aereo di più Stati membri e il suo contrasto non potrebbe che essere attuato da sistemi distribuiti in prossimità delle sue frontiere esterne, terrestri e navali. Lo stesso vale per realizzare un corrispondente sistema di allarme precoce che comprenda anche una forte componente spaziale. Tutto questo deve necessariamente essere gestito da un sofisticato sistema centralizzato di comando e controllo.
Quel poco che c’è oggi lo dobbiamo alla NATO e, comunque, è stato sviluppato per operare in un mondo che non c’è più. Adesso è l’Unione Europea a dover lanciare un’iniziativa inclusiva e credibile, volta a proteggerci da ogni potenziale minaccia dall’aria.
Anche sul piano del sostegno politico si otterrebbe sicuramente un ampio consenso: le immagini dei bombardamenti che arrivano quotidianamente da Ucraina e Medio Oriente parlano da sole. Costruire una cupola di protezione dell’Europa contribuirebbe a rassicurare i suoi cittadini e dimostrare quanto è importante ed utile la nostra Unione.
Infine, non va dimenticato che il settore missilistico è l’unico in cui l’Europa sia riuscita ad integrare le sue capacità tecnologiche e industriali in un unico gruppo transnazionale europeo, MBDA, in grado di competere sul mercato internazionale e, quindi, anche in grado di soddisfare questa nuova esigenza.
Sulla carta, quindi, un simile programma europeo sembrerebbe vincente da tutti i punti di vista. E, invece, egoismi nazionali e mancanza di lungimiranza rischiano di far perdere anche questa occasione.
Il caso dell’European Sky Shield Initiative
Un esempio clamoroso è stata la decisione di avviare nell’ottobre 2022 la European Sky Shield Initiative, coinvolgendo su iniziativa tedesca altri 14 paesi europei (soprattutto quelli più vicini alla Russia), nella costruzione di una difesa aerea e antimissile integrata basata su tre livelli: alta quota e lunga gittata (con il sistema Patriot americano), media quota e gittata (con il sistema Iris-T tedesco) e, in prospettiva, corta gittata (con il sistema Arrow 3 israeliano).
Nonostante il programma Twister avviato in ambito PESCO, la cooperazione strutturata permanente europea, e nonostante l’impegno della società europea MBDA per implementare le capacità dei sistemi SAMP/T franco-italiani e PAAMS franco-italiani-inglesi (anche con lo sviluppo del nuovo missile CAMM/ER italo-inglese), la Germania ha preferito puntare su un programma che rischia di minare la prospettiva di una capacità autonoma europea, ottenendo ad oggi l’adesione di altri 20 paesi.
Questa rischia, di conseguenza, di essere un’altra occasione persa dall’Europa, forse la più grave. Se non si riesce ad avviare un programma congiunto e autonomo in un settore strategico dove le condizioni sono particolarmente favorevoli, è difficile pensare di poter costruire un’Unione Europea in grado di difendersi e di esercitare un’efficace deterrenza contro ogni possibile minaccia. È questa la responsabilità che cade oggi sui governi e sulle nuove istituzioni europee che si formeranno nei prossimi mesi.