Nelle settimane scorse si erano prospettate diverse ipotesi sul futuro dei rapporti tra Grecia e Turchia nel periodo che va dalla fine delle elezioni amministrative turche fino all’incontro tra Mitsotakis e Erdogan, avvento lo scorso 14 maggio. Dopo l’incontro, è prevalsa una posizione in cui il presidente turco mostra i muscoli, mentre il primo ministro greco cerca di parare sia il colpo turco sia i molti colpi greci provenienti dalle diverse forze politiche di opposizione. Pomo della discordia: la conversione in moschea della chiesa del San Salvatore in Chora e la questione della territorialità delle acque dell’Egeo.
Durante l’incontro, tenutosi a Istanbul il 14 maggio, Erdogan ha annunciato di dare seguito alla decisione di qualche anno fa di riconvertire in moschea la Chiesa di San Salvatore in Chora, in origine una chiesa greca ortodossa, poi destinata a moschea e infine museo. Durante l’incontro è emersa anche la questione del transito dei migranti e del pattugliamento delle coste: Mitsotakis ha auspicato un maggiore sostegno della Turchia per gestirne il flusso.
La reazione all’incontro tra Mitsotakis e Erdogan
Il governo greco giudica un successo politico il proprio atteggiamento dopo l’incontro ad Ankara. Mitsotakis, nella conferenza stampa congiunta, ha sottolineato l’importanza della cooperazione nel campo migratorio, della difesa della frontiere e del ruolo culturale della minoranza greca presente in Turchia, anche se ridotta a poche migliaia di persone e tutte concentrate principalmente intorno al Patriarcato ecumenico. Nella stessa conferenza stampa, il primo ministro ha espresso angoscia per il cambio di destinazione d’uso della chiesa.
L’opposizione, invece, considera tutto ciò una resa incondizionata al vicino turco. Il punto che il premier vuole attribuirsi a suo favore riguarda la strategia, che dopo tanto tempo è pacifica anziché dai toni duri e minacciosi come spesso è accaduto. Tuttavia, essendo in campagna elettorale, ogni partito ha recitato la propria parte per ritagliarsi un ruolo e ottenere più voti.
Il partito più agguerrito è SYRIZA che si esprime a favore del mantenimento del dialogo, ma vuole anche che i confini siano chiari, sostenendo la prevalenza del diritto internazionale, gli interessi della Grecia e la pace nella regione con una strategia politica di sostanza. “Chiediamo per l’ennesima volta che il governo Mitsotakis si muova in questa direzione e la smetta di cedere sempre nei confronti della Turchia perché ciò è pericoloso per il nostro Paese”.
Oltre alla riconversione della Chiesa, Erdogan ha parlato di “minoranza turca” in Tracia: una chiara provocazione che rimanda al Trattato di Losanna del 1923, il quale pose fine alla guerra greco-turca e prevedeva lo scambio di popolazioni e disciplinava le minoranze, definendole con l’espressione “cittadini greci di religione musulmana”. Per effetto di questo trattato, a scuola studiano il turco, ma non devono essere chiamati turchi. Come risaputo, nei Balcani l’uso di una parola o la sostituzione di un aggettivo non è un semplice errore. Su questo punto, però, Mitsotakis nella conferenza stampa è stato chiaro: il carattere “religioso” (e non “nazionale” ) della minoranza è stato fissato dal Trattato.
Non sono da meno i socialisti del PASOK, che puntano il dito sul “sonno” del primo ministro, il quale “si è svegliato tardi; già dalla conversione di Santa Sofia doveva capire le intenzioni turche”. Temono quale possa essere l’atteggiamento del governo a luglio, quando si celebreranno i 50 anni dell’Operazione Attila, l’invasione di Cipro il cui territorio è per un terzo ancora occupato. Quanto all’attualità del Trattato di Losanna, per i socialisti esso “è scolpito nella pietra”.
I comunisti del KKE, coerenti col loro pensiero, hanno dato una lettura internazionalista e antiatlantica: ritengono che l’incontro sia stato un terreno di scontro a favore degli interessi imperialisti della Nato, che vuole usare l’area come avamposto per continuare la guerra in Ucraina e rafforzare il clima da barricate nei Balcani.
La neo Presidente della Macedonia del Nord
In questa chiave destabilizzatrice è stato visto quanto accaduto in Macedonia del Nord. La neo Presidente, la 71nne Gordiana Silianowska dei conservatori nazionalisti di VMRO, durante la cerimonia di insediamento, mentre recitava la formula del giuramento, ha usato la parola “Macedonia” in modo difforme dalla denominazione prevista dalla Costituzione, appena lettale dal Presidente del Parlamento, e in barba al Trattato di Prespe per il quale si è speso tanto lavoro diplomatico sei anni fa.
Sofia Filippidou, Ambasciatrice di Grecia a Skopje presente alla cerimonia, ha abbandonato l’aula. La reazione del governo greco è stata immediata: “La marcia di avvicinamento all”Ue passa per il rispetto dei trattati che la Macedonia del Nord ha sottoscritto, anche se al tempo noi di Nuova Democrazia (ND) non eravamo d’accordo”.
Da Skopje, il presidente di VMRO, Hristijan Mickocski, gioca col politichese affermando che “chiamare il proprio paese come si vuole non viola i trattati internazionali”. Ha aggiunto che “con i nostri vicini siamo d’accordo che quel trattato non piace a nessuno”, ribadendo però l’interesse principale di mantenere buone relazioni.
Da SYRIZA, che era al governo guidato da Alexis Tsipras, sono giunte lodi allo stesso Tsipras per aver risolto lo stallo diplomatico trentennale e critiche a ND, accusata di non aver fatto nulla per arginare le intenzioni di VRMPO, nonostante faccia parte della stessa famiglia politica.
L’episodio è stato stigmatizzato da tutti in Grecia, ma non in chiave anti-Usa, anzi poiché gli Stati Uniti furono i grandi promotori degli Accordi di Prespa, riconoscendo il ruolo chiave di questo Stato. Un’eccessiva ‘slavizzazione” non è desiderata neppure dalla comunità albanese, che rappresenta la seconda etnia del Paese.
Il derby elettorale, e non solo
Tornando alla Grecia , quello a cui stiamo assistendo è un normale derby in vista della competizione elettorale. Ma da poco si è conclusa anche la competizione calcistica, che ha visto la vittoria del PAOK di Salonicco, arrivato per un punto davanti all’AEK di Atene. Da notare che entrambi i nomi sono delle sigle in cui la K finale sta per Konsantinoupoli. Fondate dai greci provenienti da lì e che avevano optato per andare in Grecia per effetto del Trattato di Losanna, entrambe le squadre hanno come simbolo l’aquila bicefala.
Questo intreccio di storia e sport riflette come la storia nella penisola balcanica sia sempre presente e influenzi profondamente la vita quotidiana. Le tensioni storiche, culturali e politiche continuano a plasmare il presente e a influenzare il futuro della regione. Riconoscere e comprendere queste dinamiche è essenziale per costruire un futuro più stabile e pacifico.