Turchia, il voto storico dopo il terremoto

L’ufficialità è arrivata venerdì 10 marzo, dopo alcuni momenti di incertezza: nonostante il tragico terremoto che il 6 febbraio 2023 ha colpito la Turchia e la Siria mietendo oltre 50 mila vittime, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha firmato il decreto che conferma la data per le elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia al prossimo 14 maggio.

Con lo slogan “şimdi sıra Türkiye’de” – “Ora è il turno della Turchia!” –  Erdogan si avvicina alla più grande prova per sé e il suo partito, l’AKP (Il Partito di Giustizia e Sviluppo), dopo 20 anni ininterrotti di potere, e dà il via alla campagna elettorale per quello che è considerato il voto più importante della storia post-ottomana della Turchia e che avrà effetti importanti non solo sul panorama interno turco, ma anche sull’orizzonte regionale e internazionale.

Nel decreto, si spiega che le elezioni sono state anticipate in quanto la data, originariamente fissata al 18 giugno, coincideva con gli esami universitari, le vacanze estive e i viaggi per il pellegrinaggio Hajj. Il 14 maggio 1950 è, tuttavia, anche la data in cui si tennero le elezioni per il rinnovamento del parlamento turco, vinte dal leader del Partito democratico (DP), il conservatore Adnan Menderes, poi deposto dal golpe militare nel 1960 e condannato a morte, e per questo già definito “eroe” da Erdogan.

Una competizione elettorale aperta

Sono dunque 36 i partiti politici dichiarati idonei e ammissibili dal Consiglio elettorale supremo (Yuksek Secim Kurulu, Ysk) della Turchia, che ha anche definito il calendario elettorale per i prossimi due mesi. In base alla legislazione turca, per poter partecipare alle elezioni, un partito politico deve essere presente in almeno 41 province su 81, a sei mesi prima del giorno del voto. Altro requisito è che i partiti svolgano un grande congresso almeno una volta.

La competizione elettorale, che si preannuncia difficile e che si giocherà sul filo dell’ultimo voto, è dunque aperta e vede sfidarsi sostanzialmente due coalizioni: da una parte, l’alleanza formata da AKP e dal Partito del Movimento Nazionalista (MHP) di Devlet Bahçeli, con una possibile apertura verso l’islamista Yeniden Refah Partisi (erede del partito del Welfare fondato dal figlio dell’ex primo ministro Necmettin Erbakan, Fatih), e al DSP (Demokratik Sol Parti). Dall’altra, il “Tavolo dei sei” (in realtà allargato a sette): ne fanno parte il CHP di Kemal Kilicdaroglu, scelto come leader dell’opposizione; l’Iyi (il Partito Buono) di Aksener, che negli ultimi giorni aveva aperto una frattura, poi ricomposta in poco tempo tra i partiti dell’opposizione proprio per via della nomina di Kilicdaroglu; il Partito della Democrazia e del Progresso (Deva) di Ali Babacan (già ministro dell’Economia con Erdogan); il partito ‘Futuro‘ di Ahmet Davutoglu (ex primo ministro e ministro degli affari esteri con Erdogan), il Partito della Felicità (Saadet) di Temel Karamollaglu; e il DP di Gultekin Uysal. In più, l’HDP (il partito filocurdo) di Selattin Demirtas.

Lo sfidante di Erdogan

Chi è dunque Kilicdaroglu? Il settantatreenne Kilicdaroglu, anche definito il “Gandhi turco” per la sua somiglianza nei lineamenti al politico indiano, è un politico di lungo corso di origini curdo alevite, una minoranza da sempre discriminata in Turchia. Presidente del CHP (erede del kemalismo) dal 2010, economista, è riuscito nell’intento di mettere insieme la più vasta coalizione di partiti dalla nascita della Repubblica turca, unita da due principali interessi: sconfiggere Erdogan e ridare alla Turchia un sistema politico democratico. I nuovi sondaggi della Reuters mostrano Kilicdaroglu in vantaggio su Erdogan di oltre 10 punti percentuali. Anche il blocco dell’opposizione sarebbe in testa nella corsa al Parlamento, con almeno sei punti di vantaggio sull’AKP e i suoi alleati. Altri sondaggi, condotti dalla società MAK, parlano del sostegno all’AKP intorno al 40-41%, dimostrando comunque la tenuta del governo dopo il sisma di febbraio.

Un mese dopo il terremoto

Erdogan dovrà comunque lavorare alacremente per ottenere una vittoria non del tutto scontata in un’elezione che alcuni dei suoi stessi alleati avevano suggerito di posticipare di un anno. Già prima del terremoto, che, oltre alle vittime, ha lasciato milioni di persone senza un tetto sotto cui vivere e causato danni stimati in 100 miliardi di dollari, la Turchia stava combattendo la peggiore crisi economica dall’inizio del secolo.

I sopravvissuti al terremoto, rimasti senza casa, potranno registrarsi per votare tramite il sito web e-Devlet entro il 17 marzo. Una situazione che dunque pesa sul pensiero e il giudizio di gran parte della popolazione turca, che incolpa il governo di essere rimasto in disparte dopo il sisma per via dei ritardi nei soccorsi, ma punta il dito anche contro il sistema di crescita economica dell’AKP, che per lungo tempo ha dato priorità e incoraggiato un’edilizia sfrenata, chiudendo un occhio sui codici e sugli standard di sicurezza sismica. Tutte linee di faglia di un sistema, svelatosi al mondo intero, e che ora si appresta, a 100 anni dalla proclamazione della repubblica di Ataturk, ad un possibile cambio di volto.

Foto di copertina EPA/TURKISH PRESIDENT PRESS OFFICE

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