La caduta di Assad e il vuoto di potere in Siria

La rovinosa e repentina caduta del presidente Bashar al-Assad ad opera dei ribelli siriani capitanati dal gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS) è un evento di portata storica per il Medioriente, destinato ad avere effetti ad ampio raggio sugli equilibri di potere della regione. Equilibri che erano già stati profondamente scossi dalla guerra tra Israele e Hezbollah, gli scontri armati tra Israele e Iran e i ripetuti interventi dello Stato ebraico in Siria.

Indebolitosi pesantemente l’asse sciita che, insieme al sostegno di Mosca, aveva garantito la sopravvivenza del regime di Assad, i ribelli islamisti, che da tempo si stavano riorganizzando, hanno trovato la via libera per la loro marcia trionfale verso Damasco. Riusciranno ora a consolidare il loro potere? La caduta della famiglia Assad dopo decenni di dominio autocratico, fondato su uno spietato apparato repressivo, e una feroce guerra civile protrattasi per oltre 13 anni, lascia comunque un vuoto, ed è forte il dubbio che i nuovi padroni di Damasco siano in grado di colmarlo. Creare nuove strutture di potere sarà molto complicato. Paesi come il Qatar e soprattutto la Turchia, che hanno sostenuto sin dall’inizio la rivolta, ma anche altri paesi arabi, che temono un effetto contagio, sono ora interessati alla stabilizzazione del paese.

Ma il fronte dell’insurrezione è molto frammentato: oltre a HTS, comprende una miriade di altri gruppi, alcuni con radici solo locali, fra cui potrebbe aprirsi una sanguinosa competizione per il potere. Una nuova guerra civile fra i vincitori non si può escludere. Nell’intento di minimizzare le resistenze alla sua presa del potere, il capo di HTS, Abu Mohammad al-Golani, che è rapidamente emerso come il leader della rivolta, ha cercato di essere il più possibile rassicurante: ha ripetuto che il suo gruppo ha da tempo rotto con i terroristi di al Qaeda, ha promesso che rispetterà tutte le minoranze – fra cui è molto diffuso il timore di nuove pulizie etniche, come quelle subite da Al Qaeda e dall’Isis – e ha detto di non avere alcun interesse ad estendere la sua azione al di là del confine siriano e di voler anzi cooperare con tutti i paesi della regione. Dopo la conquista di Damasco vari voci del fronte anti-Assad hanno anche prospettato un governo transitorio che apra la strada a elezioni o a un referendum e a un nuovo assetto istituzionale.

Tutte queste promesse e rassicurazioni verranno messe alla prova già nelle prossime settimane. Il timore che vari gruppi terroristici possano sfruttare la situazione per rialzare la testa è molto diffuso. Larghe parti della Siria rimangono peraltro sotto il controllo di paesi o gruppi stranieri; ciascuno si è ritagliato una fetta di territorio funzionale ai suoi interessi geopolitici e non sembra intenzionato a cederla. Anzi, c’è il rischio che mirino ad espanderla, come in parte sta accadendo, anche solo per fronteggiare i rischi emergenti.

Nuove dinamiche conflittuali potrebbero aggiungersi a quelle che hanno devastato il paese negli ultimi anni. Una ricomposizione territoriale appare, al momento, uno scenario assai remoto. Turchia e paesi arabi potrebbero adoperarsi, come si è detto, per un processo di riconciliazione nazionale, ma prima deve emergere una leadership credibile a Damasco. La Russia, che ha subito un duro colpo, presumibilmente farà di tutto per mantenere le sue basi navali sulla costa mediterranea del paese, anche se ora potrebbe piuttosto puntare, secondo alcuni osservatori, a costruirne una nuova in Cirenaica, grazie ai buoni uffici del generale Haftar.

I paesi occidentali hanno salutato con soddisfazione la caduta di Assad. La priorità, hanno dichiarato all’unisono i leader europei è di garantire la sicurezza. Ma resta da vedere se la diplomazia europea riuscirà a svolgere, a differenza che in passato, un ruolo apprezzabile. Gli Usa hanno reso noto che manterranno la loro presenza nella Siria orientale per contrastare l’Isis con l’aiuto delle milizie curde. Ma che cosa poi farà Donald Trump, una volta alla Casa Bianca, è incerto, né aiutano granchè a svelarlo i suoi commenti sugli sviluppi in Siria. Vorrebbe disimpegnarsi il più possibile dal Medioriente – un sogno coltivato anche dai suoi predecessori – ma tutto lascia pensare invece, anche alla luce di quanto accaduto negli ultimi giorni, che il calcolo degli interessi in gioco indurrà gli Usa ad avere un ruolo di rilievo anche in questa nuova crisi.

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