La democrazia indiana al vaglio delle elezioni

Dopo settimane di attesa, sono state finalmente annunciate le date delle elezioni generali in India, che si terranno in sette fasi tra il 19 aprile e il 1° giugno 2024, con lo spoglio dei risultati fissato per il 4 giugno. Si vota per la Camera del Popolo, la camera bassa del parlamento federale indiano, da cui emerge la maggioranza di governo. Con poco meno di un miliardo di elettori coinvolti, sarà la più grande elezione della storia.

L’importanza delle elezioni in una “autocrazia elettorale”

Nel 2019 si presentarono più di 8 mila candidati, che spesero più di 8 miliardi di dollari in campagna elettorale (in un paese con un Pil pro capite di poco superiore ai duemila dollari). Più di due terzi degli elettori si presentarono alle urne e, per la prima volta, più della metà erano donne. La diciottesima elezione generale indiana sarà, come tutte le precedenti, una grande festa della democrazia, in un paese dove quest’ultima non avrebbe dovuto mettere radici – troppo grande, povero, diverso e poco istruito.

I dati sulla partecipazione fanno emergere l’importanza attribuita alle elezioni da parte di elettori e candidati, nonostante la democrazia indiana sia stata messa sotto pressione in maniera quasi insostenibile dal Primo ministro Narendra Modi, al potere dal 2014. Secondo l’ultimo rapporto dell’istituto V-Dem, l’India è tra i dieci paesi che hanno subito l’involuzione democratica più rapida negli ultimi vent’anni, diventando un’“autocrazia elettorale” – un sistema nel quale libere elezioni convivono con strategie di repressione del dissenso e controllo del consenso che ne snaturano il carattere democratico. Negli ultimi dieci anni, gli spazi di libertà si sono molto ristretti sia a causa dell’accentramento del potere nelle mani del Primo ministro e all’erosione dell’indipendenza delle istituzioni, sia a causa di un uso indiscriminato delle agenzie investigative, che hanno colpito in maniera sproporzionata giornalisti, attivisti critici del governo e politici d’opposizione. In particolare, la minoranza musulmana (circa il 15% della popolazione) è stata oggetto di ripetute vessazioni da parte di gruppi di estremisti indù, ricevendo scarsa protezione dallo stato.

Verso il terzo mandato per il BJP di Modi?

Il Bharatiya Janata Party (BJP), il partito nazionalista indù di Modi, non dovrebbe avere grossi problemi a rimanere al governo per un terzo mandato consecutivo. I sondaggi meno favorevoli prevedono che il BJP otterrà una maggioranza solo lievemente inferiore a quella del 2019. Ma nelle passate due elezioni, il Primo ministro ha sempre ottenuto risultati ampiamente superiori alle aspettative, grazie a una macchina elettorale senza rivali, sia a livello organizzativo sia finanziario (il BJP ottiene più donazioni di tutti gli altri partiti messi insieme), e a una popolarità solida e diffusa tra tutti gli strati della popolazione (ad eccezione della minoranza musulmana).

Le opposizioni sono divise e demoralizzate. Alcuni partiti avevano formato un’alleanza con l’obiettivo di non disperdere il voto anti-BJP – che aveva ottenuto “solo” il 37% dei voti nel 2019, ma il 55% dei seggi. Tuttavia, nel corso degli ultimi mesi non è chiaro cosa ne sia rimasto. Uno dei fondatori dell’alleanza, il chief minister (letteralmente, il ‘ministro in capo’) dello stato del Bihar, Nitish Kumar, ha abbandonato la coalizione e si è alleato con il BJP. Un’altra fondatrice, la chief minister del West Bengal, Mamata Banerjee, ha deciso di correre da sola, così come l’Aam Admi Party (che governa il Punjab e Delhi). Il Congresso, principale partito d’opposizione, sta contrattando con ciò che rimane dell’alleanza, che però non sembra a questo punto in grado di preoccupare il BJP. Anche perché il partito di Modi sta lentamente svuotando il Congresso dall’interno, attraverso una politica di “porte aperte” che continua ad attrarre leader del partito di Gandhi, che ha perso la posizione dominante di cui ha goduto per decenni dopo l’indipendenza.

