L’arma nucleare in Medio Oriente: un pericolo possibile

Se si parla di dotazioni nucleari con riferimento all’area mediorientale viene subito in mente la diatriba dell’accordo sul nucleare iraniano e il singolare caso israeliano, che a fronte di una ufficiale “ambiguità”, lascia intendere di possedere un arsenale nucleare decisamente moderno.

Tuttavia, la corsa al nucleare, seppure sotto traccia, ha visto nell’epoca contemporanea protagonisti altri Paesi della regione. I casi più eclatanti sono quelli dell’Egitto, del regno saudita e della Turchia (che aveva già mostrato interesse per l’arma nucleare già negli anni Ottanta). Il vacillare degli accordi con l’Iran, insieme alla contingenza attuale (minaccia nucleare russa) potrebbe far crescere, nei singoli paesi, i fautori della necessità di dotarsi dell’arma atomica.

I passi in punta di piedi dell’Egitto

In Egitto, l’ultimo progetto per la dotazione di energia nucleare è stato lanciato nel 2018, grazie alla collaborazione con la Russia, e nel 2022 si è concretizzato con l’inizio della costruzione della centrale di El Dabaa, che si trova a poco più di 300 chilometri dalla capitale. Anche se la potenziale dotazione di armamento nucleare non è un traguardo in alcun modo vicino per il governo egiziano, la finalizzazione di una infrastruttura nucleare sul territorio può comunque rappresentare un piccolo passo in quella direzione. 

Nel 1992, d’altronde, l’Egitto aveva manifestato un certo interesse nella ricerca dell’arma nucleare acquistando strumenti per la ricerca nucleare (sulla scia di un programma lanciato negli anni Sessanta). L’Egitto è formalmente contrario alla proliferazione degli armamenti nucleari (come dimostrato anche dalle parole del proprio rappresentante alle Nazioni unite) ma la firma del trattato a lungo termine con la Russia fa pensare, secondo molti analisti, al fatto che Il Cairo voglia tenere aperta la porta a questa seconda possibilità. 

Lo studioso Bernard Brodie, nel suo articolo del lontano 1959 The anatomy of Deterrence“, già poneva chiaramente i termini della questione, che erano tutt’altro che rassicuranti. Secondo Brodie un disarmo nucleare completo era ed è impossibile, e sarebbe stato teoricamente improponibile far recedere qualsiasi paese già dotato di arma nucleare dal proprio progetto nucleare.

Allo stato attuale dei fatti, la teoria di Brodie si è dimostrata quasi del tutto aderente alla realtà: solamente il Sud Africa, in passato, ha abbandonato un programma di costruzione dell’arma nucleare una volta ottenuto il passo base del primo test eseguito con successo. Allo stesso modo, è impossibile scongiurare completamente la proliferazione nucleare partendo da un utilizzo dell’energia atomica già raggiunto dal paese che si prende in considerazione.

Il programma turco

Il governo dell’AKP in Turchia ha scelto anch’esso la cooperazione con la Russia per il proprio programma nucleare e per la costruzione, a partire dal 2018, di una centrale nucleare. Ali Hamad, ricercatore dell’Università di Harvard ed esperto dell’argomento nucleare spiega la convenienza della russa Rosatom nel cedere la propria tecnologia e godere dei proventi della vendita dell’energia.

Il governo di Erdogan ha sempre negato ogni interesse in una eventuale ricerca per la produzione dell’armamento nucleare, ma allo stesso tempo, nella sua retorica di potenza, si è reso protagonista di dichiarazioni destabilizzanti sull’argomento. Come nel 2019, quando ha affermato che, pur non dicendo di essere favorevole all’arma atomica, fosse semplicemente assurdo che la Turchia non se ne potesse dotare. L’atteggiamento di Erdogan, tenuto conto della propria posizione nell’Alleanza atlantica, sembra possa inquadrarsi più in una retorica di potenza, ben nota come comportamento da parte della Turchia che come una reale intenzione. Tuttavia la situazione del conflitto in Ucraina potrebbe portare Ankara a passi imprevisti e improvvidi.

L’Arabia saudita

Il regno saudita è, fra i non possessori, forse il più interessato nell’immediato a muoversi verso lo studio e la ricerca del nucleare per fini bellici (in virtù dei tentennamenti per la trattativa sul nucleare iraniano, segnati dal ritiro degli Stati Uniti). Riad ha iniziato nel 2018, dopo aver inaugurato un progetto per la produzione di energia nucleare nel 2017, un altro progetto che ha portato alla costruzione di un reattore di piccola portata per la ricerca. Quest’ultimo tipo di meccanismo è solitamente utilizzato per l’arricchimento delle materie prime al fine di produrre ordigni nucleari.

Le dichiarazioni del governo dell’Arabia nel 2018, ovvero che si sarebbe proceduto alla creazione di un arsenale nucleare saudita se l’intenzione iraniana fosse stata chiaramente quella di dotarsi dell’arma nucleare, avevano aumentato la tensione, ma soprattutto era stato particolarmente scottante un rapporto della Camera statunitense. Nel secondo documento, attraverso fonti non ufficiali, veniva delineato il coinvolgimento di Washington (in particolare del governo Trump) nel fornire tecnologie legate all’arricchimento di materiali necessari ai progetti nucleari dell’Arabia saudita. La posizione dell’Arabia è quindi destinata poi ad essere un pivot della questione nucleare nel Medioriente per la propria alleanza con gli Stati uniti, la propria rivalità con l’Iran e la competenza raggiunta nella materia.

Più diplomazia per ridurre il rischio 

In conclusione, in Medioriente dal punto di vista della programmazione e produzione nucleare si muovono altri importanti attori geopolitici. 

Al di là della necessità della ripresa delle trattative sul nucleare con l’Iran e un ritorno formale degli accordi per ottenere un palcoscenico meno pericoloso e più inclusivo, si deve certo tenere presente che l’instabilità attuale in relazione all’argomento è molto accentuata e potrebbe portare ad accelerazioni dei programmi di uno dei tre paesi analizzati. Proprio per quanto affermato nella teoria di Brodie, il maggiore interessamento anche di uno solo degli attori comporterebbe l’aumento contemporaneo di quello degli altri, per un effetto domino di escalation. L’osservazione e la fattiva diplomazia sul nucleare rimangono quindi essenziali strumenti da esercitare nella regione mediorientale.

Foto di copertina EPA/PRESIDENT OFFICE

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