“L’annuncio della morte del controllo degli armamenti è grandemente esagerato”, ha scritto di recente un noto esperto, parafrasando Mark Twain. Ha ragione: alcuni pilastri dell’architettura globale del disarmo e della non proliferazione, come le due convenzioni che mettono al bando le armi chimiche e quelle biologiche e il Trattato di non proliferazione (Tnp), restano in piedi. Fra gli stati che aderiscono a questi trattati permane, pur tra tensioni non trascurabili – è questo il caso, in particolare, del Tnp – un ampio consenso a favore del loro mantenimento. Questi ed altri contesti di cooperazione multilaterali – come l’organizzazione per la messa al bando completa dei test nucleari (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Organization, Ctbto) – hanno anche mostrato una limitata, ma significativa, adattabilità alle nuove sfide. Resta il fatto che il processo del controllo degli armamenti ha subito negli ultimi anni gravi e ripetuti smacchi che ne rendono molto incerti i futuri sviluppi. Le crepe che si sono aperte nell’edificio degli accordi entrati in vigore durante la Guerra Fredda e nei decenni successivi rischiano di ampliarsi ulteriormente. Siamo indubbiamente in un momento critico a causa della competizione sempre più aspra fra grandi potenze, nuovi conflitti regionali con alto potenziale di escalation, e crescenti spinte nazionalistiche.
Le tendenze più preoccupanti si manifestano in campo nucleare. L’accelerazione dei programmi di modernizzazione degli arsenali nucleari, unita alla sempre più ampia applicazione delle nuove tecnologie, è un mix altamente destabilizzante. Il frequente ricorso – soprattutto da parte russa – alla retorica nucleare in chiave offensiva e la percezione di un abbassamento della soglia per l’uso delle armi nucleari – in particolare della componente non strategica – hanno eroso il cosiddetto tabù nucleare, principio cardine dell’ordine nucleare, che ha reso possibile contenere, fra l’altro, la proliferazione orizzontale delle armi atomiche. L’ultimo accordo nucleare ancora in vigore tra Usa e Russia, quello riguardante le armi strategiche (New Strategic Arms Reduction Treaty, New Start), che è congelato dal febbraio 2023 per decisione di Mosca, scade nel febbraio 2026, e non s’intravvede, al momento, alcuna prospettiva concreta di una ripresa dei negoziati per un accordo che lo possa, almeno parzialmente, rimpiazzare. Il Trattato russo-americano sulle forze nucleari a raggio intermedio (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty, INF), che è stata una componente essenziale del sistema di sicurezza europeo, non è più in vigore dal 2019. Ultimamente sono state avanzate diverse proposte per un nuovo accordo su questa categoria di armi nucleari, possibilmente con il coinvolgimento anche dei cinesi, che stanno ampliando il loro arsenale INF a ritmi molto intensi, ma sul piano diplomatico si muove ben poco anche su questo fronte. La guerra in Ucraina e la contesa egemonica nell’Asia del Pacifico rendono estremamente complicata la prospettiva di una ripresa, se non del processo diplomatico per nuove intese in campo nucleare, almeno di un preliminare dialogo strategico.
In questo contesto, si avverte con urgenza la necessità che le potenze nucleari adottino misure in grado di ridurre il rischio nucleare attraverso una maggiore trasparenza sui dati, le strutture e le procedure di gestione delle forze nucleari, più solidi canali di comunicazione e più sistematici contatti tra gli apparati militari e altri meccanismi in grado di rafforzare la fiducia e di evitare escalation incontrollabili che possono scaturire anche da calcoli o percezioni errate. Gli Usa si sono dichiarati favorevoli a un approccio che tenga separate le contese geopolitiche dalla ricerca di accordi, ancorchè parziali, che mirino a questi obiettivi. Sia Pechino che Mosca chiedono invece che prima si affrontino i nodi geopolitici – rispettivamente, l’Ucraina e Taiwan. Questo stallo però, va detto, dipende anche dalla forte resistenza delle potenze nucleari – soprattutto Cina e Russia – a fornire informazioni affidabili sulle loro attuali capacità nucleari e sui programmi di modernizzazione.
