L’aggressione iraniana a Israele e il diritto internazionale

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile, l’Iran ha condotto un attacco armato contro Tel Aviv, mediante il lancio di un’ingente quantità di missili balistici e droni. Alcuni di essi sarebbero provenuti anche dal territorio libanese, attribuiti a Hezbollah.

Secondo le prime dichiarazioni dello Stato iraniano, si tratterebbe dell’esercizio del diritto naturale di legittima difesa ai sensi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite in risposta alle continue aggressioni israeliane, culminate nell’attacco alla sede diplomatica della Repubblica dell’Iran a Damasco, in Siria, e nel “martirio”- secondo quanto riportato – dei consiglieri militari iraniani presenti. Il ministro degli Esteri iraniano evoca anche una responsabilità del suo Stato connessa al suo ruolo funzionale al mantenimento della stabilità nell’area regionale a fronte di Israele, accusato, tra l’altro, di portare avanti un regime di apartheid nei territori occupati e una “campagna genocidaria” nei confronti del popolo palestinese.

Fonti di intelligence avevano preannunciato l’imminente attacco da parte dell’Iran, cui Israele ha risposto efficacemente. Grazie al sistema Iron Dome e al supporto difensivo fornito dagli assetti navali statunitensi presenti nel Mar Rosso, tra cui l’ammiraglia portaerei della marina statunitense USS Eisenhower, gli effetti dell’attacco iraniano non hanno prodotto effetti devastanti.

Numerose le dichiarazioni di supporto manifestate pubblicamente a Israele e di condanna all’aggressione da parte dell’Iran, compresa quella italiana. La prima reazione del Segretario Generale dell’ONU, limitata a un invito all’immediata cessazione delle ostilità per evitare “un’altra guerra”, è stata piuttosto flebile, in linea con l’orientamento scarsamente decisionista dei tempi più recenti. Nella giornata del 14 aprile, è attesa una riunione del Consiglio di Sicurezza, dopo circa 24 ore dall’avvenuto.

L’aggressione iraniana e il punto di vista giuridico

L’azione militare dell’Iran rivolta contro Israele tramite ingenti operazioni aeree pare difficilmente riconducibile a un esercizio della legittima difesa ai sensi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite a fronte dell’attacco dell’ambasciata iraniana in Siria. In primo luogo, sotto il profilo temporale, essa non segue a un attacco armato attuale o imminente, essendosi concluso da giorni quello richiamato. In secondo luogo, Israele non ha rivendicato questo attacco, ma è stato attribuito allo stesso dall’Iran. Peraltro, esso ha colpito una sede diplomatica iraniana ma sita sul territorio di uno Stato terzo, la Siria.

Per contro, l’azione iraniana condotta il 13 aprile potrebbe avere i caratteri di un’aggressione ai sensi dell’art. 2 par.4 della Carta dell’Onu, in quanto chiaramente e dichiaratamente un massiccio attacco armato è partito dal territorio della Repubblica islamica dell’Iran nei confronti di un altro Stato sovrano. La risposta israeliana sembra, invece, configurabile come un’azione in legittima difesa a fronte di un attacco armato attuale e finalizzata a respingerlo secondo criteri di proporzionalità, in conformità all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Il supporto statunitense o di altri Stati nella difesa pare a sua volta configurabile come un’ipotesi di intervento in legittima difesa collettiva.

Da un punto di vista formale – per quanto sin dalle prime battute del conflitto armato tra Israele e Hamas si sia ipotizzato un coinvolgimento, non dimostrato, della repubblica islamica dell’Iran a supporto di quest’ultimo oppure degli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso -,  si trattava di un appoggio non incontroverso e di natura logistica. Un coinvolgimento indiretto nel conflitto armato, tramite il supporto di gruppi armati, ma senza un intervento diretto, generalmente non è ritenuto idoneo a far qualificare uno Stato come parte dello stesso. Risultava pertanto da escludere un coinvolgimento diretto dell’Iran come parte belligerante di un conflitto armato internazionale. Dal punto di vista giuridico, gli eventi recenti sono invece configurabili come un atto di aggressione, come definito in maniera condivisa a livello internazionale, contro la sovranità di un altro Stato, tale da dare origine a un conflitto armato internazionale. In tal caso, apparirebbe incontrovertibile la sussistenza di un animus bellandi, tale da far qualificare quest’ultimo come “guerra” dal punto di vista giuridico.

I bombardamenti iraniani, pertanto, hanno rappresentato certamente un’esclalation sotto il profilo militare, ma anche un momento di svolta, rendendo chiara e diretta la contrapposizione armata tra Israele e la Repubblica islamica dell’Iran.

Soltanto un’intensa attività diplomatica, in ogni sede, potrebbe attenuare il deterioramento della crisi nell’area mediorientale, che, allo stato attuale, appare destabilizzata in maniera critica, senza dimenticare che c’è il sospetto del possesso dell’arma nucleare tra le parti al conflitto.

Le imminenti riunioni del G7 e del Consiglio di sicurezza dell’ONU, già convocate, unitamente alle reazioni di supporto a Israele provenute da un ampio novero di attori, inclusa la NATO, testimoniano la preoccupazione della Comunità internazionale rispetto alla destabilizzazione dell’area.

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