La difficile transizione energetica russa

Prima che la Russia si imbarcasse in una dispendiosa guerra di aggressione contro l’Ucraina, il paese vantava essere tra i primi tre produttori di petrolio al mondo, il secondo esportatore di gas, uno dei principali esportatori di minerali critici, il quarto emettitore di emissioni di gas serra (GhG) e sulla strada per avviare una complessa transizione energetica.

L’invasione dell’Ucraina sta, però, ostacolando i timidi tentativi di avviare la transizione energetica in Russia, andando a definire in modo radicale sia le relazioni della Russia con il clima e l’energia sia la più ampia geopolitica del clima e dell’energia per i prossimi anni. 

La lunga marcia russa verso la transizione energetica

Negli ultimi due anni, una serie di fattori esterni hanno spinto la Russia ad affrontare un drastico cambio di direzione nella politica sul clima e sull’energia. Tra i fattori chiave vi sono state le decisioni politiche – come l’adozione del pacchetto Fit for 55 del 2021 nonché la proposta di inserimento di un Carbon Border Adjustment Mechanism – che hanno portato a una riduzione della domanda di combustibili fossili nel principale mercato di esportazione della Russia, l’Unione Europea. 

Inoltre, l’ascesa dell’agenda Environmental, social and governance (Esg) come “nuova normalità” per i principali investitori internazionali; gli sforzi per stabilire standard per una finanza sostenibile all’interno delle tassonomie nell’Ue, in Cina, nella Corea del Sud e in altre parti del mondo; l’allineamento in corso delle principali istituzioni finanziarie con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi hanno stimolato cambiamenti anche nel panorama degli investimenti russi. Uno degli sviluppi chiave per l’adozione da parte russa di una tassonomia verde già dalla fine del 2021 è rappresentato dalla crescente circolazione di obbligazioni verdi che coinvolge anche le banche russe e ha inevitabilmente accelerato la strada verso la decarbonizzazione. 

Il primo passo verso l’introduzione di controlli sulle emissioni di gas serra è stata la presentazione alla Duma del disegno di legge “Sulla limitazione delle emissioni di gas serra” nel febbraio 2021. La legge impegnava le aziende a iniziare a rendicontare le proprie emissioni di gas serra a partire dal 2023 e incoraggiava la realizzazione di progetti di riduzione delle emissioni in cambio di unità di carbonio commerciabili. Tuttavia, il testo di legge poi adottato nel luglio del 2021 differisce radicalmente dall’originale e non impone quote di emissioni o sanzioni ai grandi inquinatori. Qualche mese dopo, nell’ottobre del 2021, la Russia compiva un ulteriore passo verso la transizione energetica presentando un piano per raggiungere emissioni nette zero entro il 2060: una strategia che ha esaminato gli impatti sul clima e sull’economia, distinguendo in due scenari, “di base” e “intensivo” , e impegnandosi a perseguire quest’ultimo. 

I limiti delle strategie verdi russe 

Nonostante l’impegno russo nell’adottare politiche energetiche in linea con gli sforzi globali di lotta al cambiamento climatico, le misure varate dalla Russia in materia di energia e clima presentano importanti limiti. Il primo è rappresentato dalla costante priorità data agli idrocarburi come principale fonte di reddito, sia a medio che a lungo termine. Ciò riflette l’importanza dei combustibili fossili nell’economia russa, che secondo le stime rappresentano dal 10 al 25% del PIL e circa il 45% del bilancio federale, e la percezione che la transizione globale verso economie basate sulle energie rinnovabili rappresenti una minaccia per le rendite dei combustibili fossili della Russia

Sebbene la leadership russa abbia iniziato a riconoscere le pressioni climatiche e geopolitiche che il Paese si trova ad affrontare, le sue valutazioni sul futuro della contrazione dei mercati del petrolio e del gas e sulla capacità della Russia di mantenere una posizione all’interno di tali mercati restano ottimistiche. L’altro grande limite dell’approccio russo alla decarbonizzazione è il massiccio affidamento a soluzioni basate sulla natura come strumento centrale per ridurre l’intensità delle emissioni dell’economia russa, un approccio alla mitigazione dei cambiamenti climatici che è riconosciuto a livello internazionale come insufficiente. 

Tra gli altri obiettivi, la strategia di decarbonizzazione per il 2050 prevede l’assorbimento di 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 da parte dei pozzi di carbonio (in gran parte nelle aree forestali) entro il 2050, pari a due terzi delle emissioni di carbonio del Paese. Si tratta di una previsione estremamente poco plausibile, dato che per raggiungere questo parametro, la capacità di assorbimento delle foreste deve crescere del 120%, mentre l’area forestale russa si è ridotta del 10% negli ultimi due decenni e il tasso di deforestazione continua a crescere.L’invasione dell’Ucraina e l’arresto della transizione 

L’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 ha radicalmente modificato la geopolitica dell’energia nella regione e a livello globale, portando la Russia a rimodulare le sue ambizioni e ad arrestare il processo di transizione energetica. La Russia, colpita da un numero di sanzioni senza precedenti, è stata collateralmente abbandonata dai partner europei che hanno deciso di rinunciare alla loro decennale dipendenza dai combustibili fossili russi, in particolare dal gas. La scelta russa di procedere con una guerra di aggressione contro l’Ucraina non ha fatto altro che danneggiare il potenziale della già timida transizione energetica, introducendo quattro grandi ostacoli al cammino russo verso la decarbonizzazione:  restrizioni di bilancio dovute alla perdita del principale mercato di esportazione di materie prime della Russia (l’Europa); mancanza/limitazione dell’accesso agli investimenti internazionali; mancanza/limitazione dell’accesso alle tecnologie d’avanguardia; perdita dei fattori politici (esterni) per accelerare la transizione in patria.

La nuova geopolitica del clima e dell’energia 

Lo spazio politico per impegnare la Russia sul clima, così come lo spazio finanziario e di mercato per consentire la trasformazione del sistema energetico russo sono ora estremamente limitati. Nell’attuale contesto, le ambizioni della Russia in materia di energia pulita e di clima sono appese a un filo, almeno fino a quando non ci saranno cambiamenti significativi nell’attuale regime di sanzioni. La Russia sembra addirittura pronta ad utilizzare l’adozione di misure a tutela del clima come merce di scambio, comportamento già adottato in occasione della COP26 quando cercò di barattare l’adesione all’impegno globale sul metano, il Global Methane Pledge, con un alleggerimento delle sanzioni per i “progetti di investimento verdi” rivolti alle compagnie statali di combustibili fossili come Gazprom.

Tuttavia, un impegno russo verso una forte e solida transizione energetica è fondamentale per garantire una efficace lotta globale ai cambiamenti climatici. Vi sono alcune vie percorribili al fine di non scadere, da un lato in dannosi tradeoff, e dall’altro, non sacrificare il sostegno all’Ucraina: in primo luogo, risulta cruciale mantenere i legami accademici e consentire la partecipazione degli scienziati russi alla comunità scientifica internazionale. Una collaborazione simile non solo risulta importante per la disponibilità dei dati, ma anche per garantire un continuo monitoraggio. Inoltre, prepara il terreno per cooperazione industriale e politica in un momento successivo. 

Non si può, in aggiunta, non sostenere la società civile e il mondo accademico in esilio: molti attivisti per l’ambiente e il clima, scienziati politici, economisti ed esperti di energia hanno dovuto abbandonare la Russia dopo la guerra. Il loro apporto sarebbe fondamentale al fine di tutelare il futuro climatico non solo della Russia, ma del resto del mondo. 

Foto di copertina EPA/ANATOLY MALTSEV

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