Macron alla ricerca della ‘via francese’ in politica estera

“Questa elezione è anche un referendum sull’Europa”, aveva detto Emmanuel Macron a Strasburgo, all’indomani del primo turno delle presidenziali francesi, e non c’è dubbio che la sua vittoria sia anche una vittoria del progetto europeo, di cui la Francia è stata da sempre una delle grandi protagoniste.

Una vittoria dell’Europa dell’integrazione sovranazionale, che si è faticosamente, ma con successo, costruita negli ultimi settant’anni, e di cui l’ “Europa delle patrie“, della “preferenza nazionale” e della chiusura xenofoba propugnata da Marine Le Pen è il diretto rovesciamento e negazione.

Una scelta di campo

Si è molto discusso di temi sociali e del potere d’acquisto durante la campagna presidenziale, ma in ballo c’erano anche fondamentali scelte di politica estera e, in ultima analisi, la collocazione internazionale della Francia.

Paladino della “sovranità europea” e dell’ ”autonomia strategica” dell’Ue, Macron è riuscito, nell’ultima fase della campagna, a riproporre con efficacia il suo credo europeo, fondato sulla convinzione che molti dei problemi che più assillano i cittadini francesi – dall’immigrazione al costo dell’energia, dal cambiamento climatico alla competizione commerciale – possono trovare una risposta adeguata solo in un’azione collettiva dei paesi Ue.

Ora però, dopo questa vittoria netta, ma meno ampia di cinque anni fa – 58,5% dei voti contro il 41,5% di Le Pen – Macron dovrà misurarsi, in politica estera, con una serie di sfide che ne metteranno alla prova, nuovamente, l’effettiva capacità di leadership sulla scena internazionale.

La sfida dell’Ucraina

Innanzitutto, la guerra in Ucraina. I ripetuti tentativi di mediazione esperiti da Macron prima della guerra e nei primi giorni del conflitto ne hanno sicuramente rafforzato, agli occhi dei concittadini, la statura presidenziale, l’immagine di leader “in grado di parlare con Putin”. La stragrande maggioranza dei francesi, ben più ampia di quella ottenuta da Macron al secondo turno, non volevano, secondo i sondaggi, affidare la diplomazia e l’esercito a una candidata anti-UE, nonché fan dichiarata di Putin.

Il negoziato sul futuro dell’Ucraina è però finito in un binario morto e, dopo la scoperta delle atrocità commesse nella regione di Kyiv dalle truppe russe in ritirata, anche Macron, che pure non aveva mancato di prendere le distanze dall’accusa di “genocidio” rivolta a Putin dal presidente americano Joe Biden, ha interrotto i contatti con il capo del Cremlino.

Il presidente francese aspira a mantenere un ruolo di punta nell’azione diplomatica, ma non gli sarà facile. In questa fase, i paesi occidentali stanno concentrando gli sforzi nel sostegno militare all’Ucraina, e l’Eliseo cercherà di attenersi, in materia, a una linea intermedia tra Washington e Berlino.

La Francia fornirà a Kyiv aiuti militari – dai missili anticarro Milan ai cannoni Caesar – ma senza superare quella che considera “la linea rossa della cobelligeranza”, l’invio di aerei da combattimento e di carri armati. Una linea rossa sempre più sottile – considerato che l’Occidente sta comunque inviando quelle armi tramite i paesi dell’Europa centrorientale – ma che Parigi continua evidentemente a ritenere utile per preservare uno spazio di manovra diplomatica.

Il nodo dei rapporti con la Russia

La Francia è dichiaratamente a favore di un inasprimento delle sanzioni contro Mosca, in particolare all’embargo sul petrolio russo per fermare il flusso di valuta estera con cui il Cremlino finanzia la guerra. Di recente il ministro dell’Economia Bruno Le Maire si è detto anzi convinto che l’Ue adotterà questa misura “entro poche settimane”. Parigi ha però evitato, finora, di fare pressioni su Berlino, mostrando comprensione per le difficoltà tedesche ad aderire ad un blocco delle importazioni energetiche.

Va ricordato che nell’agosto 2019 Macron aveva provato a rilanciare il dialogo con la Russia sulla sicurezza europea, anche tramite incontri bilaterali periodici tra i ministri degli esteri e della difesa dei due paesi.

Una linea d’azione che si sarebbe rivelata, ben presto, impraticabile, ma che il presidente francese aveva immaginato potesse aiutare l’Europa a sviluppare le relazioni con Mosca in maggiore autonomia da Washington e persino ad aprire un cuneo nella partnership, sempre più stretta, tra Cina e Russia.

Va da sé che il conflitto in Ucraina non impone a Macron soltanto l’assunzione di precise responsabilità, come sta facendo, ma anche un ripensamento di alcune sue vedute geopolitiche che si sono dimostrate, alla prova dei fatti, illusorie.

Un nuovo rapporto con Washington?

