Il Kenya al voto tra ‘dinastie’ e illusione di novità

Dopo due mandati alla presidenza del Kenya, per Uhuru Kenyatta, raggiunto il limite previsto dalla Costituzione, è arrivato il momento di lasciare la carica. Martedì 9 agosto, infatti, i cittadini kenioti saranno chiamati a votare il nuovo presidente, i membri dell’Assemblea nazionale e del Senato, i governatori e i componenti delle assemblee dei 47 distretti in cui è organizzato il Paese.

Per la carica di presidente concorrono quattro candidati: il vicepresidente William Ruto della coalizione Kenya Kwanza (Prima il Kenia), l’ex Primo ministro Raila Odinga della coalizione Azimo la Umoja (Impegno di unità), il professore di legge George Wajackoyah del Roots Party (Partito delle radici) e l’avvocato David Waihiga dell’Agano Party (dove “agano” sta per “patto”).

Sistema elettorale

Per l’elezione del presidente è utilizzato un sistema a doppio turno. Al primo turno viene scelto il candidato che ottiene più del 50% dei voti a livello nazionale e almeno il 25% in 24 delle 47 circoscrizioni; mentre, nel caso in cui nessuno raggiunga tale soglia, viene eletto al secondo turno il candidato che ottiene il maggior numero di voti.

I membri dell’Assemblea nazionale e del Senato vengono scelti con metodi misti. Alla base c’è per entrambi il first-past-the-post, con il quale in Assemblea vengono selezionati 290 deputati su 337 e al Senato 47 dei 67 senatori, uno per distretto. Alla Camera bassa i restanti 47 seggi sono riservati alle donne, anche in questo caso una per distretto, mentre al Senato dei 20 seggi rimanenti 16 sono riservati a donne, 2 a giovani e 2 a persone con disabilità e vengono suddivisi tra i partiti in base ai voti ottenuti.

Inflazione, carovita e questione etnica

Il Kenya arriva alle elezioni con il peso dei lasciti della pandemia e della guerra in Ucraina: i dati di giugno riportano un forte aumento dei prezzi, con beni primari come la farina di mais che registrano un +67%, e un’inflazione che sfiora l’8%. Sui cittadini pesano inoltre le conseguenze di politiche pubbliche e di investimento che hanno avuto poco effetto, se non garantire a Kenyatta il consenso delle masse.

A ogni elezione in Kenya si teme la ripetizione dei fatti del 2007, quando i risultati della tornata elettorale vennero contestati e scoppiarono manifestazioni violente che portarono alla morte di più di mille persone. Il Paese però è cambiato e oggi vanta uno dei sistemi giudiziari più forti e indipendenti del continente, che ha dimostrato le sue capacità nel 2017 con l’annullamento delle elezioni a causa del numero elevato di scorrettezze rilevate.

Un altro elemento che riduce la probabilità che si ripetano violenze su larga scala è la scomparsa del fattore culturale dalla propaganda dei candidati. Nelle tornate precedenti, i candidati alla presidenza si presentavano, in modo più o meno esplicito, come rappresentanti di uno dei gruppi etnici del Paese. Le violenze del 2007 avvennero infatti tra Kalenji – gruppo etnico del candidato sconfitto, Raila Odinga – e Kikuyu, di cui faceva parte Mwai Kibaki, accusato di aver vinto truccando le elezioni.

I favoriti

Sono due i candidati che possono aspirare alla presidenza: Raila Odinga e William Ruto. Odinga è un veterano della politica kenyota, figlio del primo Primo ministro del Kenya indipendente, ed è la quinta volta che prova a ottenere la massima carica del Paese. Nel 2017 aveva detto che quella sarebbe stata la sua ultima candidatura, ma, a suo dire, il popolo gli ha chiesto di ripresentarsi alle presidenziali di quest’anno, vista la forte fiducia che nutre nei suoi confronti.

