L’autunno caldo francese

L’autunno caldo francese è cominciato il 27 settembre con lo sciopero nel settore delle raffinerie, da cui è scaturito un mese (almeno un mese) di code alle stazioni di servizio. Alla base della protesta ci sono rivendicazioni salariali incoraggiate da due constatazioni: l’alto livello dell’inflazione (anche se in Francia è comunque inferiore al resto dell’Eurozona) e il malumore per i super-profitti incassati dai giganti dell’energia, a cominciare dal gruppo petrolifero nazionale Total.

Il ruolo del sindacato e la mobilitazione

In questo quadro si inserisce, sotto traccia, la strategia politica della Cgt (Confédération générale du travail, da sempre vicina alla sinistra), che pensa alle future elezioni sindacali  e che intende  trascinare l’opposizione al governo macronista di Elisabeth Borne.

L’agitazione nel settore petrolifero ha creato gravi disagi soprattutto in alcune parti della Francia, compresa la regione parigina. I taxi hanno avuto serie difficoltà ad approvvigionarsi di carburante e alcune categorie, come il personale infermieristico, si sono talvolta trovate nell’impossibilità di prestare assistenza a domicilio. In una parte delle raffinerie, la base ha rifiutato le proposte della Cgt, che ha tuttavia tentato di proseguire nel blocco degli impianti.

Questo ha spinto il governo a varare misure di precettazione di una parte dei dipendenti in sciopero, scatenando la reazione della Cgt nel nome della “difesa dei diritti”. Di qui una controversia giudiziaria e un tentativo di allargare la protesta. Martedì 18 ottobre lo sciopero ha coinvolto, oltre ai dipendenti delle raffinerie, vari settori del pubblico impiego: trasporti, scuola, sanità.

Verso la riforma delle pensioni

Il protrarsi degli scioperi nelle raffinerie, malgrado alcune decisioni in senso contrario votate dai dipendenti, ha spostato (secondo i sondaggi) il baricentro delle simpatie dell’opinione pubblica. Nelle prime settimane della protesta, i francesi sostenevano la necessità di aumenti salariali generalizzati per far fronte al carovita; ma, con il moltiplicarsi dei disagi e con l’inasprirsi del conflitto nelle raffinerie, l’opinione pubblica si è maggioritariamente schierata in senso opposto.

Tutti (compreso Macron) chiedono dialogo e tanti vedono nell’atteggiamento della Cgt un ostacolo al compromesso. Il numero delle stazioni di servizio bloccate è sceso in modo sensibile tra inizio e fine ottobre, ma la crisi dei carburanti può riprendere in qualsiasi momento.

La tensione sociale resta elevata ed è probabile che quest’ultimo spicchio del 2022 veda le città francesi tornare ad animarsi a seguito di scioperi e manifestazioni, che potrebbero intensificarsi se Emmanuel Macron decidesse di realizzare davvero il suo programma di riforma delle pensioni. Già approvata nella scorsa legislatura (al prezzo di un’ondata di scioperi), la riforma è stata mandata in soffitta a causa dell’emergenza Covid. Macron vuole farla nuovamente discutere e approvare dal Parlamento perché sia operativa nel 2023, ma il governo non ha una maggioranza parlamentare e non può esagerare con i voti di fiducia.

La questione ‘fiducia’ nel futuro del governo

Proprio la polemica sulla fiducia accompagna in quest’autunno il riesplodere delle tensioni sociali dopo la duplice stagione dei “gilet gialli” e della mobilitazione contro la riforma delle pensioni, che hanno accompagnato la Francia tra il 2018 e il 2020. Le elezioni legislative di giugno hanno dato alla coalizione macronista una maggioranza relativa all’Assemblea nazionale. L’attuale governo di Elisabeth Borne ha potuto entrare in vigore senza bisogno di chiedere ai deputati una fiducia che presumibilmente non avrebbe ottenuto. La forza di questo governo dipende da un lato dal sostegno dell’Eliseo e dall’altro dalla divisione tra le opposizioni.

Al momento di affrontare la discussione sul bilancio, Borne ha dovuto fare i conti con migliaia di emendamenti, spesso presentati in una logica di puro ostruzionismo. Il governo ha dunque deciso di porre due volte la questione di fiducia, che in Francia dà per scontata l’approvazione di un testo che non viene neppure votato. Davanti a questo “bazooka” (articolo 49.3 della Costituzione), le opposizioni hanno un solo strumento : depositare una mozione di sfiducia con riferimento allo stesso testo legislativo.

Sia l’opposizione di sinistra sia quella del Rassemblement national hanno dunque depositato mozioni di censura che stanno per essere messe ai voti e che saranno respinte, visto che Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen non uniranno le proprie forze (quand’anche lo facessero, l’opposizione neogollista non li appoggerebbe e la sfiducia non passerebbe). Il governo resterà a galla, ma in acque molto agitate.

Foto di copertina EPA/Mohammed Badra

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