Le manovre della Cina in vista delle elezioni a Taiwan

È il 2 gennaio 2019. Xi Jinping prende la parola per un messaggio di inizio anno rivolto ai “compatrioti” di Taiwan, in occasione del 40esimo anniversario del primo messaggio del 1979. Sotto la guida di Deng Xiaoping, allora si era passati dall’utilizzare il termine “liberazione” a quello “riunificazione”.

I rapporti Taipei-Pechino oggi

Quattro decadi dopo, è però cambiato tanto. La Repubblica di Cina non è più un regime a partito unico sotto legge marziale, ma una democrazia. Al potere non c’è più il Kuomintang (Kmt) di Chiang Ching-kuo, figlio di Chiang Kai-shek, ma il Partito progressista democratico (Dpp) di Tsai Ing-wen. La Repubblica Popolare Cinese è invece una potenza economica, diplomatica e militare, protagonista di una colossale crescita spinta da riforme economiche alle quali non si sono accompagnate quelle politiche.

L’omologazione che in tanti si aspettavano alla “fine della storia” non è avvenuta e Pechino propone con sempre maggiore convinzione e assertività il suo modello di sviluppo “con caratteristiche cinesi”. Ancora, Stati Uniti e Repubblica Popolare sono già invischiati in una contesa che dal piano commerciale ha già sforato su quello tecnologico e strategico. Dall’avvento di Donald Trump e dalla sua irrituale telefonata con la presidente Tsai, il Partito comunista osserva con preoccupazione quella che teme possa diventare una “escalation diplomatica” che scalfisca il tradizionale ruolo da “arbitro” degli Usa, che dal 1979 sono garanti dello status quo sullo Stretto impedendo azioni unilaterali delle due sponde. Nello specifico, Washington scoraggia un attacco militare di Pechino fornendo assistenza militare a Taipei. Dall’altra, scoraggia una dichiarazione di indipendenza formale di Taipei rispettando il principio della “unica Cina”. Ora invece Taiwan è finita in mezzo alla contesa tra le due potenze, con una Pechino militarmente ben più preparata e sulla via del perseguimento della “prontezza a combattere“.

Quel discorso del 2 gennaio 2019 doveva essere un segnale di forza e fiducia. Insieme a quanto accadrà di lì a pochi mesi a Hong Kong, con il parziale naufragio del modello “un paese, due sistemi”, diventerà invece un boomerang che favorisce il ricompattamento prima e la vittoria poi del Dpp al voto del gennaio 2020, con la conferma di Tsai e l’approdo dell’ex rivale interno Lai alla vicepresidenza. Come dimostrano diversi sondaggi, compressi quelli su identità e relazioni intrastretto, solitamente più Pechino mostra i muscoli e più i taiwanesi se ne allontanano. È proprio dal 2019, tra l’altro, che hanno cominciato a intensificarsi le manovre di jet e navi da guerra dell’Esercito popolare di liberazione sullo Stretto e all’interno dello spazio di identificazione di difesa aerea (Adiz) di Taiwan.

Le manovre militari e strategiche di Pechino

Bisogna partire da tutto questo per capire gli avvenimenti degli ultimi mesi e settimane intorno a Taiwan, provando a interpretare i prossimi. Come quattro anni fa, il Kmt ha da poco stravinto le elezioni locali ed è iniziato un lungo anno di campagna che sfocerà nelle presidenziali del gennaio 2024. Il Pcc vuole evitare di ripetere l’errore del 2019, quando alzando la pressione favorì di fatto la rimonta del Dpp in vista delle elezioni, complice anche un candidato del Kmt considerato poco affidabile dall’elettorato. È uno dei motivi per cui in questo 2023, Xi vorrebbe evitare di usare troppo bastone prima del voto.

La reazione all’incontro fra Tsai e lo speaker del Congresso statunitense Kevin McCarthy, avvenuto qualche settimana fa, è stata dura ma non tanto aggressiva quanto quella dopo la visita a Taipei di Nancy Pelosi dello scorso agosto. Le esercitazioni militari delle ultime settimane hanno avuto una durata di 3 giorni contro il 7 di agosto. Non è stata rilasciata alcuna mappa precisa delle zone interessate dalle manovre, anche se si sa che si sono svolte a nord, est e sud-est dell’isola principale di Taiwan. Ad agosto le zone annunciate erano state sei, poi diventate sette, e circondavano Taiwan da tutti i lati. Talvolta, almeno sulla carta, sembravano persino sovrapporsi alle 12 miglia nautiche dalle coste che segnano l’ingresso nelle acque territoriali per il diritto internazionale.

