Un conflitto senza fine

Fra pochi giorni, l’Operazione Militare Speciale lanciata da Vladimir Putin all’assalto dell’Ucraina concluderà il suo secondo anno di guerra. Malgrado il gran numero di morti, combattenti e civili, le enormi distruzioni e l’altissimo costo economico sopportato da ambedue le parti, non sembra affatto che questo conflitto si avvicini ad una conclusione, né ad una lunga tregua.

Il fatto è che nessuno dei contendenti è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi: la Russia non ha né conquistato né domato l’Ucraina e quest’ultima non è riuscita a cacciare le truppe degli invasori da una larga fascia, circa il 20%, del suo territorio nazionale. Teoricamente, questa potrebbe essere la premessa per un compromesso che, pur senza arrivare ad una pace stabile, consenta l’instaurarsi di un lungo armistizio (quella che in gergo viene definita la “soluzione coreana”). Ma il problema è che questo conflitto ha assunto una valenza politico-strategica che va molto al di là delle, relativamente, semplici questioni territoriali.

Gli obiettivi strategici di Putin in Ucraina

Il dittatore russo ha più volte spiegato come egli attribuisca a questa guerra un grande valore strategico. Si tratta, a suo avviso, di difendere e riaffermare il ruolo ed il rango di grande potenza della Russia nei confronti del mondo occidentale, degli Stati Uniti, della Nato e dell’Unione europea, respingendo, e possibilmente annullando, l’allargamento verso Est di questo sistema, verificatosi a partire dal 1989. A tal fine è necessario, in primo luogo, assicurare il controllo dell’Ucraina da parte di Mosca.

Aver alzato la barra ad un tale livello non lascia spazio per raggiungere un compromesso equilibrato. Dopo due anni di guerra, Putin sembra puntare ancora alla pura e semplice sconfitta dell’Ucraina. Ma una tale inflessibilità e un tale massimalismo obbligano anche l’Occidente a definire con maggior chiarezza quali siano i suoi obiettivi, al di là della solidarietà nei confronti degli aggrediti e della loro strenua resistenza contro l’invasore.

È probabile che a Mosca si pensi che gli alleati occidentali dell’Ucraina, o almeno una loro parte, non diano a questa guerra la stessa importanza sistemica attribuitale da Putin. Se così fosse, essi potrebbero finire per accettare un compromesso squilibrato a favore della Russia. Al Cremlino, ad esempio, potrebbero sperare che un’eventuale rielezione di Donald Trump alla Presidenza americana renda questa ipotesi plausibile.

Cresce l’incertezza per il futuro dell’Ucraina

In un tale scenario, quali sarebbero gli interessi europei e quali le prospettive di farli prevalere?

L’allargamento dell’Europa verso Est è stata una delle più significative scelte politiche, sia in ambito Nato che per l’Ue. Rimettere in discussione questa scelta significherebbe anche minare la credibilità di queste istituzioni e, in genere, del concetto stesso di “Occidente”. Il fatto che tale politica si scontri con la decisa opposizione della Russia è probabilmente anche conseguenza di errori e sottovalutazioni, ma ciò non giustificherebbe un improvviso cambiamento di rotta.

Ad oggi, il bilancio del conflitto è piuttosto positivo. La deterrenza ha funzionato, non solo a favore della Russia, che ha sinora evitato che il conflitto si estendesse in profondità sul suo territorio, ma anche a favore dell’Ucraina, che non ha subito attacchi nucleari, e dell’Occidente, che ha potuto continuare indisturbato ad imporre sanzioni alla Russia e a rifornire di armamenti l’Ucraina. Lo scontro convenzionale non ha visto una vittoria ucraina, ma neanche un successo dei russi, che al contrario hanno subito ingenti perdite.

C’è però una crescente incertezza circa il futuro: quanto potrà durare ancora questa situazione? Le risorse umane e militari russe sono molto superiori a quelle degli ucraini, che possono colmare tale deficit solo grazie agli aiuti degli alleati, ma che comunque sopportano da soli il costo delle perdite umane e l’impatto della sistematica distruzione delle loro città e infrastrutture. La domanda è se gli alleati dell’Ucraina siano disposti a continuare a sostenere questo sforzo a tempo indeterminato, fino a quando l’Ucraina vorrà e potrà combattere o la Russia rinuncerà alle sue ambizioni.

Il ruolo dell’Unione europea nel conflitto

Molti ritengono che l’Europa non avrebbe le capacità necessarie, senza il determinante contributo americano, e che quindi l’intera partita si giocherà a Washington, tra Casa Bianca e Congresso, e forse con le prossime elezioni presidenziali. Tuttavia, tale posizione riduce l’intera realtà politica europea ad un semplice ruolo di comparsa ed in pratica finisce per delegare a Washington e a Mosca (e forse ad altri ancora) il compito di definire cosa accadrà ai nostri paesi.

La questione Ucraina diviene quindi un essenziale banco di prova per le ambizioni di “autonomia strategica” dell’Europa o anche, più concretamente, per definire la natura del nuovo sistema di sicurezza europea. In questa direzione vanno molti discorsi e proposte avanzate in queste settimane dalle istituzioni europee ed atlantiche, nonché i pronunciamenti di alcuni governi, quali ad esempio quelli di Francia e Germania. Rimane però la necessità di concretizzare tali affermazioni con i necessari impegni sia in termini di bilancio che in termini di politica industriale.

Prolungandosi nel tempo e rimanendo irrisolto, il conflitto in Ucraina ha visto crescere la sua importanza politica. Visto inizialmente come il tentativo russo di riaffermare la primazia di Mosca sui territori della vecchia Urss, è diventato centrale per il futuro del sistema occidentale e quindi anche degli equilibri globali.

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