L’urlo di Patrick Zaki

“Aiutatemi” è stato l’urlo lanciato da Patrick Zaki mentre veniva portato via dal tribunale di Mansoura subito dopo il verdetto. Tre anni di carcere per aver scritto un articolo sulla discriminazione della minoranza copta o, per essere più precisi, per “diffusione di notizie false”. Lo stillicidio di questi lunghi mesi in attesa di una sentenza si è concluso nel peggiore dei modi. Una sentenza assurda, senza alcun fondamento giuridico. Ricordiamolo! Ma cosa possiamo aspettarci da un paese, l’Egitto, che tiene rinchiusi in carcere 60 mila prigionieri politici, persone detenute per aver espresso un’opinione, per aver pubblicato un video, per aver osato criticare il presidente Al-Sisi o aver partecipato ad una manifestazione? L’Egitto è un paese in cui i giornalisti e le giornaliste vengono arrestati arbitrariamente a causa del loro lavoro o delle loro opinioni critiche. A fine 2022 abbiamo contato in carcere almeno 25 giornalisti, in seguito a un verdetto di colpevolezza o in attesa d’indagini per accuse come “uso improprio dei social network”, “diffusione di notizie false” e “terrorismo”.

La notizia della condanna ha sconvolto tutti, Patrick per primo. Nell’aria c’era tensione già dal giorno prima dell’udienza, qualcosa diceva che questa seduta sarebbe stata diversa, che qualcosa sarebbe successo. E quell’urlo, “Aiutatemi”, ne è la conferma.

Siamo ancora qui a contare i messaggi di solidarietà che Amnesty International ha raccolto per festeggiare la laurea di Patrick, oltre 8 mila messaggi di persone da nord a sud d’Italia che ancora una volta hanno voluto mostrargli vicinanza, solidarietà. Tutti abbiamo sperato fino all’ultimo in un atto di clemenza del governo egiziano, del presidente Al-Sisi. Abbiamo chiesto che potesse discutere la tesi del suo master dal vivo nella sua amata Bologna, ma ancora una volta le pressioni non hanno avuto effetto. Il 5 luglio Patrick ha discusso la sua tesi online, si è laureato con lode e ha potuto festeggiare con i suoi cari. Per un giorno, non è stato il detenuto a cielo aperto del suo paese.

Patrick ha trascorso in carcere già 22 mesi di detenzione preventiva, mesi lunghissimi e insostenibili. Lì ha incontrato altri attivisti e ha condiviso gli spazi con chi ha guidato le manifestazioni di Piazza Taharir al Cairo nel 2011. Subito dopo il suo rilascio ha usato la sua visibilità per ricordare i suoi compagni di cella e non ha perso neanche un minuto di tempo per chiedere il rilascio immediato di Alaa Abd el-fattah, leader delle rivolte egiziane. Ora rischia di tornare tra loro per altri 14 mesi. Sebbene sia stato rilasciato su cauzione, Patrick non è mai stato libero di lasciare il suo paese. Non è mai riuscito a tornare ai suoi studi di genere all’università di Bologna. Ha vissuto in un limbo tra l’ansia di ciò che sarebbe potuto succedere e i sogni di un futuro “normale”. E in qualche modo, ci ha provato. A settembre avrebbe dovuto sposarsi, le promesse di matrimonio sono state già depositate e i preparativi sono stati avviati. Ma tutto questo si è infranto in pochi minuti. Una condanna a 3 anni; 14 mesi di detenzione da scontare.

Hoda Nasrallah, la legale di Patrick Zaki, ha annunciato un ricorso al governatore militare per annullare la sentenza o far rifare il processo, come è avvenuto nel caso di Ahmed Samir Santawy, altro prigioniero di coscienza che vive lo stesso incubo di Patrick e ha un legame con l’università di Vienna. Un verdetto emesso da una corte dello stato di emergenza non può essere soggetto ad appello, ma solo alla ratifica del Presidente che ha l’autorità di commutare la sentenza o annullare il verdetto. Inoltre, c’è una decisione del procuratore generale emessa nel 2017 che dice che “Se l’imputato viene processato in libertà condizionale e condannato ad una pena restrittiva della libertà, deve essere rilasciato immediatamente senza eseguire la pena, in attesa di quanto decida l’autorità di certificazione in merito alla sentenza emessa nei suoi confronti”.

Si tratta della circolare n. 10 del 2017 relativa alla legge di emergenza e all’esecuzione delle sentenze emesse dai tribunali di emergenza per la sicurezza dello Stato. Gli avvocati di Patrick Zaki stanno cercando di far applicare questa circolare. Attivisti, politici e organizzazioni dei diritti umani hanno appena comunicato la loro uscita dal gruppo intergovernativo di discussione dei diritti umani organizzato dal governo egiziano. Un segnale forte e chiaro: nessuno lascerà da solo Patrick Zaki né in Italia né in Egitto.

Intanto, in Italia fioccano le promesse, si susseguono le dichiarazioni di sdegno e di condanna. Eppure, in questi anni in cui Amnesty International ha riempito le piazze di tutta Italia con lo striscione “Free Patrick Zaki“, ha portato le sagome di Patrick Zaki nelle scuole, nelle università e nelle biblioteche di tutta la nazione, dov’erano i nostri politici? Abbiamo solo visto fiumi di armamenti continuare a essere venduti al paese che ancora oggi non ha consegnato gli indirizzi dei presunti colpevoli dell’omicidio di Giulio Regeni.

Noi continueremo ad essere al fianco di Patrick Zaki e a chiederne il suo rilascio. Lo aspettiamo a Bologna per festeggiare la sua laurea!

ANSA/ CALO’

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