Papa Francesco avvicina la Cina, grazie al Kazakistan

Nel Paese che fa da ponte tra Occidente e Oriente, il Papa cerca di avvicinarsi alla Cina. Ospite del presidente Qasym-Jomart Tokaev, che dal 2019 ha raccolto il testimone quasi trentennale di Nursultan Nazarbaev, Francesco è in Kazakistan per partecipare al Congresso dei capi delle religioni mondiali e tradizionali.

Un lasciapassare per quella terra “tanto estesa quanto antica”, come l’ha definita lo stesso Bergoglio, incastonata nel cuore dell’Asia centrale post sovietica e che fa da cerniera tra Russia e Cina. Punto d’incontro e di scambio, dunque, che rendono il Kazakistan rilevante non solo per la geopolitica delle grandi potenze, ma anche per quella delle grandi narrazioni. Tra le quali, naturalmente, s’inserisce anche quella del messaggio pontificio di Francesco.

Il Kazakistan di Tokaev 

Al comando del Kazakistan, indipendente dal 1991 dopo il crollo dell’Unione sovietica, è rimasto per circa tre decenni l’ex segretario del Partito comunista kazako: Nazarbaev. Quest’ultimo, però, con una mossa inaspettata, tre anni fa ha deciso di lasciare il potere al proprio delfino – Tokaev, appunto – e mantenere per sé la presidenza del Consiglio di sicurezza nazionale, ovvero l’agenzia che ha di fatto sostituito il Kgb.

Le proteste dello scorso gennaio, dovute all’aumento vertiginoso dei prezzi dei generi alimentari, dei carburanti e del gas, hanno però stravolto il Paese, dando un’accelerata a un processo di scollamento del Paese tanto da Mosca, quanto dalla Cina. E se verso quest’ultima, in seno al nazionalismo kazako, è radicato da sempre un forte sentimento sinofobico, il distacco dalla Russia di Putin ha sorpreso molti.

Del resto, lo stesso Tokaev, proprio per sedare le manifestazioni antigovernative, ha chiesto – e ottenuto – aiuto militare da parte delle forze dell’Organizzazione del trattato collettivo di sicurezza, ovvero un sistema che gravita attorno a Mosca. Un mese più tardi, l’invasione dell’Ucraina ha rimescolato le carte: a Nur-Sultan, capitale kazaka, ci si è convinti che la numerosa minoranza russa e russofona potesse essere la miccia per far divampare una nuova Crimea. Mettendo, così, a serio repentaglio l’indipendenza del Paese.

Sempre più celermente, Tokaev ha iniziato a prendere le distanze da Putin. Prima, annunciando di non riconoscere le repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk, definite come “quasi Stati”. Poi, rifiutandosi di partecipare al summit economico di San Pietroburgo dietro invito dello stesso presidente russo e, infine, non accettando il conferimento dell’Ordine di Aleksandr Nevskij.

Lontani dalla Russia…

Le tensioni tra Mosca e Nur-Sultan hanno accolto Papa Francesco nel suo viaggio in Kazakistan. Dove, appunto, la guerra in Ucraina non è sentita come troppo distante.

Le peculiarità del Kazakistan, inteso come Paese di frontiera, già parte dell’Unione sovietica e che conserva incancellabili nella sua cifra nazionale i segni di una profonda presenza russa, rendono l’esempio di Kyiv molto ben evidente a Tokaev.  

Per questo, il discorso di Papa Francesco sulla necessità di ritrovare il cammino verso la pace anche in Ucraina acquista maggior significato proprio perché pronunciato da Nur-Sultan. Bergoglio ha ribadito ancora una volta “il grido di tanti che implorano la pace”, che non potrà però avere tra gli uditori il patriarca Kirill: invitato anch’egli al Congresso, il capo della Chiesa ortodossa moscovita ha deciso di non prendervi parte. Forse, anche per evitare un confronto diretto proprio con Francesco, che lo aveva criticato duramente per la sua remissività nei confronti del Cremlino. 

Un altro segnale della distanza che la guerra in Ucraina ha creato non solo tra Kazakistan e Russia, ma anche tra Mosca e Vaticano, oggi più che mai distanti nonostante il rapporto assiduo che, negli anni passati, si era consolidato tra papa Francesco e Putin.

… Ma vicini alla Cina?

Il tentativo di divincolarsi dalla Russia non porterà il Paese direttamente nelle braccia di Pechino. La Cina, in Kazakistan, ha investito e continua a investire risorse importanti, soprattutto nel settore energetico. Del resto, il Paese centroasiatico si trova nel cuore del progetto della Belt and Road Initiative. Come detto, però, in Kazakistan la diffidenza verso l’ingombrante vicino è storica e tenace.

Proprio qui s’inseriscono la narrazione e la missione di Francesco. Il papa, durante il volo verso Nur-Sultan, si è detto pronto a visitare la Cina. E, contestualmente, come in una specie di sliding door, il presidente cinese Xi Jinping sarà proprio in Kazakistan per incontrare Tokaev, dopo aver visto Putin in Uzbekistan per un summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Difficilmente avverrà un incontro tra i due, anche se lo slancio di Bergoglio verso la Cina rimane immutato.

Per Francesco il Kazakistan è autentico ponte verso Pechino, rampa di lancio per la meta ultima ormai conclamata del proprio pontificato. Nel Paese, però, devono essere vinte le resistenze della comunità kazaka e, soprattutto, dei cosiddetti oralmen, i cittadini kazaki che dopo il 1991 hanno fatto ritorno in patria. Tra questi, infatti, molti provengono dallo Xinjiang, regione confinante con il Kazakistan dove il governo cinese, da anni, conduce una campagna repressiva verso gli uiguri, popolazione musulmana e turcica che mantiene stretti legami proprio con i kazaki, altrettanto turcici e, spesso e volentieri, islamici.

Il viaggio in Kazakistan, per questo, assume un significato fondamentale nel cammino di Francesco verso la Cina, nonostante gli enormi ostacoli che si frappongono tra Vaticano e Pechino. Che, a breve, dovranno decidere se riconfermare l’Accordo provvisorio per la nomina dei vescovi, che a quel cammino ha dato inizio.

 

Foto di copertina ANSA/ALESSANDRO DI MEO

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