La nuova comunità delle democrazie: un’idea fluida e globale

Il 9 e il 10 dicembre il presidente americano Joe Biden ha aperto il primo Summit globale delle democrazie, che ha come scopo quello di mettere il tema della democrazia e dei diritti dell’uomo al centro dell’azione di politica estera degli Stati Uniti d’America. Per questo primo Summit, che si ripeterà annualmente e che quest’anno si è svolto in video-collegamento, Washington ha invitato 108 Stati membri delle Nazioni Unite più Unione europea, Taiwan e Kosovo.

L’Iniziativa, promossa dal presidente Biden, è partita con la costituzione di un gruppo ideologicamente coeso di attori eterogenei: non solo governi dai diversi standard democratici ma anche attori privati e rappresentanti della società civile. Questo gruppo dovrà costruire una nuova grammatica delle relazioni internazionali, che vede gli attori like-minded declinare secondo specifici nuovi parametri quella che sarà la questione geopolitica più grande del ventunesimo secolo, ossia come possono convivere in un mondo globalizzato sistemi democratici e sistemi autoritari.

Di questa iniziativa gli Stati Uniti d’America rappresentano sia l’hardware che il software. L’hardware perché è chiaramente la nuova postura geopolitica americana a condizionare la definizione di democrazia adottata per selezionare i partecipanti del Summit, adeguandola alle nuove necessità di politica estera statunitensi, con il risultato di produrre non poche incongruenze su cui si sono soffermate la maggior parte delle critiche degli osservatori. Esclusioni e inclusioni clamorose ci indicano non solo quanto ogni criterio di democraticità possa essere adattato alle necessità strategiche del momento, ma soprattutto devono farci riflettere su quante e quali trasformazioni abbia subito nei trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino il sistema operativo della “democrazia”, evolvendo verso un concetto debole ed inclusivo.

Un nuovo modello democratico

Le giuste critiche sui criteri di selezione non devono oscurare il fatto più importante, ossia che questo nuovo multilateralismo democratico che la nuova amministrazione americana sta costruendo non si basa più sul vecchio software della democrazia occidentale, che aveva guidato lo sforzo contro il comunismo e l’Unione Sovietica ai tempi della guerra fredda. La vera novità è basata sull’emersione di un software nuovo, ossia un’idea di democrazia fluida e globale, sostanzialmente disancorata tanto dai riferimenti culturali quanto geopolitici europei. Questo software non è solo frutto dei compromessi della realpolitik del momento, ma punta a divenire una vera e propria nuova ideologia. Un sistema di nuovi valori politici internazionali con cui progressivamente sostituire l’antico sistema d’intesa tra Paesi democratici, il cui perimetro non coincide più con quello dei sistemi capitalisti e che si ritiene sia entrato in crisi anche nello stesso Occidente.

Il Summit del dicembre 2021 può segnare dunque un passaggio importante per il futuro delle relazioni internazionali. In maniera ancora incerta, confusa e in qualche modo contradittoria gli Stati Uniti d’America, attraverso il ripensamento del concetto di democrazia, stanno mettendo in piedi non una nuova iniziativa di politica estera, ma un ambizioso processo di ripensamento dell’Occidente e di reset della globalizzazione.

Al posto della vecchia dimensione gerarchica di Stati democratici e sovrani, e per questo liberi e ricchi e quindi allineati negli interessi internazionali, inizia ad emergere un nuovo concetto tridimensionale della potenza internazionale, da costruirsi attorno a una nuova triade: governo-economia-popolazione. Ciascuna di queste dimensioni può essere più o meno orizzontalmente democratizzata, dando vita ad un complesso mix di fattori e di casi Paese che rendono non più unitario e lineare ma destrutturato e multidimensionale il concetto di democrazia; lasciando poi agli Usa il privilegio di scegliere più o meno à la carte i partecipanti a questo nuovo sistema di alleanza tra democrazie.

Le tre dimensioni delle nuova democrazia globale

La vera novità del Democracy Summit non è rappresentata dalla strumentalizzazione del concetto di democrazia per farne uno strumento degli interessi geopolitici americani. L’intento è plasmare, come migliore ambiente internazionale conduttore di questi interessi, una nuova forma di multilateralismo democratico basato non su di una semplice alleanza politica orizzontale tra Stati democratici, o utili alle democrazie, ma su di un più complesso allineamento verticale che opera all’interno dei singoli Paesi lungo tre dimensioni autonome, blandamente definite e dunque suscettibili di interpretazione geopolitica: la forma di governo, la forma di economia e la forma dei modelli sociali.

Ovviamente in un sistema così fluido e complesso le definizioni lasciano il tempo che trovano e l’aderenza o meno al nuovo concetto di democrazia può essere non più un fattore oggettivo ma soggettivo. Non importa più di tanto dove è collocato un determinato governo come sistema politico, economico e sociale, ma importa se esso opta per la convergenza di questi sub-livelli verso gli standard richiesti, lasciandoli liberi di convergere. Dove i parametri di convergenza sono rappresentati dalla lotta contro i sistemi autoritari riconosciuti, a quella contro la corruzione interna e al processo di espansione degli spazi di libertà individuali nelle società.

Un progetto ambizioso, che deve ancora essere meglio definito, dal futuro incerto. Ha il vantaggio però di essere una grand strategy, forse sui generis, ma comunque l’unica che un Occidente in crisi ha in questo momento. Non è escluso che se questo approccio alle relazioni internazionali dovesse produrre alcuni frutti, Washington punterà a far emergere dalla genericità di questa iniziativa una vera e propria nuova alleanza globale, che sarà tenuta assieme non tanto dalla debole ideologia che la sottende quanto da un più cogente confine di rapporti economici privilegiati dove commercio, tecnologia, investimenti, aiuti finanziari seguiranno i confini di nuovi standard democratici globali.

L’Europa dovrebbe riflettere con più serietà strategica su questi sviluppi e affiancare a questa iniziativa americana una propria contro-proposta di un sistema di alleanza politica delle democrazie e di un modo diverso di affrontare le grandi sfide del ventunesimo secolo, in particolare quella della coesistenza nel mondo globale di sistemi autoritari e sistemi democratici.

Foto di copertina EPA/TASOS KATOPODIS / POOL

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