Certo, quell’apertura alla Russia era stata fatta, in una fase in cui, con Trump alla Casa Bianca, Parigi mostrava di dare per scontato che gli Usa si sarebbero ritirati dall’Europa. Fu allora che Macron parlò della Nato “cerebralmente morta”. Da allora molte cose sono cambiate.

Con la presidenza Biden si sono subito schiuse prospettive nuove di cooperazione con Washington e anche Parigi ne ha dovuto prendere atto. Anche la crisi che aveva portato, nel settembre dello scorso anno, al ritiro dell’ambasciatore francese a Washington, in risposta alla decisione americana e britannica di vendere sottomarini nucleari all’Australia al posto di quelli francesi, è stata rapidamente superata.

La guerra in Ucraina ha fatto perdere decisamente vigore alla tesi dell’obsolescenza, o irrilevanza, della Nato, e tacitato il timore di un disimpegno americano dal continente europeo. Ora Macron è chiamato, come e più di altri leader europei, a ripensare al nesso funzionale tra il ruolo dell’alleanza atlantica e quello della difesa europea.

Intanto, Washington non può che prendere atto con soddisfazione che, con la sconfitta di Le Pen, si è evitato il rischio di una frattura insanabile in seno alla Nato. La leader del Rassemblement National non aveva solo prospettato un “riavvicinamento strategico” con la Russia dopo la guerra, ma anche il ritiro dalla struttura militare integrata dell’alleanza: a febbraio si era spinta anche a rimettere in discussione l’assistenza reciproca prevista dall’articolo 5 del trattato Nato.

La coppia franco-tedesca alla prova

Le Pen aveva anche promesso la sospensione di tutte le nuove cooperazioni con la Germania avviate da Macron durante la sua presidenza, in particolare quelle relative alla difesa, dichiarando incompatibile l’ “identità strategica francese” con quella tedesca.

Macron non è invece arretrato di un passo nella difesa dell’asse franco-tedesco, mostrando di considerarlo intangibile. Ha rivendicato i risultati ottenuti grazie all’accordo con la Germania: cooperazione antipandemia con una linea comune europea sulla campagna vaccinale, solidarietà finanziaria e mutualizzazione del debito futuro grazie al Next Generation EU, costruzione delle fondamenta di un’Europa della difesa. Si sa già che, rispettando la tradizione dei presidenti eletti, Macron si recherà per prima cosa a Berlino per incontrare il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Le divergenze tra Parigi e Berlino

È innegabile, tuttavia, che Parigi e Berlino abbiano avuto, nel quinquennio trascorso, non poca difficolta a intendersi e a trovare le necessarie convergenze. Molti nodi, da cui dipende il futuro dell’Ue, rimangono ancora da sciogliere. Si è parzialmente stemperata, ma non è venuta meno, la disputa tra i due paesi su quale modello sia più efficace per la politica di difesa europea. Disputa che è legata, al di là delle schermaglie su come far avanzare la “cooperazione strutturata permanente” dell’Ue, anche al diverso approccio al ruolo della Nato e alla diversa disponibilità a prendere in considerazione le preoccupazioni di sicurezza dei paesi dell’Europa centro-orientale. Resta da vedere se e in che misura la guerra in Ucraina contribuirà ad appianare queste divergenze.

Con il trattato di Aquisgrana del 2019 Francia e Germania si erano impegnate, fra l’altro, a rafforzare la cooperazione in materia di politica estera, ma su varie questioni di cruciale importanza per la sicurezza europea – dalla Libia ai rapporti con la Turchia – hanno continuato a manifestarsi forti contrasti, e le iniziative unilaterali assunte da Macron senza consultare i partner europei, alcune delle quali hanno favorito le strategie di Putin, non sono piaciute a Berlino, come ad altri paesi, Italia compresa.

Rimangono inoltre fondamentali divergenze sul futuro dell’eurozona. Macron ritiene “insostenibili” le regole fiscali del Patto di Stabilità e Crescita. Ora se ne dà per scontata la sospensione per tutto il 2023, ma rimane il fatto che Berlino e Parigi mirano a livelli diversi di integrazione fiscale in seno all’eurozona e hanno idee diverse sul ruolo della Banca centrale europea e della politica monetaria. Macron vuole una condivisione dei rischi finanziari assai maggiore di quanto la Germania sia disposta a concedere.

Con la conferma di Macron all’Eliseo, i paesi partner sanno di poter contare su un leader dalle solide e comprovate credenziali europeiste, che in più occasioni ha svolto un ruolo propulsivo in seno all’Ue. I radicali mutamenti del contesto internazionale e le nuove sfide da affrontare in ambito europeo e transatlantico richiederanno però al presidente francese un attento ripensamento, e in qualche caso una revisione, di alcune sue politiche. Un compito a cui non potrà sottrarsi se vorrà garantire alla Francia un ruolo di spicco sulla scena europea ed internazionale.

Foto di copertina EPA/OLIVIER HOSLET

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