La guerra civile in Myanmar è destinata a durare

A due anni dal colpo di stato dell’esercito,  il governo in esilio del Myanmar ha raggiunto una stabilità decisiva, associando alla struttura politica la consistenza di un’occupazione territoriale. Il governo di Unità Nazionale (GUN) – nato nell’aprile 2021 per opporsi alla dittatura della giunta – ha ottenuto il controllo su diverse porzioni di territorio con un’iniziativa militare che ha visto la creazione di una forza armata vera e propria e una “guerra difensiva” (così definita dal GUN e dalla Lega Nazionale per la Democrazia, LND) o, come la definisce il governo militare del Tatmadaw, “guerra terroristica”. Tuttavia una soluzione della crisi è certo lontana dal potersi intravedere.

La repressione del regime ha provocato la morte di almeno 3500 persone sospettate di avere legami con il GUN o i movimenti pro-democrazia (come riportato sul sito della ONG Assistence Association for Political Prisoners). Negli scontri fra forze ribelli e forze governative e fra fazioni etniche e forze governative il numero dei caduti dovrebbe aggirarsi intorno ai 33000, sebbene molto difficile da stimare. In questo quadro, il governo ha dato chiara testimonianza di fare largo uso di esecuzioni extra-giudiziali: si tratta di una guerra civile fra le più violente attualmente in corso e almeno dalla seconda metà del 2022 il governo ha condotto bombardamenti indiscriminati per colpire i territori controllati dal GUN e dalle milizie etniche di nuovo impiegati nelle ultime settimane, come quelli nella regione del Sagaing.

La sangha e la guerra civile

La comunità dei credenti buddhisti e la sangha vera e propria (monaci e monache di vari ordini) ha storicamente giocato un ruolo molto importante nel sistema socio-economico e socio-politico di Myanmar. Le organizzazioni sono passate dal costituire l’asse portante del commercio nel momento dell’indipendenza all’essere un elemento centrale per il mercato del lavoro, con un peso nell’evoluzione politica del paese.

Nel 1948 le organizzazioni buddhiste e la sangha appoggiarono i movimenti per l’indipendenza, così come furono essenziali nella “Rivoluzione zafferano” del 2007-2008 che portò al lento processo di democratizzazione culminato con le elezioni del 2015 e terminato tragicamente con il colpo di stato.

Le porzioni più estremiste della comunità, rappresentate anche da organizzazioni ultraconservatrici come Ma Ba Tha (abbreviazione pe Associazione Patriottica del Myanmar) e il Movimento 969 hanno poi partecipato alle violenze contro la comunità musulmana del Rakhine (e di altri stati) e al conseguente genocidio. Gli incresciosi episodi del Rakhine e delle violenze contro determinate etnie minoritarie promosse dai militari hanno ulteriormente screditato il governo centrale e causato il presupposto dell’atto di forza con il quale è stato poi rovesciato l’esecutivo fedele ad Aung San Suu Kyi (presentatasi anche di fronte alla Corte internazionale di giustizia per difendere il governo civile).

Dopo il febbraio 2021 la comunità dei fedeli ha infine lanciato messaggi contrari alla dittatura ma talvolta discordanti e ha mantenuto, al contrario di quanto avvenuto nella storia politica del paese un ruolo molto marginale. Questo comportamento dipende dal fatto che il GUN ha intrapreso una strada fortemente condizionata dalla ribellione militare che potrebbe non allinearsi completamente agli ideali buddhisti o, più probabilmente, perché attraverso una campagna di donazione a di solidarietà religiosa i governanti militare, ed in prima fila il Generale Min Aung Hlain (uomo forte del paese) hanno iniziato a coltivare il rapporto con le organizzazioni religiose. Se la sangha non otterrà un proattivo coinvolgimento da parte del governo ombra appare, allo stato dei fatti, improbabile un suo ruolo di opposizione rispetto al governo golpista.

La repressione e la violenza dei militari

La questione della repressione contro i movimenti pro-democrazia, la cui immagine più evidente sono i bombardamenti, si articola in una serie di soprusi giuridici contro gli appartenenti alla LND. Le condanne di Aung San Suu Kyi da parte del potere giudiziario del regime militare ammontano ad un totale di 33 anni (gli ultimi dei quali comminatigli a fine dicembre). Le accuse mosse all’anziana politica sono state variegate e talvolta al limite del surreale, così come avvenuto per molti altri dirigenti e funzionari della LND, che sono stati condannati, con il risultato di avere sotto custodia del governo militare gran parte dei politici con precedente esperienza di governo del paese dei partiti non controllati dal governo.

La giunta militare ha affermato che non si tratta di una repressione mirata a squalificare e sconfiggere, tagliando la testa alle elite preesistenti al colpo di stato, i concorrenti elettorali tuttavia la recentissima decisione di sciogliere e bandire la LND e numerosi altri partiti non lascia molti dubbi. Il controllo del panorama partitico è fondamentale per il governo militare che si autodefinisce “guardiano del paese” e sembra chiaro, anche dato che in febbraio è stato prorogato lo stato di emergenza che permette ai militari la sospensione del processo elettorale, che la giunta tenterà di mantenere il sistema di governo in atto sino ad un controllo incondizionato del panorama politico.

I risvolti sulla politica internazionale

Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno condannato apertamente l’atteggiamento di continua posposizione della tornata elettorale e imposto alcune sanzioni, tuttavia secondo vari commentatori il governo Biden potrebbe fare di più in materia di isolamento internazionale per screditare il governo di Myanmar. L’Unione europea ha mantenuto un atteggiamento più fermo di condanna oltre alle sanzioni arrivate ad un sesto round nel febbraio di quest’anno.

Per quanto riguarda i Paesi dell’ASEAN questi si sono dichiarati d’accordo su un piano definito Five Point Consensus che comprendeva un appello alla cessazione delle violenze nel Paese, ma di fronte alla mancata ottemperanza da parte delle parti in conflitto non hanno saputo imporsi. Vanno infine prese in esame la condotta della Russia, che ha concesso supporto incondizionato al regime militare in cambio di appoggio diplomatico internazionale e quella della Cina,che dopo una freddezza iniziale verso il regime militare si sta mantenendo su un piano di indifferenza per non compromette le sue relazioni con l’ASEAN.

Il panorama internazionale è pertanto decisamente frammentato e non vi è da meravigliarsi se tale situazione potrà garantire un temporaneo salvacondotto alla dittatura militare.

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