La democrazia in Perù è minacciata dalla corruzione

Il 7 dicembre, a poco più di un’ora dalla chiusura del Congresso e del governo per decreto del presidente Castillo, il tentativo di colpo di stato in Perù si era già trasformato in fallimento. Castillo si trova ora in carcere, la sua famiglia ha lasciato il Paese per il Messico, dove ha ottenuto l’asilo politico.

Castillo era stato sottoposto alla procedura di impeachment nei giorni precedenti al tentativo di coup, dopo essere stato accusato di associazione a delinquere e di aver ostacolato le indagini. Per questo motivo, ha cercato di evitare l’impeachment provando a sciogliere il parlamento locale con un tentativo di colpo di stato. Nessuno, però, ha appoggiato il tentativo di colpo di stato: né il consiglio dei ministri (che si è prontamente dimesso), né l’esercito, né la polizia.

La nomina di Boluarte e le proteste 

Il 7 dicembre, nel giro di poche ore, l’esponente della sinistra radicale è stato arrestato e la vicepresidente Dina Boluarte ha giurato per sostituirlo. Avvocatessa in carriera e donna nuova alla politica, Boluarte ha promesso di mettere insieme un esecutivo che rappresenti le varie anime del Perù per ricostruire la fiducia nella politica, un compito arduo in un paese che ha avuto sei presidenti in poco più di quattro anni.

La nuova presidente, dopo aver preso il posto di Castillo, sta affrontando violente proteste che hanno portato alla proclamazione dello stato di emergenza nazionale. I manifestanti hanno bloccato le strade principali, costringendo la chiusura di cinque aeroporti in tutto il Perù. Ora sembra che il governo stia lentamente riportando la situazione alla calma.

La crisi si è verificata in un contesto di alta inflazione e povertà estesa nel paese sudamericano. Molti dei manifestanti sono sostenitori di Castillo e ritengono che il loro voto sia stato tradito dalle istituzioni: chiedono nuove elezioni, la chiusura del Congresso e la stesura di una nuova Costituzione.

Castillo tra populismo e corruzione

Al momento della sua nomina, Pedro Castillo era un ex insegnante con pochissima esperienza politica ma con grande consenso tra le fasce meno abbienti della popolazione. Le sue promesse radicali hanno posto al centro la lotta alla povertà: un tema che il presidente conosceva bene, considerando il suo passato nelle zone rurali del paese. Tuttavia, questi propositi si sono rivelati inconsistenti, lasciando il posto a un’amministrazione caotica che ha sfornato più di 80 ministri in meno di un anno e mezzo.

Caos e incompetenza hanno segnato il governo Castillo fin dall’inizio. I pubblici ministeri hanno dichiarato che il presidente e la sua cerchia si sono impegnati ad arricchire se stessi, più che a ridurre la povertà. In ottobre, l’ufficio del procuratore ha accusato Castillo di gestire una “organizzazione criminale” all’interno della presidenza, finalizzata a ottenere tangenti da appalti pubblici. La moglie, la cognata e i due nipoti del presidente sono stati tutti coinvolti. Il capo dello staff di Castillo è fuggito dopo che ventimila dollari in contanti sono stati trovati nel suo ufficio e i procuratori si sono poi concentrati sul presidente e sulla sua famiglia.

Le accuse di corruzione non sono una novità nella politica peruviana: molti altri leader e gran parte dei legislatori sono stati accusati di essere corrotti. Gli analisti concordano sul fatto che Castillo abbia resistito così a lungo solo perché il Congresso è detestato ancor più del presidente: una situazione problematica, considerando i problemi sociali ed economici del paese. In questi anni, una solida crescita e una sana gestione macroeconomica hanno mascherato gravi carenze nella sanità e nell’istruzione pubblica e un divario enorme tra la relativa prosperità di Lima e la povertà delle province, specialmente nelle aree rurali.

Dopo quasi due decenni di crescita costante, sotto il governo di Castillo l’economia però ha iniziato a rallentare e a ottobre l’agenzia di rating Fitch ha rivisto l’outlook del paese da “stabile” a “negativo”. Il mese successivo, il terzo e ultimo ministro delle Finanze di Castillo, Kurt Burneo, ha riconosciuto che le disfunzioni politiche stavano danneggiando il clima imprenditoriale.

La democrazia all’angolo

Dina Boluarte deve ora raccogliere i cocci dopo il giuramento come prima donna leader del Perù. Politicamente inesperta, dovrà mettere insieme una maggioranza durante una legislatura preoccupata soprattutto della propria sopravvivenza. Per salvare il paese, d’altronde, serve una riforma politica di vasta portata: il Perù è gravato da una costituzione autoritaria redatta da Alberto Fujimori, ex presidente che negli anni Novanta ha chiuso il Congresso e governato per decreto. Fujimori ha conferito al presidente la possibilità di sciogliere il parlamento unicamerale di centotrenta membri in determinate occasioni: un provvedimento anti democratico.

Durante gli ultimi anni, in Perù i partiti politici si sono moltiplicati grazie a un sistema di rappresentanza proporzionale incompleto, creando un congresso altamente frammentato in cui il presidente è costantemente costretto a negoziare. Inoltre una legge arcaica, mai definita correttamente, consente al Congresso di deporre un presidente per “incapacità morale”: un utile strumento per estorcere concessioni.

La maggior parte dei partiti è poco più che un veicolo per l’ambizione personale dei loro leader o per la promozione di gruppi di interesse particolari. Non sorprende che i sondaggi mostrino come la maggior parte dei peruviani disprezzi l’intera classe politica: secondo i risultati di un sondaggio dell’Istituto di Studi Peruviani (IEP), nel novembre 2022 il sostegno pubblico per Castillo era del 31% e per il Congresso di appena del 10%.

Il Congresso e la nuova presidente avranno il dovere di concordare un pacchetto di riforme politiche per porre il Paese su una solida base istituzionale e consentire di affrontare i suoi profondi problemi sociali.

Foto di copertina EPA/ALDAIR MEJIA

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