Un’altra brutta settimana per Donald Trump

Un’altra vittoria per Joe Biden, un’altra sconfitta di Donald Trump: nel ballottaggio per un seggio del Senato in Georgia, il senatore uscente democratico Raphael Warnock, un pastore battista che officia nella chiesa che fu di Martin Luther King, batte lo sfidante repubblicano Herschel Walker, un candidato ‘trumpiano’ un ex campione di football afrodiscendente ai cui comizi non c’erano membri della comunità afroamericana, un anti-abortista che, secondo le accuse delle sue ex, pagava le sue fidanzate perché abortissero.

La vittoria di Walker in Georgia

È la quarta volta in due anni che la Georgia – fino al 2016 fortezza repubblicana – vota democratico: l’elezione di Biden e le due corse per il Senato, nel 2020 e di nuovo nel 2022. In Georgia reggono il colpo solo i repubblicani anti-Trump, come il governatore Brian Kemp. La partecipazione al ballottaggio è stata alta, con oltre 3,5 milioni alle urne, moltissimi hanno scelto l’early voting. Sono stati spesi decine di milioni di dollari nella campagna elettorale, dopo che al primo turno l’8 novembre nessuno dei due candidati aveva raggiunto il 50% dei voti espressi. Tradendo il suo mentore, Walker ha ammesso la sconfitta, invitando i suoi sostenitori a continuare “a credere nell’America”.

L’esito del ballottaggio in Georgia può incoraggiare il presidente Biden a ricandidarsi nel 2024, tanto più dopo che i democratici, la scorsa settimana, su sua proposta, hanno rivisto il calendario delle primarie: non si inizierà più dallo Iowa, i cui caucuses erano da mezzo secolo la prima tappa del processo di selezione dei candidati, ma dalla South Carolina; poi Nevada e New Hampshire e quindi Georgia e Michigan. L’obiettivo è di dare più voce alla diversità – come nel caso degli afrodiscendenti in South Carolina, gli ispanici in Nevada. Nel 2020, Biden partì male tra Iowa e New Hampshire e la South Carolina salvò la sua campagna.

Il nuovo Congresso: i dem respirano

Herschel è così diventato il quarto candidato trumpiano a perdere le elezioni di midterm in una corsa che i repubblicani ritenevano alla loro portata, dopo quelle in Pennsylvania, in Arizona e in Nevada. Il risultato è che l’Amministrazione Biden si ritrova in una situazione più confortevole al Senato, dove prima i senatori erano 50 pari: il voto decisivo spettava alla presidente del Senato, che è la vice-presidente degli Stati Uniti Kamala Harris. Ora, i democratici sono 51 e i repubblicani 49 e le impuntature di qualche senatore democratico refrattario alla spesa pubblica, come il senatore della West Virginia Joe Manchin o quella dell’Arizona Kyrsten Sinema, possono essere meglio gestite.

Alla Camera, dove la maggioranza è 218, si saranno 221 repubblicani e 213 democratici – un seggio del Colorado resta da assegnare. Prima, i democratici erano 220 e i repubblicani 212, con tre seggi vacanti. Erano oltre 50 anni che il partito al potere non registrava un risultato così positivo nel voto di midterm.

Per la CNN, lo spostamento di un seggio al Senato darà ai democratici “significativi vantaggi”: saranno in maggioranza in tutte le commissioni e potranno, quindi, portare avanti più velocemente provvedimenti legislativi per loro prioritari, anche se dovranno sempre negoziarli alla Camera; e potranno approvare senza intoppi nomine loro proposte da Biden, specie per la Corte Suprema, se dovessero crearsi dei vuoti.

Usa 2024: i repubblicani divisi

Invece, la sconfitta di Herschel acuisce le divisioni fra i repubblicani e, soprattutto, le perplessità sulla candidatura di Donald Trump alla nomination 2024, perché è l’ennesima conferma che candidati fortemente ‘trumpiani’ vincono le primarie, ma perdono le elezioni, perché non hanno l’appoggio dei moderati.

Trump, nelle ultime settimane, non si era palesato ai comizi di Herschel, si pensa perché alle prese con le sue grane legali, che stanno venendo al pettine. La sconfitta politica va di pari passo, infatti, con una serie di disfatte giudiziarie, personali e societarie. Martedì 6, nel giorno del ballottaggio, due compagnie della holding di famiglia, la Trump Organization, sono state considerate colpevoli, fra l’altro, di frode fiscale e di falsificazione di documenti contabili. A partire dal 2005 e per circa 15 anni, hanno ingannato a New York le autorità statali e federali e, ora, possono essere condannate a pagare una multa fino a 1,6 milioni di dollari.

L’ex presidente non era personalmente implicato in questa vicenda. Al verdetto, contro cui ci sarà appello, gli inquirenti, che denunciano “una cultura della frode e dell’inganno”, sono giunti grazie alla testimonianza di Allen Weisselberg, direttore finanziario della Trump Organization, che aveva già patteggiato in un procedimento a suo carico.

I guai con la giustizia di Trump

La sentenza di New York non è stata l’unica negativa, in questi giorni, per il magnate ex presidente. Una commissione della Camera è infatti riuscita, dopo un tiramolla di contestazioni giudiziarie protrattosi per anni, a ottenere le dichiarazioni fiscali di Donald Trump. La Corte Suprema non ha fatto opposizione alle decisioni in tal senso di più di una corte federale, secondo cui la Camera aveva l’autorità per richiedere le dichiarazioni, specie quelle relative agli anni della presidenza.

Trump si è sempre opposto alla pubblicazione dei suoi documenti fiscali e aveva già rotto, nel 2016, la tradizione per cui i candidati alla nomination diffondono le dichiarazioni dei redditi. La Camera potrà ora rendere pubblici i contenuti dei documenti di cui dispone, ma non si prevede che lo faccia in tempi brevi.

Inoltre, una corte d’appello federale ha annullato la decisione di una giudice di nomina trumpiana di affidare a uno special master la revisione dei documenti sequestrati al magnate ex presidente nella sua tenuta di Mar-a-Lago in Florida: documenti in parte classificati e che dovevano essere affidati all’Archivio nazionale, ma che Trump aveva portato via dalla Casa Bianca e tenuto con sé.

La sentenza rimuove un ostacolo importante all’indagine condotta dal Dipartimento della Giustizia sulla cattiva gestione dei documenti riservati durante l’Amministrazione Trump.

Resta, infine, l’inchiesta in corso alla Camera sull’insurrezione del 6 gennaio 2021, quando facinorosi istigati dall’allora presidente presero d’assalto il Campidoglio per indurre senatori e deputati a rovesciare l’esito del voto presidenziale. Funzionati elettorali di Arizona, Michigan e Wisconsin sono attesi a testimoniare.

Foto di copertina EPA/JIM LO SCALZO

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