Macron e il 14 luglio per riunire la Francia

Comincia la settimana della festa nazionale francese e il presidente Emmanuel Macron ha una Bastiglia da prendere, se vuol rilanciare il suo secondo mandato all’Eliseo. Parlerà in occasione del 14 luglio, cercando di voltar pagina dopo la lunga crisi della riforma pensionistica e la violentissima fiammata di protesta, che ha sconvolto le aree urbane a partire dal 27 giugno. Deve convincere i connazionali che la “République” rispetta e protegge tutti i suoi figli: da chi protesta perché si considera abbandonato dalle istituzioni a chi impreca perché pensa di vivere nell’insicurezza; da chi inveisce contro la polizia a chi chiede più polizia. Dopo anni di gilets gialli, di Covid, di inflazione, di manifestazioni anti-riforma delle pensioni, di violenze e di polemiche, il presidente non può che concepire questo 14 luglio come vera opportunità per rilanciare la coesione nazionale. La sua Bastiglia 2023 si riassume in due parole: unire e rassicurare.

La violenza viene da lontano

Il bilancio di violenze dei giorni a cavallo tra giugno e luglio, dopo la morte del diciassettenne Nahel a Nanterre, è impressionante. I fermati sono stati 3.693 e 1.122 di loro sono stati deferiti all’autorità giudiziaria. Si tratta soprattutto di giovanissimi, provenienti da quelle stesse “banlieues” in cui era esplosa la rivolta (tre settimane) del dicembre 1995 dopo la morte di due giovani intenti a sfuggire alla polizia. Fin dagli anni Novanta, gli investimenti pubblici nelle “banlieues” sono aumentati in modo rilevante. Eppure una parte delle devastazioni dei giorni scorsi ha riguardato proprio quegli edifici (biblioteche, scuole e centri ricreativi) che mostravano la presenza dello Stato nelle periferie urbane. Lo stesso si può dire degli attacchi ai municipi e ai sindaci, talvolta aggrediti con particolare violenza. 

Se la scintilla della rivolta è chiara (la morte di Nahel a seguito del colpo sparato da un agente di polizia), il cocktail esplosivo che l’ha resa tanto devastante è complesso e rifugge le spiegazioni semplicistiche. La ricerca delle “identità” e delle origini, praticata da famiglie che potrebbero sentirsi unite dalla comune nazionalità francese, anima le polemiche e talvolta le violenze. Una generazione di giovanissimi sbandiera i discorsi “identitari” contrapponendosi ad altri discorsi identitari, fatti in primo luogo dall’estrema destra di Zemmour. Ci sono poi le ragioni economiche della protesta. Lo sviluppo non è lo stesso in ogni regione e all’interno di ogni area urbana. La rivolta dei gilets gialli prima e quelle delle “banlieues” adesso sono anche un rivelatore dei problemi di chi vive in zone oggettivamente disagiate. Il malcontento cerca bandiere e ne trova d’ogni colore. La rivolta dei gilets gialli ha favorito elettoralmente Marine Le Pen. A sua volta, Jean-Luc Mélenchon sta cercando di cavalcare la tigre delle “banlieues”, ma la reazione dell’opinione pubblica alle violenze potrebbe portare (una volta di più) acqua al mulino lepenista.

La via (difficile) del cambiamento

Resta il fatto che l’estrema violenza dell’ultima rivolta può difficilmente spiegarsi solo con elementi identitari, economici e sociali. Ha probabilmente pesato anche l’atmosfera di malcontento e di frustrazione dell’opinione pubblica per il modo in cui il presidente Macron ha fatto passare una riforma importante come quella delle pensioni, il cui testo non è mai stato votato dall’Assemblea nazionale.

Macron e il governo della prima ministra Elisabeth Borne hanno ottenuto risultati di rilievo in campo economico. Ma nell’opinione pubblica è il senso di preoccupazione a prevalere, col risultato che il paese sembra prigioniero di un paradosso: da un lato tutti sembrano aver voglia di “cambiamento” e dall’altro tutti sembrano diffidare delle riforme.

In questo contesto si inseriscono le difficoltà oggettive del presidente Macron, che nel suo primo mandato (2017-2022) poteva contare sulla maggioranza assoluta dei deputati, mentre adesso ha solo la maggioranza relativa. In un altro Paese i partiti a lui fedeli avrebbero negoziato un accordo di governo con un’altra formazione politica (in questo caso il centrodestra neogollista dei Républicains). L’Eliseo ha invece scommesso sulle prerogative derivanti dalla Costituzione “presidenzialista alla francese”. Ma questo non basta, se alla fine la società si sente disorientata dai suoi stessi rappresentanti. La rendita di posizione dell’Eliseo sta nel fatto che (a destra come a sinistra) le opposizioni più forti sono oggi le più estreme, per cui difficilmente potranno accedere al potere. È vero, ma non è rassicurante.

Foto di copertina EPA/GUILLAUME HORCAJUELO / POOL MAXPP OUT

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