La sfida della sicurezza in Europa per la Presidenza polacca all’Osce

Con l’arrivo del nuovo anno la Polonia ha assunto la presidenza dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), prendendone il timone dalla Svezia e preparandosi per consegnarlo nel 2023 alla Repubblica della Macedonia del Nord. Sono questi i tre paesi che durante il 2022 costituiranno la c.d. Troika che supporterà la chairmanship polacca nel difficile compito di coordinare i lavori, costruire consenso sui vari dossier tra gli Stati membri, e stabilirne le priorità.

La presidenza dell’Osce è solitamente una “vetrina” che, quando utilizzata dal paese di turno con intelligenza e adeguate doti diplomatiche, può portare ad accrescere il proprio prestigio nell’arena internazionale, o persino aiutare a giocare un ruolo importante nella risoluzione di conflitti e crisi in cui altrimenti sarebbe difficile inserirsi, specialmente per paesi piccoli. All’Italia questo ruolo è toccato nel 2018.

Il ruolo dell’Osce

L’Osce è l’organizzazione internazionale che si occupa di sicurezza più ampia al mondo, in termini di membership. Mette infatti insieme un totale di 57 stati membri, dalla Russia all’Estonia, dagli Stati Uniti alla Mongolia, dalla Norvegia all’Uzbekistan. Ha le sue origini in un processo diplomatico che, in piena distensione tra Est e Ovest, a partire del 1973, vide riunirsi 35 Stati da entrambi i blocchi, per culminare negli Accordi di Helsinki nel 1975. Oltre al mutuo riconoscimento dei confini nazionali acquisiti dopo la Seconda Guerra Mondiale, particolarmente desiderato dall’Urss, furono centrali le norme relative ai diritti umani, da applicare in tutti gli stati firmatari e divenute oggetto di successive rivendicazioni da parte della dissidenza sovietica. Rimane tutt’ora l’unica organizzazione che si occupa di sicurezza in Europa a vedere partecipi sia Stati Uniti e paesi dell’UE che la Russia e tutti i paesi ex-sovietici o aventi fatto parte del Patto di Varsavia.

L’organizzazione si distingue per un approccio molto “ampio” alla sicurezza che mette insieme le dimensioni politico-militare, economica e ambientale, oltre a quella umana. Questo risulta in una vera visione a 360° che ingloba concetti come sicurezza energetica o la human security e pone al centro non solo le autorità statali, ma anche la società civile. Nella pratica, infatti, le attività messe in campo includono, tra le altre, misure per la prevenzione e risoluzione dei conflitti o per il controllo degli armamenti, la prevenzione della violenza contro le donne, la protezione dei diritti delle minoranze e dell’ambiente.

Le decisioni vengono prese sulla base di un processo decisionale consensuale e spesso sono frutto di un lavorio negoziale “sisifico”, ma l’Osce rimane comunque un importante forum di dialogo per stati con visioni molto diverse tra loro.

Le opportunità per la presidenza polacca

In questo quadro, il ministro degli Esteri polacco Zbigniew Rau ha espresso le priorità della presidenza di turno il 13 gennaio. La questione che èin cima all’agenda polacca e che sta più a cuore a Varsavia è anche quella più spinosa – il conflitto in Ucraina. Varsavia potrebbe tentare tramite la presidenza di ritagliarsi un ruolo nella mediazione tra le controparti russa e ucraina, ma sarà una partita difficilissima il cui punto cruciale è il dialogo con Mosca. Fin qui, la Russia ha espresso un apprezzamento ufficiale per la presidenza polacca – non senza sorpresa – unendosi in questo alla Romania, all’Italia e alla Lettonia.

Il complicatissimo quadro internazionale consegna alla diplomazia Osce un compito particolarmente difficile, con tensioni e conflittualità a geometria variabile tra gli stessi Paesi membri. La crisi ucraina, quella migratoria al confine con l’Ue che coinvolge direttamente Polonia, Lituania, Lettonia e Bielorussia, le proteste in Kazakistan e l’intervento, tra le altre, delle forze speciali russe nella città di Almaty, ne sono solo alcuni esempi.

Gli ostacoli interni

Il tema che rischia di essere un elefante nella stanza per la presidenza polacca è la questione dello stato di diritto e dei diritti umani. Quest’ultima è stata un tassello fondamentale nel processo che portò agli accordi di Helsinki e di cui beneficiarono direttamente i paesi satelliti dell’Urss. Varsavia, che non fece eccezione e che fu tra i paesi che guidarono il fronte delle rivendicazioni democratiche dell’ex blocco sovietico, oggi rischia di vedere il potenziale della sua diplomazia, di conseguenza l’efficacia della propria politica estera, calmierati proprio a causa del peggioramento dello stato di diritto e della democrazia, nonché dei diritti e delle libertà della società civile in Polonia.

La Polonia ospita già l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Osce – l’Odihr, istituito a Varsavia nel 1991 e che ha come compito quello di sostenere e assistere gli stati membri e le loro rispettive società civili nella promozione della democrazia, dello stato di diritto, dei diritti umani, della tolleranza e lotta alla discriminazione. Questo oggi stride con le violazioni di questi stessi principi perpetuate nel paese. La Polonia di certo non è l’unica tra i paesi Osce a vedere il proprio indice di democraticità calare, tuttavia le conseguenze di tale sviluppo potrebbero comprometterne la politica estera, e dunque anche il margine d’azione durante la presidenza Osce, come dimostrato dal deterioramento dei rapporti persino con i più stretti alleati, tra i quali l’Ue.

Foto di copertina EPA/Claudio Bresciani

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