Anche se nella realtà i mezzi di Pechino sono arrivati, sia allora che stavolta, “solo” alla soglia delle 24 miglia nautiche che segnano l’ingresso nelle acque contigue. Rispetto ad agosto, nessun impatto sulla navigazione commerciale, né sui voli di linea. E soprattutto niente lancio di missili, un fattore che spiega in parte l’assenza di qualsiasi forma di panico o preoccupazione per un conflitto nell’immediata presso l’opinione pubblica taiwanese, che ad agosto 2022 aveva invece discusso a lungo dei razzi di Pechino. Soprattutto per l’assenza di allarme del governo taiwanese, con la notizia del sorvolo arrivata invece dalle autorità giapponesi.

Pechino sembra aver voluto dosare il grado di muscolarità della reazione (nella sua prospettiva obbligata) all’incontro Tsai-McCarthy. Oltre al precedente del 2019, incidono altri tre fattori. Il primo: l’incontro alla Simi Library è frutto di un parziale compromesso, visto che inizialmente McCarthy avrebbe dovuto recarsi a Taipei. La visita appare solo rimandata, ma reagire nella stessa maniera del post Pelosi avrebbe di fatto comunicato al Dpp che è inutile cercare compromessi, rischiando dunque di “giustificare” azioni anche più audaci nel prossimo futuro.

Il secondo: durante lo scalo in California di Tsai, l’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou si trovava in Cina continentale nel primo storico viaggio di un leader o ex leader di Taipei sull’altra sponda dello Stretto dalla fine della guerra civile. Ma è considerato ancora molto influente all’interno del Kmt. Una reazione troppo aggressiva avrebbe di fatto cancellato qualsiasi possibile utilità della sua visita, col Kmt che può rivendicare (pur tra ampio scetticismo) che proprio grazie alla sua iniziativa si siano ridotti i rischi. D’altronde, lo stesso Ma ha dipinto il voto del 2024 come una scelta tra “guerra e pace”, dove si suggerisce che una vittoria del Dpp porterebbe a un conflitto a causa di una politica troppo sbilanciata a favore di Washington e chiusa al dialogo con Pechino.

Il terzo: l’eventuale lancio di missili mal si sarebbe conciliato con l’immagine che Xi sta provando attualmente a proiettare sulla scena globale. Vale a dire quella di leader responsabile e di “grande stabilizzatore”, dal Medio Oriente con il ruolo sull’accordo tra Arabia Saudita e Iran all’Europa con la proposta di “facilitazione” di una “soluzione politica” sulla guerra in Ucraina.

Ribadire l’impegno

Allo stesso tempo, però, sul piano regionale Xi ha bisogno di mostrare che non arretra e anzi rilancia. A partire da Taiwan, dove immaginare compromessi è “un pio desiderio“, come da lui stesso spiegato a Ursula von der Leyen durante la visita a Pechino della presidente della Commissione Europea insieme al presidente francese Emmanuel Macron. Ecco perché, anche nelle ultime settimane, la pretesa di sovranità su Taiwan viene reiterata in maniera persino più sofisticata. Nel tentativo di “regionalizzare” la questione e trasformare così lo Stretto in un canale marittimo “interno”. In tal senso va letto l’impiego nelle esercitazioni della portaerei Shandong, che si è piazzata per la prima volta al largo della costa orientale di Taiwan. Un presidio ritenuto strategico anche a livello simbolico, visto che solo da lì potrebbero arrivare eventuali aiuti esterni a Taipei. Un ipotetico futuro blocco navale dovrebbe porre le sue basi proprio sulla costa orientale e Pechino ha fatto capire di essere intenzionata a sviluppare mezzi e capacità necessari a sostenerlo, qualora fosse necessario.

Il 28 aprile è invece apparso per la prima volta intorno a Taiwan un TB-001, un nuovo drone da combattimento cinese soprannominato “scorpione a due code”. Il drone è in grado di trasportare missili sotto le ali e di effettuare missioni ad alta quota e a lungo raggio, fino a 6 mila chilometri. L’impiego di droni è una componente chiave di un’ipotetica azione militare su Taiwan. Con l’inedito impiego del TB-001, e la sua rotta ben più prolungata delle consuete manovre oltre la linea mediana, Pechino ha mandato un ulteriore messaggio di sovranità.

Foto di copertina EPA/RITCHIE B. TONGO

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