Prospettive per la nuova Ue

In questo anno elettorale eccezionale, con oltre 4 miliardi di persone che si recheranno alle urne in tutto il mondo, i cittadini europei hanno espresso le loro preferenze politiche per il rinnovo del Parlamento europeo lo scorso 6-9 giugno. Si prevedevano elezioni epocali, soprattutto per la possibilità (già paventata nelle ultime tornate elettorali) che le forze politiche di estrema destra potessero scuotere l’assetto dell’assemblea parlamentare europea. Questo non è avvenuto, ma i risultati delle urne hanno avuto un impatto significativo a diversi livelli: nazionale, in particolare in Francia, che sta ancora lottando con le conseguenze di una crisi politica, e in Germania, dove una crisi si profila all’orizzonte; sulle alleanze politiche al Parlamento europeo; sull’equilibrio di potere all’interno delle istituzioni europee; infine, sull’agenda politica dell’Ue.

Al Parlamento europeo ha sostanzialmente tenuto una maggioranza centrista, moderata e pro-europea, formata dal Partito Popolare Europeo (PPE), dai Socialisti e Democratici, dai Liberali e dai Verdi. Questa stessa coalizione ha eletto Ursula Von der Leyen per il suo secondo mandato come Presidente della Commissione europea con 401 voti, una quarantina in più del minimo necessario. Quasi tutti i partiti estremisti hanno votato contro di lei, segnando una chiara linea di demarcazione tra maggioranza e opposizione. Il voto contrario dichiarato da Fratelli d’Italia solo dopo l’annuncio dei risultati dello scrutinio a Strasburgo è stato una sorpresa, dato lo stretto rapporto costruito negli ultimi mesi tra Meloni e Von der Leyen: l’adesione di Von der Leyen alla linea di Meloni in tema di migrazione e l’aiuto offerto da Meloni per neutralizzare l’opposizione di Orban alle sanzioni dell’Ue contro la Russia e agli aiuti all’Ucraina. Con questo voto, la leader italiana ha confinato il suo partito all’opposizione a livello europeo, abbandonando il suo approccio pragmatico in Europa e il suo ruolo di ponte tra i conservatori e l’ala più radicale della destra europea. Allo stesso tempo, Meloni ha visto la sua ambizione di unificare l’estrema destra nel Parlamento europeo andare in frantumi con la mossa dei suoi (presunti) alleati Le Pen, Orban e Salvini, che si sono uniti nel neonato gruppo “Patrioti per l’Europa”, e dell’AFD che guida il gruppo “Europa delle nazioni sovrane”. Se consideriamo che un cordone sanitario ha impedito ai rappresentanti di questi due gruppi di assumere posizioni rilevanti nelle commissioni del Parlamento europeo, possiamo tranquillamente affermare che il rischio immediato di una radicalizzazione dell’assemblea è stato nuovamente evitato.

Tuttavia, l’impatto delle ultime elezioni sull’Unione europea nel medio termine non deve essere sottovalutato. Per quanto riguarda il Parlamento europeo, molto dipenderà dal PPE e dalla sua potenziale apertura ai Conservatori e Riformisti Europei di Meloni su questioni specifiche dell’agenda. Nel Consiglio europeo, l’influenza delle forze politiche di destra e di estrema destra è cresciuta, sia perché guidano gli esecutivi nazionali sia perché svolgono un ruolo maggiore a livello nazionale, mentre quella di Francia e Germania potrebbe ridursi a causa dell’indebolimento dei due governi. Con un Parlamento europeo meno progressista, l’attuazione delle riforme istituzionali sarà impegnativa, anche in considerazione dell’aumento del numero di paesi che potrebbero porre il veto. In questo scenario, la rielezione della Von der Leyen alla guida della Commissione europea, sostenuta da una maggioranza pro-Ue, è positiva, ma la sua agenda per la prossima legislatura sarà inevitabilmente più a destra di quella precedente.

Abbiamo visto alcune anticipazioni di questa tendenza nei mesi scorsi. Se analizziamo le linee guida politiche 2024-29 di Von der Leyen, notiamo che sono state recepite alcune delle richieste delle forze politiche progressiste, come l’attenzione alla dimensione dell’equità sociale, la conferma degli impegni sul clima e una posizione dura sullo Stato di diritto. Tuttavia, l’attenzione maggiore è rivolta a questioni che figurano tra le priorità del PPE e, più in generale, dei conservatori, soprattutto in materia di difesa, competitività e migrazione. Per quanto riguarda la difesa, si punterà sulla creazione di un’Unione europea di Difesa, sull’aumento delle risorse di bilancio per le spese militari, sul rafforzamento del pilastro europeo della Nato e sulla conferma del sostegno all’Ucraina. Competitività e crescita diventeranno il nuovo mantra che sostituirà e incorporerà gli obiettivi della transizione verde, e porteranno con sé investimenti per il completamento del mercato unico e lo sviluppo di strumenti di difesa commerciale. Infine, gli aspetti esterni della migrazione, in particolare il controllo delle frontiere, saranno in prima linea nella politica migratoria dell’Ue.

Crisi dopo crisi, l’Ue ha dimostrato la propria capacità di resistenza adattando le proprie istituzioni e politiche. Le ultime elezioni hanno messo alla prova ancora una volta la sua capacità di mantenere una compagine maggioritaria pro-integrazione nonostante la tendenza alla radicalizzazione politica emersa in molti Stati membri. Tuttavia, il mutevole contesto politico a livello nazionale influenzerà inevitabilmente il centro di gravità dell’agenda politica europea e l’equilibrio di potere tra le istituzioni. Tutto ciò dovrà essere testato di fronte alle evoluzioni del contesto internazionale, a partire dalle prossime elezioni negli Stati Uniti e dagli sviluppi sul campo di battaglia in Ucraina. La nuova Ue sopravvivrà sicuramente. Quello che non sappiamo è se sarà ancora in grado di prosperare, stretta tra formidabili sfide interne ed esterne.

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