La lotta globale per la democrazia riparte dagli Stati liberaldemocratici

In un’epoca di grandi rivalità di potere, la protezione e la promozione dei valori liberal democratici stanno diventando sempre più due facce della stessa medaglia. E mentre le democrazie mondiali si sono riunite virtualmente al “Summit delle democrazie” organizzato dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden la scorsa settimana, i Paesi partecipanti– inclusi 26 paesi membri dell’Unione Europea – dovrebbero rendersi conto di questa situazione.

Il vertice ha due obiettivi fondamentali: proteggere le democrazie dall’autoritarismo e dalla corruzione e promuovere la democrazia nel mondo non democratico. Biden ha quindi comprensibilmente scelto una lista allargata di partecipanti: più di 100 paesi erano presenti al vertice, molti dei quali si sono contraddistinti come democrazie deboli o hanno mostrato visibili tratti autoritari.

La logica è sia strategica – poiché è evidente la rivalità con la Cina autoritaria – sia normativa: se la democrazia è un viaggio senza fine che può avanzare ma anche regredire, dobbiamo prima riconoscere le sue fragilità per affrontarle.

Gli obiettivi del vertice comprendono il rafforzamento dei diritti umani, dello stato di diritto e del buon governo, la risoluzione delle disuguaglianze socioeconomiche, l’investimento nell’innovazione e nelle capacità industriali e il rafforzamento della sicurezza. Ciò significa dimostrare che la democrazia liberale funziona e che vale la pena lottare agendo per  limitare in modo deciso tutti quei tentativi esterni di interferenza e di destabilizzazione ibrida, in particolare da parte di potenze autoritarie.

La dottrina Biden

Questi obiettivi sono ambiziosi e complessi, ma almeno sono chiari. La vera difficoltà sorge quando si deve affrontare la promozione dei valori liberal democratici.

Gli strumenti di politica estera sviluppati finora per la promozione di questi valori appartengono a un’epoca passata. Interventi militari, sanzioni, condizionalità allo sviluppo e al commercio, sostegno alla società civile e – nel caso dell’UE – politiche di allargamento e vicinato hanno funzionato al loro meglio all’apice dell’ordine internazionale liberale.

L’applicazione di quegli strumenti nella nostra attuale era post-interventista di contestazione dei valori può ancora funzionare allo stesso modo in alcuni casi, come la Georgia o l’Ucraina. Ma nella maggior parte degli altri, dalla Serbia alla Turchia fino alla Bielorussia, semplicemente non funziona. In effetti, gli ultimi due paesi non sono entrati nell’elenco allargato degli invitati al Summit.

Tuttavia, c’è un aspetto positivo nell’esplicita rinuncia degli Stati Uniti agli interventi militari effettuati con l’obiettivo (apparente) della promozione della democrazia. Il danno arrecato all’attrattiva globale dei valori liberal democratici in quegli anni e alla credibilità dell’Occidente è stato enorme, in particolare in gran parte nel Sud del mondo.

“Proteggere le fondamenta dell’Ue”

L’hard power degli Stati Uniti ha anche sostenuto gli strumenti soft power dell’Unione europea in quanto promotori degli ideali liberal democratici del blocco. Con questo fondamentale ripensamento del ruolo degli Stati Uniti nel mondo è diminuito anche il peso delle politiche europee volte a diffondere tali norme.

Ciò non implica che l’allargamento, l’associazione, le sanzioni, le politiche commerciali o di sviluppo europee debbano essere abbandonate. In realtà, è vero il contrario. Significa, tuttavia, che pur insistendo con la promozione dei valori liberal democratici attraverso queste politiche, l’Ue deve dotarsi di una buona dose di pazienza strategica.

Soprattutto, significa che, dato il ridotto effetto diretto e di breve termine della sua politica estera, la cosa più importante che l’Ue e tutte le democrazie liberali potrebbero fare è mettere ordine in casa propria.

Per l’Ue, questo significa garantire che i valori sanciti dai Trattati – compresi i diritti umani, lo stato di diritto e la democrazia – siano rispettati non solo dai paesi che cercano di aderire all’Unione, ma anche da quelli che già vi aderiscono. Su questo fronte spiccano i casi di Ungheria e Polonia, con la prima che non è stata invitata al Summit.

La via legale per garantire che i paesi dell’Ue rimangano fedeli ai valori europei, inclusa la sospensione dei diritti di voto nell’Unione, è difficile, se non impossibile da attuare. Anche la via politica della persuasione finora non ha funzionato da sola. È quindi la strada della condizionalità economica, che la Commissione europea ha intrapreso ed è stata rivendicata dall’avvocato generale dell’UE la scorsa settimana, la strada necessaria da percorrere. I soldi dell’Ue devono smettere di fluire verso paesi che non rispettano le sue regole.

Quello che è in gioco in questo momento storico non è solo la democrazia in Ungheria e Polonia, ma quello che potrebbe succedere con altre forze illiberali e nazionaliste in Europa. Si tratta di proteggere le fondamenta dell’Ue e della democrazia liberale in generale.

Il percorso democratico è tutt’altro che lineare, per questo motivo questo Summit è servito agli Stati partecipanti per capire come lavorare insieme lungo questo percorso. Si tratta di una leadership di mediazione – non d’attacco  –  degli Stati Uniti e dell’Ue, poiché per promuovere i valori liberal democratici il modello democratico deve essere considerato degno di essere emulato.

Il primo passo è abbandonare le ipocrisie ed essere pronti a riconoscere – e affrontare – le debolezze delle nostre democrazie.

Questo testo è una traduzione integrale dall’inglese dell’articolo “The global fight for democracy begins at home” scritto da Nathalie Tocci e pubblicato su Politico Europe il 6 dicembre 2021

Foto di copertina EPA/TASOS KATOPODIS / POOL

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