L’unico ostacolo al completo dominio del BJP è rappresentato dai cinque stati del sud, tutti guidati da partiti di opposizione e dove l’agenda ipernazionalista indù del BJP non ha mai messo radici. Eppure, anche qui non è escluso che il BJP possa vincere qualche seggio in più del 2019 grazie ad alleanze strategiche con partiti locali.

La popolarità di Modi tra gli imbarazzi del BJP e una crisi dell’occupazione

Non sembra insomma esserci spazio per sorprese, considerando che la popolarità di Modi rimane altissima, pari al 70%. Nel corso degli ultimi anni il governo ha superato indenne una serie di crisi, dalla decisione di togliere valore a quasi tutto il contante circolante del 2016 – che causò un arresto cardiaco dell’economia durato mesi – alla pandemia, senza che il Primo ministro ne risentisse. Questo, tuttavia, non significa che sia del tutto invulnerabile.

A poco meno di un mese dalle elezioni, infatti, la Corte Suprema ha obbligato la più grande banca pubblica, la State Bank of India (SBI), a pubblicare i dati relativi agli electoral bonds (EB), uno strumento per il finanziamento dei partiti politici introdotto nel 2017. Gli EB garantivano a chi li acquistava completo anonimato. Tuttavia, la decisione della Corte Suprema ha portato alla luce una serie di fatti potenzialmente molto imbarazzanti per il BJP. Primo, il partito di Modi ha ottenuto circa 670 milioni di euro tra il 2019 e il 2024 (quasi quanto tutti gli altri partiti messi insieme). Secondo, un significativo numero di donazioni è avvenuto subito dopo l’avvio di indagini sulle compagnie donatrici da parte delle agenzie investigative. Terzo, diverse donazioni sono avvenute subito prima dell’assegnazione di importanti contratti pubblici alle compagnie donatrici. Mentre è ovviamente prematuro stabilire un rapporto di causa-effetto tra donazioni e azioni governative, è chiaro che sia stata messa in discussione la reputazione di un partito che aveva fatto della lotta alla corruzione uno dei propri cavalli di battaglia.

Inoltre, nonostante la crescita molto rapida del Pil – sostenuto in misura significativa da investimenti e spesa pubblica – l’economia non riesce a generare sufficienti posti di lavoro e diversi indicatori mostrano che la situazione economica della maggior parte della popolazione è peggiorata o rimasta stagnante negli ultimi anni. La mancanza di lavoro rimane in cima alle preoccupazioni degli elettori, come dimostrato dalle imponenti manifestazioni da parte di gruppi castali che chiedono di essere inseriti all’interno del sistema di discriminazione positiva che riserva posti di lavoro nel settore pubblico alle caste svantaggiate.

Le difficoltà economiche, declinate in una logica castale, sembravano essere una potente arma a disposizione delle opposizioni. Nel dicembre 2023, il Bihar pubblicò il rapporto sul proprio censimento castale – il primo nel paese dal 1931 –, dal quale emerge che l’80% della popolazione dello stato appartiene a caste basse, ma “solo” il 49% dei posti nelle università e nell’impiego pubblico – la principale via di ascesa sociale nel paese – è per legge riservato a loro. Immediatamente, associazioni e partiti castali, compresi molti che facevano parte dell’alleanza anti-BJP, hanno iniziato a promettere di aumentare questa proporzione, mentre il BJP si è sempre opposto, nonostante derivi una parte sostanziale del proprio elettorato proprio da questi gruppi (ma con una leadership quasi esclusivamente di casta alta, con l’eccezione di Modi).

Tuttavia, i deludenti risultati del Congresso in una serie di elezioni statali nel tardo 2023 – quando il partito puntò molto sulla questione – hanno di fatto escluso che provare a dividere l’elettorato del BJP su basi castali sia una strategia percorribile. L’unica speranza delle opposizioni sembra essere l’imprevedibilità degli elettori indiani, che in molte delle passate 17 elezioni hanno sorpreso anche i più attenti osservatori del complicatissimo panorama politico indiano.

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