Scudo anti-spread: un nuovo efficace “bazooka”?

Il Consiglio Direttivo della BCE, nella sua riunione del 21 giugno scorso, ha varato l’atteso strumento anti-spread, mirato a contrastare differenze ingiustificate nei costi di finanziamento degli Stati dell’eurozona.  È stato chiamato Transmission Protection Instrument (TPI) per segnalarne subito la ragione di fondo, che è di assicurare una corretta trasmissione della sua politica monetaria, proteggendola da dinamiche distorsive del mercato.

Le caratteristiche del nuovo “scudo anti-spread”

Il comunicato diffuso dalla BCE in seguito alla riunione precisa le caratteristiche del TPI e i requisiti che devono soddisfare gli Stati per poterne beneficiare.

In buona sostanza, il nuovo strumento consente all’Eurosistema (BCE/BCN) l’acquisto selettivo (sul mercato secondario) di titoli del debito pubblico di Stati  presi di mira da attacchi speculativi;  tempi e misura  degli acquisti non sono determinabili  ex ante, perché graduati in funzione  dei rischi che corrono l’unicità e la stabilità del sistema euro.

Possono godere dei sostegni TPI gli Stati che, cumulativamente, risultano adempienti alle regole EU di bilancio, non evidenziano gravi squilibri macroeconomici, presentano un indebitamento sostenibile, infine perseguono politiche economiche sane.

Come si legge nel comunicato, il TPI ha carattere aggiuntivo rispetto agli altri strumenti già in essere. Restano dunque in vigore le misure non convenzionali fin qui varate dalla BCE, quali l’OMT (Outright Monetary Transactions), l’APP (Asset Purchase Program) e il correlato PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program), nonché le TLTROs (Targeted Longer-Term Refinancing Operations). Rispetto a queste altre misure il TPI presenta elementi sia di diversità sia di analogia.

In quanto riservato agli Stati, il TPI si differenzia dai rifinanziamenti dei TLTROs, che si rivolgono alle banche. Tuttavia anche questi rifinanziamenti possono avere una qualche applicazione selettiva, indirizzandosi in particolare alle banche di singoli Stati. In tal modo essi vengono indirettamente ad alleggerire la pressione sul debito pubblico di tali Stati, in sintonia con le finalità del TPI.

Un rilievo in parte analogo vale per l’APP e il PEPP, vale a dire a dire per le operazioni del c.d. QE (Quantitative easing). In principio questi strumenti comportano acquisti del debito pubblico di tutti gli Stati euro secondo un criterio (capital key) obiettivo e prefissato.  Diversamente dal TPI, non hanno dunque carattere selettivo; inoltre, sono stati introdotti per perseguire il diverso obiettivo di combattere le tendenze deflattive a lungo prevalenti nell’area euro. Nondimeno, la BCE ha sempre dichiarato di  voler applicare un criterio di flessibilità quanto ai tempi e modi dei suoi acquisti; e questo ha ribadito ora con riguardo al reinvestimento dei titoli PEPP rimborsati alla scadenza. Anche queste operazioni possono quindi assumere efficacia selettiva e contribuire a quella finalità anti-spread che sta alla base del TPI.

Le differenze tra due strumenti ‘analoghi’

Veniamo ora al raffronto tra il nuovo TPI e il precedente OMT. Non vi è dubbio che tra questi due strumenti esistono forti analogie: tutti e due contemplano acquisti di debito sovrano selettivi, tutti e due perseguono l’obiettivo di assicurare una corretta trasmissione della politica monetaria della BCE, contrastando andamenti speculativi o comunque disordinati del mercato. Viene allora da chiedersi, in presenza di questi forti elementi di identità, perché la BCE abbia optato per l’introduzione del nuovo strumento anziché avvalersi di quello esistente (come del resto suggerito da alcuni autori).

Pare a chi scrive che rilevi innanzitutto un aspetto di carattere istituzionale. L’OMT costituisce indubbiamente uno strumento della BCE, espressione immediata di quel famoso “whatever it takes” del presidente Draghi. Nel contempo, attraverso l’elemento della condizionalità, l’OMT coinvolge strutturalmente anche il MES. In effetti, l’intervento della BCE è subordinato a un programma di politica economica che lo Stato interessato deve concordare in quella sede. È pur vero che alla formulazione  di questo programma concorre anche la BCE (insieme alla Commissione e al FMI); ma il nulla osta finale deve venire dal Consiglio dei governatori del MES, un consesso intergovernativo che decide all’unanimità.

Requisiti e condizionalità 

Nel caso del nuovo TPI, ogni intervento è riconducibile esclusivamente alla BCE e a una decisione (non necessariamente unanime) del suo Comitato direttivo. Non c’è dubbio che in tema di requisiti, specie sul punto della sostenibilità del debito, la BCE terrà conto delle valutazioni in provenienza dal MES, come pure da altre fonti (lo si menziona espressamente nel comunicato). Ma la procedura TPI si perfeziona interamente all’interno del diritto dell’Unione; e, in questo ambito, viene riaffermata la piena autonomia e indipendenza della BCE.

Occorre poi considerare un ulteriore elemento  di diversità tra TPI e OMT, connesso a quello appena  menzionato. Anche il TPI è soggetto a condizionalità al pari dell’OMT. Ma è una condizionalità verosimilmente più leggera, che non comporta interferenze vincolanti sulla gestione delle politiche economiche nazionali. Gli Stati interessati sono bensì tenuti al rispetto di requisiti  puntuali e rigorosi. Ma la loro formulazione sembra evocare un’applicazione più flessibile, che implica cooperazione e dialogo tra autorità nazionali ed europee: quasi una combinazione tra le condizioni per accedere alle linee di credito precauzionali del MES e quelle per ottenere i fondi del Dispositivo di Resilienza e Ripresa.

A suo tempo, la mera formulazione del programma OMT ha avuto l’effetto di acquietare i mercati: non c’è stato bisogno di utilizzare il “bazooka” allora approntato. Varrà ora lo stesso con il TPI? Se lo devono augurare specie gli Stati più fragili, tenendo sempre ben presente la vitale importanza dell’ombrello euro.

Foto di copertina EPA/RONALD WITTEK

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