Una decisione senza precedenti quella assunta dalla Corte Suprema del Colorado per impedire all’ex presidente Donald Trump di partecipare alle primarie. Una decisione che è però stata sospesa in attesa della risoluzione del caso da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha infatti deciso di esaminare il ricorso presentato da Trump lo scorso 5 gennaio.
Il 19 dicembre 2023, la Corte del Centennial State – lo stato del centenario, così chiamato perché ammesso come trentottesimo stato dal presidente Ulysess Grant nel 1876, esattamente cent’anni dopo la Dichiarazione d’Indipendenza – aveva deciso di escludere l’ex presidente dalle elezioni presidenziali 2024 nel suo territorio, ricorrendo a una clausola del quattordicesimo emendamento della Costituzione Americana, per la prima volta usata contro un candidato alle primarie presidenziali.
La norma risale alla fine della Guerra Civile e venne introdotta per bloccare il rientro nelle cariche elettive federali di figure politiche compromesse con la Confederazione sudista, che potessero destabilizzare il fragile ordine costituito sulle ceneri del conflitto, magari per tentare nuovamente colpi di mano secessionisti. L’esclusione di Trump contenuta nella sentenza della Corte Suprema del Colorado, infatti, è data dal suo riconoscimento quale leader effettivo e in pieno supporto dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, riconosciuto come atto d’insurrezione.
A pochissimi giorni dall’inizio della tornata di elezioni primarie, che porteranno alla scelta dei candidati che si fronteggeranno per la disputa presidenziale di novembre 2024, questo colpo di scena sicuramente lascia aperta la porta a dibattiti, considerazioni e previsioni.
«La Corte Suprema dello Stato del Colorado ha delegittimato Donald Trump a comparire sulla scheda elettorale delle elezioni generali, cioè ad essere candidato alla Presidenza degli Stati Uniti», afferma Alessandro Tapparini, giurista ed esperto di Stati Uniti. «Di conseguenza essa ha stabilito anche che Trump non può partecipare alle primarie Repubblicane».
Vale la pena ricordare che le primarie non sono elezioni che coinvolgono il Partito di riferimento esclusivamente dal punto di vista interno. «A differenza del nostro Paese, negli Stati Uniti le primarie hanno un risvolto pubblico, sono regolate dalla legge e non sono affidate totalmente all’autonomia dei partiti. Hanno, quindi, rilevanza pubblica anche sul piano giuridico normativo», spiega Tapparini. Il Partito Repubblicano, quindi, non può ignorare questa storica decisione.
Attualmente, la Corte Suprema federale è composta da nove giudici, eletti da diversi Presidenti nel corso degli ultimi decenni. Ben sei di questi sono di area Repubblicana, come ci ricorda Tapparini. Tra questi, tre sono stati eletti proprio da Donald Trump (Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett). L’ufficio stampa di Donald Trump aveva fatto sapere, già immediatamente dopo la decisione della Corte Suprema del Colorado, che si sarebbero avvolti dell’appello. «Trump, quando si rivolge alla Corte Suprema degli Stati Uniti, parte dal presupposto di giocare in casa. Questo però non gli dà assolutamente garanzia di sentirsi dare ragione ogni volta. Anzi, in passato è accaduto anche il contrario. Tuttavia, ci sono i presupposti per provarci», afferma Tapparini.
Le domande a questo punto sono molteplici: l’appello di Trump alla Corte Suprema riuscirà a ribaltare veramente la situazione? Quanto questa decisione storica rimarrà puramente simbolica o sarà effettiva a livello giuridico?
Secondo Tapparini non ci sono dubbi, con un’alta probabilità che la Corte Suprema degli Stati Uniti ribalti la sentenza e che questa storia rimanga simbolica. «Non dimentichiamoci che la decisione della Corte del Colorado è stata presa a maggioranza di un solo voto contro tre (4 – 3), che è abbastanza borderline. La maggior parte degli analisti ritiene probabile che la Corte Suprema degli Stati Uniti la cassi», spiega.
Quello che rimarrà, dunque, è «la sensazione che ha provocato, più che un effetto giuridico che potrebbe non arrivare mai a prodursi concretamente», come puntualizza Alessandro Tapparini. Inoltre, il Colorado è da diversi anni un blue state, dove i Repubblicani vengono dati per perdenti: non impatterà perciò moltissimo sulla candidatura alla Casa Bianca. Tutto, dunque, si esaurirebbe sul piano dell’immagine e della reputazione.
Trump, d’altra parte, non è neanche uno che demorde facilmente per vie legali e la sua campagna elettorale potrebbe essere costellata di procedimenti giudiziari nei suoi confronti. Quanto sarà cruciale quindi alle urne elettorali? Come reagiranno i Trumpiani? «Noi italiani sappiamo per esperienza che questo tipo di situazioni non fanno che ringalluzzire lo zoccolo duro dei simpatizzanti del politico sotto procedimenti giudiziari, perché viene visto come un tentativo di fargli lo sgambetto usando una via alternativa al processo democratico del voto, falsando quindi la campagna elettorale», spiega Tapparini. «Ciò renderebbe gli elettori fedeli a Donald Trump più motivati ad esserlo».
Dall’altra parte, coloro che non volevano in partenza votare Trump saranno ancora meno propensi a farlo, mossi dal danno alla reputazione che darà loro ulteriori conferme. «Sullo sfondo, resta da capire se ai suoi avversari Democratici, come Joe Biden, conviene avere Trump candidato oppure no», riflette Tapparini. «Si potrebbe pensare che a Biden giovi avere come avversario Trump: lo stesso Presidente ha recentemente dichiarato pubblicamente che lui non si sarebbe ricandidato per un secondo mandato se Trump non fosse stato lo sfidante principale».
La questione riflette esclusivamente quindi sulla reputazione con cui Trump affronterà la lunga marcia verso le presidenziali del 2024. «Il tema non sta tanto sull’esclusione di Trump dalle elezioni, come stabilito dalla sentenza, ma che ci partecipi con tanto piombo nelle ali, con un ruolo di persona con molti guai giudiziari, non pulita, non affidabile e non corretta», spiega Tapparini.
A cura di Laura Gaspari