Nel 2002 e nel 2007 Odinga venne sconfitto da Mwai Kibaki, ma nel secondo caso l’intervento dell’allora Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, per riportare la pace, gli permise di assumere il ruolo di Primo ministro come segnale di collaborazione con il nuovo presidente. Dalla tornata successiva, l’avversario di Odinga divenne Kenyatta, che vinse due volte, nel 2012 e nel 2017, ottenendo due mandati consecutivi. Gli interessi politici hanno avuto però la meglio sulla storica rivalità tra i due che, nel 2018, hanno stretto un accordo di collaborazione definito “the handshake” (la stretta di mano), in nome del quale oggi Kenyatta sostiene la candidatura di Odinga.

Questa alleanza tra “dinastie familiari” – Odinga e Kenyatta sono i figli del Primo ministro e del presidente del primo governo del Kenia indipendente – viene aspramente criticata da William Ruto che, di contro, si definisce “hustler”, cioè qualcuno che, proprio come lui, viene da una famiglia povera e “si è fatto da solo”. La dicotomia alla base della propaganda di Ruto è stata criticata dallo stesso Odinga, che l’ha definita divisiva, e ha preoccupato la Commissione per la coesione e l’integrazione nazionale. Ruto non l’ha abbandonata e l’accompagna a “my friends”, appellativo che usa con i suoi possibili elettori. Nonostante venga dal popolo, anche Ruto non è nuovo alla politica: ha avuto Arap Moi, presidente dal 1978 al 2002, come mentore all’inizio degli anni Novanta e ha lavorato al fianco di Odinga negli anni Duemila, tanto da essere stato accusato dalla Corte penale internazionale di aver ordinato azioni violente durante le proteste del 2007. Dal 2013 è il vice del presidente Kenyatta e, fino al tradimento del “the handshake”, la loro collaborazione sembrava forte al punto da portare a coniare il termine “uhuruto”.

I programmi dei due maggiori sfidanti sono diversi, ma toccano tematiche simili. Entrambi puntano a creare posti di lavoro e a supportare coloro che sono a rischio povertà. Odinga promette un sussidio mensile per le persone vulnerabili, che potrebbe essere finanziato recuperando risorse grazie alla lotta alla corruzione, e una riforma per una sanità più accessibile, il Baba Care (“Baba” è uno degli appellativi di Odinga e significa “padre”). William Ruto propone un modello economico bottom-up, inclusivo e partecipativo, che prevede massicci investimenti in agricoltura, da cui trae profitto gran parte della popolazione, i quali permetterebbero l’abbassamento dei costi delle materie prime. Anche lui parla di sussidi ai vulnerabili, ma dà pochi dettagli sulla misura che propone.

Su quest’ultimo punto, a poche settimane del voto, si è attivato Kenyatta, che, con un sussidio ai produttori, ha quasi dimezzato il costo della farina di mais, primaria per le abitudini alimentari dei kenioti. Poco prima Kenyatta aveva già concesso due sussidi per contenere i costi dei carburanti e del gas da cucina. Ruto considera queste mosse del presidente uscente strategiche per il supporto a Odinga, anche se arrivano poco tempo dopo una manifestazione a Nairobi contro il carovita.

Gli altri candidati

Per George Wayackoyah e David Waihiga le proiezioni di voto pronosticano consensi inferiori al 7%. Il primo però, che si prevede ottenga il terzo posto, rischia di scombussolare la prassi keniota, portando allo svolgersi del secondo turno. Dal 2010, quando la nuova Costituzione ha sostituito il sistema a doppio turno al first-past-the-post, uno dei candidati ha sempre raggiunto il consenso necessario a essere eletto al primo turno. Anche se questo non fosse, la presenza di Wayackoyah sarebbe comunque un problema per Ruto, dato che entrambi puntano all’elettorato giovane e un po’ disilluso, in cui Wayackoyah ha aumentato il suo seguito, promettendo la legalizzazione della marijuana.

Foto di copertina EPA/Daniel Irungu

***Lo Spiegone è una testata giornalistica formata da studenti universitari e giovani professionisti provenienti da tutta Italia e sparsi per il mondo con l’obiettivo si spiegare le dinamiche che l’informazione di massa tralascia quando riporta le notizie legate alle relazioni internazionali, della politica e dell’economia

Articolo a cura di Eleonora Copparoni, redattrice de Lo Spiegone

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