Il deterioramento dell’ordine nucleare ha avuto un pesante impatto sul regime di non proliferazione, che è incentrato sul Tnp, ma si basa anche su una serie di altri accordi e meccanismi globali e regionali. Cresce la frustrazione dei paesi non nucleari che hanno aderito al Tnp per l’assenza di progressi verso il disarmo nucleare, uno degli impegni cardine che si sono assunti i paesi nucleari riconosciuti come tali dal Tnp, quando hanno ratificato il trattato. Da tempo è in atto una polarizzazione all’interno della comunità degli stati del Tnp. È dal 2010 che non si riesce a raggiungere un accordo alle periodiche conferenze di riesame del Tnp e non è chiaro quali concreti risultati possa raggiungere la prossima conferenza che si riunirà nel 2026. Anche gli ultimi sviluppi negoziali sottolineano le crescenti difficoltà nel far progredire il processo di riesame del Tnp. I paesi non nucleari puntano il dito contro la mancata attuazione di obiettivi centrali dell’agenda Tnp, come l’entrata in vigore del trattato per il bando dei test nucleari e la creazione di una zona libera da armi di distruzione di massa in Medioriente. Da questa frustrazione è nata, fra l’altro, l’iniziativa del trattato sul divieto delle armi nucleari (Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons (TPNW), entrato in vigore nel 2021, che è stato finora ratificato da 73 stati. Tutti stati non nucleari, il che rende inattuabile l’obiettivo centrale del TPNW, quello del disarmo. Tuttavia è chiaro che la pressione da parte degli stati nucleari perché si arrivi a qualche nuova misura per il disarmo o almeno a accordi che allontanino lo spettro di un uso dell’arma nucleare, è destinata, anche sulla scorta del successo ottenuto con il TPNW, a intensificarsi.
Destano crescente preoccupazione, come accennato, anche i molteplici rischi derivanti dalle nuove tecnologie. La loro sempre più estesa applicazione in campo militare può diventare un grave fattore destabilizzante, specie in connessione con i piani di modernizzazione degli arsenali. Di qui l’infittirsi di iniziative, a vari livelli, per verificare la possibilità di accordi che consentano di regolare e controllare l’impiego delle nuove tecnologie. Non si registrano però risultati significativi neppure su questo fronte. Ciò vale, in particolare, per il rischio crescente di militarizzazione dello spazio extraatmosferico, un dominio che, pure, in teoria, dovrebbe essere interesse comune preservare da dinamiche destabilizzanti. L’impiego dell’intelligenza artificiale a scopi militari è stato oggetto di recente di molteplici forum ed è parte ormai dell’agenda di varie organizzazioni internazionali, compresa l’Assemblea Generale dell’Onu. È incoraggiante che il presidente americano Joe Biden e quello cinese Xi Jinping si siano congiuntamente impegnati a garantire un controllo umano sulle armi nucleari. Le tecnologie dell’intelligenza artificiale continuano però a svilupparsi a ritmi estremamente rapidi, così come continua ad espandersi lo spettro dei loro impieghi in campo militare, e i negoziati sulle armi autonome in corso alla Conferenza sul Disarmo di Ginevra non hanno finora prodotto che intese molto preliminari.
In questo contesto, così problematico e incerto, l’Unione europea può svolgere un ruolo significativo sulla base dei principi e obiettivi della sua strategia per il disarmo e la non-proliferazione. L’Ue è impegnata in numerose iniziative per salvaguardare i regimi di cooperazione esistenti, rafforzarne gli strumenti di monitoraggio e controllo, promuoverne l’universalizzazione, e aprire la strada a nuovi accordi. Ha inoltre solidi legami di cooperazione con le principali organizzazioni che si occupano di disarmo e non proliferazione, di cui è anche, in molti casi, la principale fonte di finanziamento. Le partnership che ha stabilito con i paesi terzi includono sempre clausole sul controllo degli armamenti. Nel campo delle armi convenzionali, si è assunta importanti impegni per evitarne il traffico e la diversione a usi illeciti, in conformità con il trattato sul commercio delle armi dell’Onu (Arms Trade Treaty, Att). La legislazione comunitaria sull’esportazione delle armi andrebbe però molto rafforzata. In campo nucleare l’azione dell’Unione è frenata dalle sue divisioni interne, in particolare fra paesi della Nato e alcuni paesi neutrali, come Austria e Irlanda. I paesi membri faticano anche a concordare posizioni comuni sul processo di riesame del Tnp. È improbabile che queste divisioni possano essere superate nei prossimi anni, ma, specie in vista della prossima Conferenza di riesame del TNP, è fondamentale che gli Stati membri elaborino una piattaforma comune in grado di contribuire a colmare il divario tra i vari gruppi di Stati, in particolare fra quelli nucleari e non nucleari. È in questo campo della proiezione esterna dell’Union e, non meno che in altri, che si misura il suo soft power e la sua effettiva capacità diplomatica.